martedì 4 novembre 2014
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«Durante i secoli i cristiani d’Oriente sono sopravvissuti come ostaggi della dominazione islamica e della colonizzazione occidentale. Adesso la globalizzazione ha rotto definitivamente la loro capacità di resistenza. Sono stati sacrificati alla guerra imperiale dell’America con l’islam e alla guerra civile fra sunniti e sciiti». Quello che l’Occidente non sa, che i cristiani non sanno è che «la loro catastrofe è la nostra». A parlare in toni tanto severi è Jean-François Colosimo. Di religione ortodossa, insegna teologia all’istituto Saint Serge di Parigi ed è presidente del direttorio delle Editions du Cerf. Da sempre studia le comunità cristiane in Oriente. La settimana scorsa è uscito in Francia per Fayard il suo ultimo libro: Les Hommes en trop, "Gli uomini di troppo", che racconta della terribile persecuzione che stanno vivendo in Oriente i seguaci di Cristo travolti dall’avanzata dell’estremismo islamico, non solo in Iraq e in Siria.  Proprio a Colosimo è stata affidata, il 6 novembre a Roma, presso la Galleria dell’’Institut français-Centre Saint Louis, la conferenza  inaugurale della mostra "I cristiani d’Oriente", che in occasione dell’ottavo centenario dell’Ordine Domenicano, è stata realizzata con una selezione di immagini fotografiche scattate a inizio ’900 e in gran parte ancora inedite, provenienti dall’antico fondo della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme. Mostra che, con la collaborazione dei Pii stabilimenti della Francia a Roma e Loreto, viene presentata martedì sera alle 18.30 con la presenza del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali e di padre Jean-Michel de Tarragon della stessa Scuola biblica.  L’analisi di Colosimo mette in relazione le persecuzioni delle comunità cristiane in Oriente con la forte ripresa dell’espansione del cristianesimo nel mondo, in particolare in Africa («dove nel 2025 supererà abbondantemente l’islam) e nell’area del Pacifico. Insomma, sottolinea il teologo e saggista francese, è singolare come dopo l’espansione nel primo millennio nell’area mediterranea, nel secondo millennio nell’area atlantica e ora nell’area pacifica, si stia assistendo alla scomparsa del cristianesimo nelle terre dove è nato. A questo riguardo la visione di Colosimo è fortemente improntata al pessimismo: «Questa volta è davvero la fine per i cristiani in Oriente ». E nel suo libro aggiunge: «Iraq, Siria, Egitto, Armenia... questa tragedia firma il suicidio morale dell’Occidente. Sta per essere annientata la nostra più antica memoria e la nostra unica speranza di mediazione fra Occidente e Oriente». E per quelle chiese e città distrutte, per quelle antichissime comunità cancellate, per quei cristiani martirizzati e costretti alla fuga «le rimostranze umanitarie dell’Europa», così come le azioni militari e culturali condotte con l’idea di rivincita «sono per loro ancora più amare perché fino alla fine della loro agonia noi continueremo a strumentalizzarli nella negazione del nostro debito di civiltà nei loro confronti».  Un debito di dialogo, di civiltà e di capacità di convivenza che la mostra del centro San Luigi di Roma intende mettere in luce. Le 60 fotografie esposte, scattate quasi tutte fra il 1906 e la Prima guerra mondiale, testimoniano la ricchezza patrimoniale e storica delle popolazioni cristiane che vivono su quei territori dai tempi apostolici. Allo stesso tempo avvicinano alle tradizioni e alla vita quotidiana di quei fratelli nella fede, rendendoceli più familiari attraverso le loro feste, le loro abitudini e le loro occupazioni. Soprattutto, immagine dopo immagine, appare evidente quanto la loro vita e i loro culti fossero perfettamente coabitanti e integrati nelle società di appartenenza e quanto, di conseguenza, l’attuale situazione di ostracismo sia avulsa dalla storia e dalla cultura di quei luoghi. Quattro le sezioni della mostra. La prima è dedicata alla coabitazione secolare dei cristiani in Oriente con foto di vita comune a Gerusalemme, Giaffa, Damasco o in villaggi del Kurdistan, della Transgiordania. La seconda all’impegno di scolarizzazione (aperta alle donne) e modernizzazione di queste comunità. La terza alla formazione professionale e all’influenza culturale occidentale. La Quarta alla pluriconfessionalità delle tradizioni cristiane e alla convivenza col mondo musulmano ed ebraico.

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