giovedì 13 aprile 2017
Al suo posto è arrivato il cinese Yonghongh Li. La firma finale sull'atto di vendita è stata posta oggi alla 14 a Milano.
Milan, finita l'era Berlusconi. Prossimo derby tutto cinese
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Fine di un'era. Silvio Berlusconi dice addio al Milan dopo 31 anni e 5 coppe dei Campioni vinte. Al suo posto adesso c'è il cinese Li Yonghongh, uomo d'affari alla guida di una cordata. La firma finale sull'atto di vendita è stata posta oggi alla 14 in centro a Milano, in piazza Belgioioso.

Berlusconi non c'era. L'atto finale, il "closing", ha visto protagonista l'amministratore delegato di Fininvest, Danilo Pellegrino, che con la sua firma ha sanzionato il passaggio di mano del 99,9 per cento delle azioni. Valore 740 milioni, comprendenti però 220 milioni di indebitamento. Si tratta di una cifra che ha suscitato diverse perplessità in quanto considerata superiore al valore reale della società calcistica.

"Ringrazio Berlusconi e Fininvest per la fiducia, e i tifosi per la pazienza, da oggi costruiamo il futuro", è stata la prima dichiarazione del nuovo proprietario-investitore Li Yonghong.

Più "sofferte" invece le dichiarazioni di Berlusconi: "Se oggi lascio ogni carica operativa e rappresentativa - ha detto -, rimarrò sempre il primo tifoso del Milan, la squadra che mio padre mi insegnò ad amare da bambino, il sogno che abbiamo realizzato insieme. Ai nuovi responsabili rivolgo l'augurio più cordiale e sentito di realizzare traguardi ancora più straordinari di quelli ottenuti da noi".

E ha aggiunto: "Lascio oggi, dopo più di trent'anni, la titolarità e la carica di Presidente del Milan. Lo faccio con dolore e commozione, ma con la consapevolezza che il calcio moderno, per competere ai massimi livelli europei e mondiali, necessita di investimenti e risorse che una singola famiglia non è più in grado di sostenere. Non potrò mai dimenticare le emozioni che il Milan ha saputo regalarmi e regalare a tutti noi".

"Quello di sabato sarà il primo derby cinese": sono le parole di Adriano Galliani in Lega Serie A, in contemporanea con l'avvenuta vendita del Milan. Galliani, durante i lavori dell'assemblea, ha annunciato il passaggio di azioni che determina il cambio di proprietà del club rossonero. L'annuncio è stato seguito da un lungo applauso di tutti i presidenti di Serie A. Una standing ovation per sottolineare il ruolo e i meriti di Galliani nell'arco di oltre trent'anni al Milan.


Le vittorie

29 trofei in 31 anni, è bacheca da record, con 5 Champions League e 8 scudetti

Dallo scudetto del 1988 alla Supercoppa italiana del dicembre scorso: una media di quasi un titolo all'anno, striscia senza pari in Italia. Con Silvio Berlusconi, presidente del Milan dal 20 febbraio 1986 (e successivamente passato alla carica onoraria ma rimanendo sempre nume tutelare), nella bacheca rossonera sono entrati 29 trofei in 31 anni:

3 Mondiali per club (già Coppa intercontinentale), su un totale di 4: 2007; 1990; 1989.
5 Champions League (già Coppa dei campioni) su un totale di 7: 2006/07; 2002/03; 1993/94; 1989/90; 1988/89.
5 Supercoppe europee: 2007; 2003; 1995; 1990; 1989.
8 Campionati italiani su un totale di 18: 2010/11; 2003/04; 1998/99; 1995/96; 1993/94; 1992/93; 1991/92; 1987/88.
1 Coppa Italia su un totale di 5: 2002/03.
7 Supercoppe di Lega: 2016; 2011; 2004; 1994; 1993; 1992; 1988


L'era Berlusconi

Una squadra-azienda, campagne acquisti faraoniche, il "bel giuoco" per costruire successi e vendere spettacolo: ovvero, 31 anni di Milan targati Sivio Berlusconi, che lui stesso ha oggi definitivamente archiviato cedendo la sua creatura calcistica al cinese Li Yonghong e declinando l'offerta di mantenere la presidenza onoraria.

A otto mesi dal contratto preliminare, dopo due rinvii perché il cinese non aveva raccolto tutti i fondi necessari, è finita dunque l'era del 'presidente più vincente della storia del calciò, come ama definirsi lo stesso Berlusconi, a cui è riconosciuto il merito di aver rivoluzionato il mondo del pallone da quando il 20 febbraio 1986 rilevò da Giussy Farina la società sull'orlo dal fallimento.

All'epoca si parlò di ingerenze politiche, di scippo all'immobiliarista Giuseppe Cabassi o al petroliere Dino Armani che avrebbe offerto più dei 15 miliardi di lire di Berlusconi. Un salvataggio, "una questione di cuore" ha sempre detto il Cavaliere (negando un
interesse precedente per l'Inter) che in 30 anni ha speso per il Milan oltre un miliardo di euro e vinto 29 trofei, segnando un
"pre" e un "post" nel calcio italiano, come aveva fatto con la tv e come avrebbe fatto con la politica.

