giovedì 28 luglio 2011
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Con il sorriso racconta che «sono nato a Napoli perché mia mamma diceva: Se un domani girando il mondo ti chiederanno dove sei nato e dici Molfetta, nessuno saprà dov’è, Napoli invece la conoscono tutti». Per questo «ogni volta affrontava il disagevole viaggio dalla Puglia, dove la mia famiglia abitava, al capoluogo partenopeo: lì sono nati i miei fratelli un medico, un laureato in economia, due gemelli ingegneri. E lì sono nato anch’io il 28 luglio del 1941».Riccardo Muti festeggia oggi settant’anni. «Ma mi sento come 30 anni fa, non accuso il peso degli anni. È un giorno come gli altri anche perché mi fa impressione l’idea del vecchietto», scherza. In molti lo vorrebbero senatore a vita. Perché porta in tutto il mondo il nome dell’Italia. Come, in questi giorni, a Salisburgo. Dove prova il Macbeth di Verdi che andrà in scena il 3 agosto con la regia di Peter Stein. Al festival austriaco Muti, dove fu chiamato nel 1971 da Karajan, ha deciso, come ha dichiarato ieri a una rivista austriaca, di non dirigere più la lirica: «D’ora in poi qui mi limiterò a fare concerti con i Wiener Philarmoniker», ha detto. E ha aggiunto: «Dirigerò opere solo due volte all’anno, di cui una a Roma e una Chicago». Perché dopo l’addio al Teatro alla Scala, consumatosi il 2 aprile 2005, la casa italiana di Muti è il teatro lirico romano, dove quest’anno dirigerà Attila e proprio il Macbeth salisburghese, e nel 2013 tre titoli verdiani per il bicentenario della nascita del compositore.Verdi che è stato il piatto forte dell’edizione 2011 delle Vie dell’amicizia, il ponte di fratellanza attraverso la musica del Ravenna festival che il 9 luglio ha fatto tappa a Nairobi in Kenya. Muti è volato nel cuore dell’Africa per rispondere alla chiamata dei missionari italiani, il medico dei masai Francesca Lipeti, e padre Renato Kizito Sesana. A vederlo dirigere all’Uhuru park i bimbi africani nel Va’ pensiero, concentratissimo, con lo sguardo rivolto verso l’alto, capivi bene quello che ci aveva confidato qualche tempo fa. «Con il passare degli anni avverto sempre più spesso la tensione verso quell’Infinito a cui apparteniamo e verso il quale siamo in viaggio. Le mie giornate lentamente si colorano delle tinte del tramonto: assaporo nostalgie che inevitabilmente metto nelle mie letture dei grandi capolavori e la musica diventa un vascello che mi accompagna nel mio viaggio verso il Trascendente». Le immagini del concerto di Nairobi e della serata di chiusura del Ravenna festival, andranno in onda proprio stasera, alle 23.30 su Raiuno (mentre Rete 4 gli dedica uno speciale alle 23.15).Il modo più bello per festeggiare settant’anni dedicati alla musica. «Mio padre – racconta – pensava per me a una laurea in Legge, ma avrei finito, come si dice a Napoli, per fare l’avvocato delle cause perse. Quando ero ragazzo si parlava di viaggi nello spazio e io sognavo un futuro da esploratore di mondi lontani. Poi, per una serie di coincidenze non cercate, ecco che nella mia vita è arrivata la musica». La vittoria nel 1967 al concorso Cantelli gli apre le porte del Maggio musicale fiorentino che guiderà sino al 1980. Poi la Philarmonia di Londra, i Wiener, dal 1986 la Scala (orchestre che tornano nei cd della Muti edition, due box che la Emi classics dedica al maestro con le sue incisioni, tra le altre, di Beethoven, Schumann, Bruckner, Berlioz, Liszt, Ravel e, naturalmente, Verdi) e oggi la Chicago symphony che Muti porterà in tournée il prossimo anno in Italia. «La mia è stata sempre una vita da solitario. Non sono mai appartenuto a gruppi di potere. Non ho mai avuto agenti e la mia storia l’hanno fatta le grandi orchestre che ho diretto» dice orgoglioso.Un’agenda piena quella del maestro. Che dopo la caduta dal podio a febbraio a Chicago si è ripreso alla grande: «Qualcuno pensava che avrei rallentato il ritmo, ma non è così. Mi hanno trovato un cuore in ottime condizioni» diceva al rientro in Italia dopo il tour de force in Kenya, 56 ore senza dormire che non ne hanno minimamente fiaccato la tempra. «Guardo al futuro con serenità: so che sto percorrendo un cammino che prima o poi inevitabilmente si spezzerà». Anche per questo si entusiasma ogni volta che sale sul podio dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini, da lui fondata nel 2004 per trasmettere ai ragazzi gli insegnamenti ricevuti dai suoi maestri e le esperienze accumulate in settant’anni. «E perché mi piacerebbe che nella musica tornassero disciplina e severità, due parole oggi sconosciute».
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