giovedì 6 settembre 2018
Al via il torneo inedito tra Nazionali che coinvolgerà fino a giugno 2019 ben 55 squadre. Una competizione in nome del business dal forte rischio "congestione" con i già tanti impegni internazionali
Ma c'era davvero bisogno della Nations League?
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Se giochiamo insieme ci sarà un cachet. Siccome c’era un buco nel calendario (ironia), l’Uefa si è inventata la Nations League. Un altro campionato, stavolta tra nazionali. Ne sentivamo la mancanza? Il rischio congestione è altissimo. Il torneo parte oggi e si allunga come un chewing-gum fino a giugno 2019, coinvolgendo ben cinquantacinque (55!) nazionali, divise in un sudoku di leghe che - per pietà nei vostri confronti - vi risparmiamo. Il senso è quello di abolire le amichevoli, per fare spazio ad altre partite ufficiali (e quindi soldi, diritti tivù, sponsor, brand in vendita). La domanda - come si diceva in tempi vintage - sorge spontanea: cosa si vince? Si vince il trofeo Uefa Nations League, hai detto niente. Ok, e poi? Le quattro semifinaliste conquisteranno anche il pass per l’Europeo 2020, il primo itinerante nella storia, con 12 paesi toccati dalla manifestazione. La Nations League - ultima idea lasciata nel cassetto dall’ex presidente dell’Uefa Michel Platini - parte oggi con il piatto forte, c’è Francia-Germania, di fronte le ultime due nazionali a vincere la Coppa del Mondo. L’Italia di Mancini debutta domani al Dall’Ara di Bologna, l’avversario è la Polonia; lunedì 10 giocherà invece a Lisbona contro il Portogallo De-cristianoronaldizzato (CR7 ha dato forfait). C’è già un caso: la Danimarca rischia di partecipare al torneo con i giocatori di futsal, visto che i nazionali stanno battagliando con la Federazione per una questione legata ai contratti di sponsorizzazione.

La nostra vita di inguaribili amanti del pallone che all’inno d’Italia scattano in piedi con la mano sul cuore, fino a ieri era scandita dai Mondiali (ogni quattro anni) e dagli Europei, che si incastravano tra un Mondiale e l’altro in una cadenza temporale che tutto sommato dava equilibrio ai nostri sentimenti. Ora bisognerà rivedere un po’ tutto. L’inno di Mameli suonerà di continuo, senza soluzione di continuità. Sarà la sveglia che cinguetta sullo smartphone, e hai voglia ad allungare la mano sul comodino: di spegnerla non se ne parla. Considerato che - nello stesso periodo della Nations League - si svolgeranno le qualificazioni all’Europeo 2020, preme qui sottolineare che - da qui in avanti - bravo chi riuscirà a tirare il fiato. Ce n’era davvero bisogno? All’Uefa non hanno dubbi. La risposta è una sola: business.

Le amichevoli internazionali non avevano appeal commerciale. Avanti dunque con un torneo che mette in palio - almeno inizialmente - 76,2 milioni di euro. Non sono nemmeno tantissimi, se si considera che lo scrigno della Champions League è gravido di 1,95 miliardi di premi e quello dell’Europa League parla di 560 milioni; ma è comunque una base di partenza solida e destinata a crescere. In questa edizione i bonus aumenteranno con il passaggio del turno e alla fine il vincitore porterà a casa circa un decimo (7,6 milioni) del montepremi complessivo. Lontani i tempi in cui un nuovo torneo si affacciava alla ribalta, catturava consensi e sentimenti contrastanti e poi spariva scivolando nell’oblio. Nel 1980 a Montevideo si giocò il Mundialito, torneo misconosciuto che ha lasciato comunque una traccia significativa nell’immaginario condiviso degli appassionati. Lo organizzò l’Uruguay, per festeggiare i cinquant’anni dalla vittoria della prima Coppa del Mondo nel 1930. Erano anni - quelli - di calcio che diventava strumento di potere. Così come l’Argentina dei “Colonelli” - due an- ni prima, nel 1978 - aveva organizzato e vinto il Mondiale in un paese sotto il gioco della dittatura, così il governo golpista dell’Uruguay ebbe l’idea del Mundialito per rilanciare l’immagine del paese sulla scena politica internazionale. Fu quello un torneo macchiato di sangue e - caso più unico che raro - una quarantina di calciatori di serie A - nel silenzio generale firmarono un documento contro il governo golpista uruguaiano. Il torneo lo vinse l’Uruguay, e non poteva essere altrimenti. Ne abbiamo memoria in Italia perché fu il primo vero grande colpo sportivo della nascente Canale 5 di Berlusconi, che comprò i diritti tivù dell’evento per quella che all’epoca venne considerata una cifra sbalorditiva: 900mila dollari. La Rai mantenne la diretta delle partite dell’Italia, Canale 5 invece mandò (in differita) tutto il resto del torneo. L’esperimento del Mundialito cominciò e finì lì.

Ma nel calcio come nella vita tutto si ricicla. Eccoci allora al via della Nations League, altro mastodontico torneo che andrà ad occupare altro spazio nel lago dei nostri sentimenti. Eppure rimane da chiedersi se erano davvero così inutili le amichevoli seminate tra la pausa e l’altra dei campionati nazionali. L’amichevole - proprio per definizione - offre alle due sfidanti la possibilità di giocare senza che ci sia niente in palio, se non l’onore: dunque senza assilli, scevri da ansie, liberi dal raggiungimento del risultato. La storia del calcio racconta di amichevoli decorative e bellissime, senza aspettative ma dispensatrici benevole di molte speranze. Grazie alle amichevoli i vari commissari tecnici avevano l’occasione di far debuttare giovani promettenti e di tentare qualche esperimento tattico e tecnico. Avevano - più di ogni altra cosa - la possibilità di sbagliare. Senza fare danni, senza pagane eccessivo pegno. Il dovere della vittoria - a questo punto - toglie alle nazionali questo lusso. Mondiali, Europei, Nations League, Confederations Cup. E poi: campionati e coppe delle varie leghe nazionali, coppe intercontinentali e supercoppe, Champions League, Europa League. Persino le tenere sfide estive che opponevano i club di serie A a batterie di montanari reclutati dalle vacanze stanno diminuendo per far posto a tornei sponsorizzati. Di amichevole oggi è rimasto solo il ricordo. A calcio si gioca solo per vincere. A tutti i costi, a qualunque costo.

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