mercoledì 11 gennaio 2017
«È dalla cooperazione per ottenere un beneficio essenziale alla vita che nasce l'etica. la quale poi si evolve con regole sociali». Parla lo psicologo americano Tomasello.
Un disegno di Doriano Solinas

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È uno schema apparentemente semplice, che potrebbe spiegare sia l’emergere del pensiero, come attributo unicamente umano, sia la nascita della morale quale caratteristica che ci distingue dalle altre specie. Prima, nuove forme di attività collaborativa fra individui; in seguito, nuove forme di organizzazione culturale, e tutto ciò in base a evoluzione e selezione nell’arco di centinaia di migliaia di anni. A proporlo è Michael Tomasello, noto studioso americano di psicologia comparata e dello sviluppo, codirettore dell’Istituto Max Planck di antropologia evoluzionistica a Lipsia.


La teoria della nascita del pensiero l’ha esposta due anni fa nel libro Unicamente umano. Come potrebbe essere sorta la moralità lo racconta ora in Storia naturale della morale umana, appena tradotto da Cortina Editore (pp. 256, euro 25).

Professor Tomasello, qual è il concetto di moralità da cui ha preso le mosse la sua ricerca?

«Da un punto di vista evoluzionistico, la morale è una forma di cooperazione. Si tratta di una forma molto speciale di cooperazione non praticata da altre specie che, per esempio, viene spesso accompagnata da un senso di obbligazione. Considero atti morali quelli che subordinano o trattano in modo equanime gli interessi dell’individuo e gli interessi degli altri».

Che cosa significa scrivere la storia naturale di una caratteristica o di un comportamento umano, come dice il titolo del libro?

«Il termine 'storia naturale' è più spesso associato ai processi dell’evoluzione, al contrario della storia culturale, che si occupa di vicende umane che coinvolgono istituzioni e governi. L’idea è di offrire una spiegazione dell’evoluzione della cooperazione unicamente umana che si concentri su come, a partire dalle grandi scimmie, i primi esseri umani siano divenuti molto più interdipendenti gli uni dagli altri per il supporto cooperativo».

Come ha fatto la cooperazione a dare forma alla nostra moralità?

«Le due forme fondamentali della cooperazione – l’altruismo, sacrificarsi per gli altri, e il mutualismo, lavorare per il beneficio reciproco – si traducono direttamente nella distinzione classica tra la morale di simpatia e la moralità di equità o di obbligo. L’ipotesi dell’interdipendenza sostiene che l’evoluzione verso una forma specifica di cooperazione è avvenuta in due passi chiave che hanno entrambi coinvolto nuove circostanze ecologiche, le quali hanno costretto gli esseri umani a nuovi modi di interazione e di organizzazione sociale: prima la collaborazione, quindi la cultura. Gli individui che hanno ottenuto i migliori risultati in queste circostanze sociali sono stati quelli che hanno riconosciuto la propria interdipendenza dagli altri e hanno agito di conseguenza, secondo un tipo di razionalità cooperativa. Il primo passo si ebbe quando un cambiamento ecologico costrinse i primi esseri umani a scegliere tra procacciare cibo insieme a un compagno o patire la fame. Il secondo passo è stato indotto dai cambiamenti demografici. Quando i gruppi umani moderni hanno cominciato ad allargarsi, si sono divisi in bande più piccole. Lì è nato il 'noi' e il 'loro', con senso di simpatia e lealtà per il proprio gruppo».

Perché altre specie non sono dotate di una morale?

«Le altre specie non sono passate, come gli esseri umani, attraverso un processo evolutivo in cui la cooperazione con gli altri è risultata essenziale per la sopravvivenza, così come il mostrare rispetto per i potenziali partner nella cooperazione. Praticamente tutti i mammiferi rivelano un interessamento simpatetico, perlomeno nei confronti della prole. Di contro, la morale dell’equità non è così elementare né così semplice. E potrebbe essere confinata alla sola specie umana».

Può l’evoluzione spiegare tutto ciò che riguarda la nostra moralità?

«No, vi sono molti aspetti della nostra moralità quotidiana che affondano le loro radici nelle norme sociali specifiche della nostra particolare cultura. La tendenza a creare norme sociali – norme da seguire noi stessi e da fare rispettare agli altri – invece è universale».

Che cosa è innato e che cosa no nella nostra moralità?

«Le nostre tendenze generali a provare simpatia per gli altri quando li vediamo nel bisogno, a provare repulsione per la violenza e a essere corretti verso gli altri non sono propriamente innate, ma si sviluppano naturalmente allorché i bambini entrano nel loro mondo sociale, senza necessità di addestramento esplicito o di istruzioni da parte degli adulti».

Qual è allora il ruolo della cultura?

«La cultura è come la ciliegina sulla torta, poiché le singole culture creano norme sociali che rafforzano e talvolta reindirizzano il nostro naturale senso di moralità».

Che cosa possiamo imparare da una storia naturale della moralità umana?

«Che tutti gli esseri umani sono dotati di motivazioni egoistiche e di motivazioni morali, e che particolari tipi di situazioni favoriscono le une o le altre. E che abbiamo la possibilità di creare istituzioni sociali per incoraggiare la cooperazione e la moralità. La maggior parte dei conflitti più importanti di oggi avviene tra persone che si vedono come 'noi' contro 'loro', cioè come membri di diverse comunità morali. In definitiva, è un miracolo che siamo morali. È capitato che, nell’insieme, quelli tra noi che, per la maggior parte del tempo, hanno preso più decisioni morali, hanno avuto più bambini. Dovremmo provare meraviglia e celebrare il fatto che per noi la morale sembra essere qualcosa di buono».

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