martedì 25 giugno 2013
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Nel silenzio internazionale, tra il 1925 e il 1929, il Messico visse una tragedia senza precedenti. Il governo della Repubblica, retto da un piccolo gruppo di potere chiamato gli uomini di Sonora provenienti dal nord massonico e protestante, decideva di inasprire le leggi antireligiose, che già colpivano i cattolici, con provvedimenti che resero impossibile ogni manifestazione religiosa. Era già accaduto nel 1874 e in altri momenti della storia messicana, poi il trentennale dominio di Porfirio Díaz, convertitosi dopo la morte della moglie, aveva calmato gli animi.Caduto Díaz era scoppiata la Rivoluzione, dominata da elementi giacobini e radicali, durante la quale, nel 1917, fu approvata una costituzione ferocemente antireligiosa. L’occasione di applicarla in tutta la sua radicalità arrivò con Plutarco Elia Calles che, con la Ley Calles del 1925, ne impose l’applicazione rigorosa in tutta la Federazione. La Chiesa perse ogni autonomia giuridica, fu accusata d’essere retrograda e responsabile di tenere il popolo nell’ignoranza dei propri diritti. Mai menzogna fu più palese giacché i sindacati cattolici erano i più attivi del Paese; il vivace laicato cattolico messicano aveva elaborato ambiziosi programmi di sviluppo delle classi meno abbienti, ispirandosi a un modello economico e associativo che proveniva dal cristianesimo sociale tedesco e dalla Rerum Novarum. Associazioni di mutuo soccorso, leghe, patronati, associazioni giovanili come l’Acjm, l’Up, con milioni di aderenti, aiutati da un’attiva Conferenza episcopale, organizzavano cooperative per aiutare i più bisognosi, istituivano scuole, centri di apprendistato. I sindacati cattolici miglioravano la condizione dei lavoratori distribuendo terre e istituendo banchi di mutuo soccorso. Tutto ciò infastidiva il terribile Crom, il sindacato di estrema sinistra retto da Luis Morones. Costui fu tra i più accesi sostenitori di quella Ley Calles che impedì la vita religiosa e comportò l’espulsione del clero, la cancellazione d’ogni cerimonia o rito, la confisca di tutte le istituzioni cattoliche (chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità).
Dal 1° agosto 1925 la Chiesa sparì dalla vita del religiosissimo popolo messicano. A quel punto si verificò ciò che nessuno aveva previsto: centinaia di migliaia di persone, appartenenti a tutti gli strati popolari, male armati, si diedero alla macchia in un’insurrezione spontanea. La gran parte dei vescovi, temendo un bagno di sangue, gridò alla moderazione. Ma cinque fra loro, provenienti dalle zone più colpite dai provvedimenti di Calles, non s’opposero: se Cesare diventa un tiranno, il popolo ha diritto di difendere la propria libertà, la propria anima. I generali dell’Esercito Federale pensavano di sconfiggere in breve tempo quegli insorti inesperti e male organizzati. Tuttavia, l’organizzazione si consolidò in pochi mesi, anche perché sostenuta da gran parte della società civile. Così nacque la «Cristiada», l’insurrezione di Cristo Re che coinvolse milioni di persone, costrinse i papi ad intervenire con tre encicliche, preoccupò le cancellerie di mezzo mondo. Interi Stati della zona centrale della Federazione caddero sotto il controllo di un esercito Cristero sempre più potente, organizzato e favorito dalla popolazione. La reazione dello Stato fu rabbiosa: massacri indiscriminati, campi di concentramento, impiccagioni di massa. I Cristeros erano in gran parte contadini ma vi erano anche cittadini: impiegati, funzionari, avvocati, studenti. La loro rete era sostenuta, talvolta affiancata, anche da una resistenza pacifica cittadina (il cui martire fu san Miguel Pro) che ricorreva ai boicottaggi, all’informazione, e cercava di far continuare la vita sacramentale nel nascondimento, come nell’Inghilterra anglicana o nella Russia sovietica. Migliaia di donne inquadrate nelle Brigate di Santa Giovanna d’Arco, sfidando ogni pericolo, procuravano le munizioni ai Cristeros, i quali arrivarono ad essere, agli inizi del 1929, quasi 50.000, in gran parte sottoposti alla disciplina di un esercito regolare. Pregavano, organizzavano messe da campo, non trascuravano il lavoro della terra o l’educazione dei figli. Intere comunità vissero per tre anni sulle falde dei vulcani di Colima, a Jalisco e Michoacán, dove si creò un contro-Stato perfettamente organizzato, grazie a personalità come il beato Miguel Gomez Loza.
Due generali spiccarono fra tutti: Gorostieta e Degollado. I soldati erano eroici, pronti al martirio per «conquistarsi il Paradiso» – come dicevano – se il prezzo della sconfitta era l’estirpazione del cristianesimo dal Messico. Nonostante l’appoggio logistico degli Usa che consentiva ai federali di non cedere, i Cristeros restarono saldi, e ad ogni sconfitta si moltiplicavano tenendo in scacco il nemico. Per anni il Messico restò diviso fra zone Cristero e zone controllate dai Federali; l’economia collassò, i morti furono decine di migliaia: 300.000 contando le vittime di malattie, fame, campi di concentramento. Non furono le armi a sconfiggere i Cristeros ma la diplomazia internazionale con gli Arreglos del 1929. La «Cristiada» stava procurando troppi lutti, la guerra rischiava di durare, occorreva un cessate il fuoco. Il vescovo Pascual Díaz, che avrebbe pagato con l’incomprensione la sua posizione moderata, riuscì a far firmare gli accordi senza immaginare che per 10 anni il governo li avrebbe traditi. Quando deposero le armi, i Cristeros furono uccisi a migliaia dai nemici, per vendetta. Il primo a raccontare con equilibrio questa storia dopo decenni d’oblio è stato lo storico francese Jean Meyer. Partito da posizioni ostili, egli ha cambiato il suo giudizio sui Cristeros sino ad arrivare, addirittura, alla conversione. L’epopea della «Cristiada», così poco conosciuta, con le sue decine di martiri canonizzati, innumerevoli eroi sconosciuti, e un esercito vincente che depose le armi su richiesta dei propri vescovi, è rubricata nei libri, incredibilmente, come un "episodio minore" della storia.
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