sabato 13 marzo 2021
Sono almeno 700 i militari giustiziati senza processo e senza prove, per non avere resistito all'attacco o per non avere eseguito ordini impossibili. Il Senato spinge per un provvedimento risolutivo
I soldati fucilati nella Grande Guerra: è il tempo della riabilitazione
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Si apre finalmente uno spiraglio per la riabilitazione dei militari fucilati nel corso della Prima guerra mondiale. Non si è fatto in tempo ad arrivarci nell’ambito delle celebrazioni del centenario della Grande guerra, non è stato possibile farlo per legge, ma ora una risoluzione approvata all’unanimità dalla Commissione Difesa del Senato, che presto dovrebbe arrivare all’esame dell’Aula, diventa un atto politicamente impegnativo per il governo.

L’obiettivo, stavolta da non mancare, è il centenario della traslazione del Milite Ignoto nel sacello dell’Altare della Patria, che ricorrerà il 4 novembre di quest’anno, in coincidenza con la Festa delle Forze Armate. Ricorrenza che il presidente Sergio Mattarella ha ricordato nel corso del suo messaggio di fine anno come uno degli eventi più significativi dell’anno in corso, a salvaguardia della memoria.

Fra l’altro il capo dello Stato conosce bene i contorni questa ferita aperta nella memoria collettiva, ed aveva auspicato che l’anniversario della Grande Guerra potesse costituire l’occasione per «meditare a fondo sugli eventi e sulle conseguenze di quel terribile conflitto», anche in relazione ad «alcune pagine tristi e poco conosciute». Pagine che, rimarcò Mattarella in occasione di un convegno di studi sui "Fucilati", «riguardano anche il funzionamento, in qualche caso, dei tribunali militari e la cosiddetta "giustizia sommaria". Una prassi che - ricordò il capo dello Stato - includeva la fucilazione immediata, senza processo, e persino il ricorso - sconcertante, ma incoraggiato dal comando supremo - alle decimazioni: soldati messi a morte, estratti a sorte, tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze».

La risoluzione approvata dalla commissione presieduta dall’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti (del Pd) in nome della «necessità di preservare la memoria di oltre 700 militari italiani (il numero complessivo, in realtà, potrebbe però superare i mille) fucilati nel corso della Prima guerra mondiale, anche in assenza di un comprovato e oggettivo accertamento di responsabilità», impegna all’unanimità il governo, per il tramite del ministero della Difesa, ad «affiggere nel complesso del Vittoriano», un’iscrizione in memoria dei "Fucilati della Grande Guerra", che dovrà essere «svelata nel corso di una cerimonia pubblica, auspicabilmente nell’ambito delle commemorazioni del centenario della Traslazione del Milite ignoto», per il quale proprio in questi giorni è stato siglato un protocollo d'intesa nell'ambito del ministero della Difesa. Viene inoltre prevista la pubblicazione «dopo gli opportuni approfondimenti storici» dei nomi e delle circostanze della morte di ciascuno dei caduti, «dandone comunicazione al Comune di nascita, per l’eventuale pubblicazione nell’albo comunale». Viene inoltre disposta la piena fruibilità degli archivi delle Forze Armate per l’accertamento dei singoli casi.

Un sollievo, sia pur dopo troppo tempo, per tante famiglie che oltre al dolore per la perdita dei loro cari in circostanze crudeli e drammatiche, hanno dovuto sopportare negli anni anche il peso del pubblico disonore. Un «risultato comunque importante » dopo l’«occasione mancata» delle celebrazioni del centenario della Grande Guerra, lo definisce lo storico Agostino Giovagnoli, che, da presidente in quegli anni della Società italiana di Storia contemporanea, aveva collaborato attivamente ai lavori preparatori per le celebrazioni che videro coinvolto un comitato tecnico scientifico presieduto dall’ex ministro della Difesa Arturo Parisi e un’apposita Commissione guidata dall’ex presidente del Senato, il compianto Franco Marini.

Un risultato, quello ora ottenuto, che risente sicuramente dello spirito di condivisione che caratterizza questa complicata fase politica che ha portato al varo del governo Draghi. Un ruolo importante lo ha svolto il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé, che ha contribuito a imporre una accelerazione a un lavoro che era stato già avviato dal governo precedente. «La "potenza" di uno Stato - spiega Mulé - si realizza nella sua capacità di sapersi voltare indietro e rileggere senza spirito di parte i fatti del passato. L’Italia - rimarca l’esponente di Forza Italia - con la risoluzione approvata all’unanimità in Commissione al Senato, dimostra la maturità di una nazione che ha saputo far tesoro della necessità di una memoria condivisa; non è un atto di revisionismo storico - rimarca - ma insieme di misericordia e di giustizia».

Un riconoscimento anche per chi ha speso tutto il suo impegno nell’approfondimento storico finalizzato a un atto riparatorio nella memoria collettiva. Irene Guerrini e Marco Pluviano, due studiosi genovesi che seguono da anni il caso, hanno dato alle stampe di recente, dopo il primo pubblicato nel 2004, il secondo volume sull’argomento (Fucilati senza un processo; Gaspari, pagine 250, euro 24,00) che ha tolto simbolicamente la "ceralacca" alla busta sigillata del "memoriale Tommasi" dal nome dell’avvocato generale militare (Donato Tommasi) che relazionò nel 1919 sulle esecuzioni sommarie, che ora possono avere nomi, tabelle e dati specifici. Un memoriale che consente di far luce, più complessivamente, su una delle pagine più tristi e drammatiche della storia del secolo scorso, ossia la disfatta e la ritirata di Caporetto.

Ricorda nella prefazione lo storico Alberto Monticone, uno degli antesignani di questa rivisitazione della vicenda dei Fucilati della Grande guerra, l’amnistia che il governo Nitti decretò per i reati dei militari condannati dai tribunali ordinari, «mentre le esecuzioni sommarie restavano insieme con le accuse di viltà» per i reparti della II Armata nella battaglia di Caporetto, «come una macchia oscura», superata dalla storia, «ma che non è ancora scomparsa nell’immaginario popolare. La stessa cultura civile italiana e la politica - rimarca Monticone - fanno fatica a cento anni da quelle vicende a riconoscere gli errori e a cercare di purificare la memoria, cosa cui altri Paesi - Francia ed Inghilterra - hanno già provveduto».

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