Introduce l'idea del calcio come spettacolo. Al primo raduno atterra assieme alla squadra in elicottero all'Arena con la Cavalcata delle Valchirie, chiede maglie rinforzate come nel football per intimorire gli avversari, si accontenta di quelle acriliche, con colori più televisivi. Sul palco del teatro Manzoni diventa presidente il 24 marzo '86, accantona l'icona rossonera Gianni Rivera, fa ristrutturare la sede di via Turati, organizza il club come le sue aziende pubblicitarie e tv, con una divisione marketing, novità per la Serie A.


Vincere divertendo è la missione. "Dobbiamo diventare il club più titolato al mondo" annuncia nell'estate '87 in una convention al castello di Pomerio. Gli scettici si ricrederanno. Non mancheranno momenti drammatici, la notte di Marsiglia, la finale di Istanbul, fino a Calciopoli.

Fra quelli gloriosi, il primo scudetto in rimonta sul Napoli nell'88, nel 1989 la Coppa Intercontinentale a Tokyo, la coppa dei Campioni vinta nel '94 sul Barcellona mentre il primo Governo Berlusconi ottiene la fiducia o la finale di Champions con la Juventus nel 2003.

Per il Cavaliere, l'allenatore è anzitutto un motivatore. Pensa subito al coach della Milano del basket, Dan Peterson. Sceglie Arrigo Sacchi (1987-91), che aveva eliminato il Milan dalla coppa Italia con una squadra di B, il Parma. Anche grazie gli olandesi Gullit, Rijkaard e Van Basten, l'intuizione paga, come la promozione dalla polisportiva Mediolanum (progetto archiviato dopo 5 anni) alla panchina di un altro homo novus, Fabio Capello, fra il '91 e il '96, mentre il calcio sbarca sulle reti Mediaset e il patron scende in politica affidando il club a Ramaccioni, Braida e soprattutto all'ad Galliani.


Fra tv, potere e calcio i confini si sfumano. Da Palazzo Chigi "silura" il ct azzurro Zoff nel 2000 e nel 2001 licenzia dal Milan Zaccheroni che nel '98 ottiene lo scudetto al primo anno ma sfida il dogma della difesa a tre e diventa il terzo dei 4 esonerati nei primi 15 anni dell'era berlusconiana (dopo Liedholm e Tabarez, prima di Terim). Quattro difensori, una mezza punta e due punte, ordina il presidente. Ancelotti (2001-09) vince tutto col 4-3-2-1 e se ne va quando Berlusconi gli dà le colpe del campionato perso. Dopo un anno lascia anche Leonardo, per "incompatibilità" col n.1 rossonero, che rivendica i "17 passaggi consecutivi" della sua Edilnord, suggerisce formazioni e rifila battute al vetriolo.

Allegri (scudetto 2011 e Supercoppa italiana 2012) e il primo dei tre esonerati dal 2014, oltre agli esordienti Seedorf e Inzaghi. Il feeling è stato scarso con Mihajlovic e Montella, l'ultimo a vincere un titolo, la Supercoppa italiana contro la Juventus.

Ma non è più il Milan delle spese folli (i 64 mld di lire per Lentini nel '92 o i 31 mln di euro per Nesta nel 2002), dei capitani storici Baresi e Maldini, e dei palloni d'oro, da Van Basten a Weah, da Papin a Baggio, da Shevchenko a Ronaldinho, acquisto sbandierato dal leader di FI prima delle elezioni del 2008.

L'ultimo pallone d'oro rossonero è Kakà, la sua cessione nel 2009 segna la svolta: fin lì Berlusconi ripiana sempre, poi diventa impossibile resistere alle tentazioni. Così partono Ibrahimovic e Thiago Silva, mentre in società iniziano frizioni fra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani. Il presidente, 81 anni a settembre, nel 2013 nomina anche la figlia ad e vicepresidente, nasce il Milan a due teste, che non può più dipendere da Fininvest. Barbara realizza Casa Milan e punta sullo stadio di proprietà ma il padre stoppa il progetto, mentre si cercano soci, soprattutto a Oriente.

La trattativa con Bee Taechaubol non decolla, quella con i cinesi è contorta, fra cordate che si sfaldano, caparre che arrivano dalle Isole Vergini per tenere rinviare due volte il closing aggirando i limiti all'esportazione di capitali imposti da Pechino. L'avvocato di Berlusconi, Ghedini, va anche in Procura per dimostrare ai magistrati la provenienza lecita dei fondi. Alla fine a Li serve un prestito ponte da 303 milioni di euro dal Elliott, da restituire in 18 mesi. Le ambizioni del proprietario cinese e l'influenza del fondo statunitense si comprenderanno meglio più avanti, intanto è finita l'era Berlusconi.



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