sabato 30 novembre 2019
Suscita dibattiti e polemiche “Le nuove melancolie”, il libro dello psicanalista Massimo Recalcati per cui gli eccessi securitari sono il frutto dell’ossessiva ricerca di godimento
Massimo Recalcati (Salone del libro/WikiCommons/CC-By-4.0)

Massimo Recalcati (Salone del libro/WikiCommons/CC-By-4.0)

COMMENTA E CONDIVIDI

Una buona parte del libro è occupata dalle diverse articolazioni della "forclusione", forse il più caratteristico tra i dispositivi psicoanalitici teorizzati da Jacques Lacan (in sintesi estrema: ciò che non viene rielaborato nell’interiorità torna, presto o tardi, ad aggredire il soggetto dall’esterno), eppure lettori, recensori e detrattori via web sembrano concentrarsi esclusivamente sulle due pagine scarse in cui il principio generale della «pulsione securitaria» viene ricondotto al caso particolare italiano attraverso una serie di annotazioni sul passaggio dal berlusconismo al salvinismo. E dire che, oltretutto, Le nuove melancolie di Massimo Recalcati (Cortina, pagine 204, euro 19,00) è un saggio tutt’altro che divulgativo, a differenza di altri contributi più recenti del noto psicoanalista milanese.

In sostanza, il volume viene a comporre una trilogia della quale fanno parte Clinica del vuoto e L’uomo senza inconscio, usciti rispettivamente nel 2002 e nel 2010, quando ancora le crisi di governo non si consumavano sui social, la Brexit poteva essere formulata come ipotesi orwelliana e Donald Trump pareva accontentarsi della sua fama di telelicenziatore. Già prima del Papeete e dei porti chiusi, insomma, Recalcati aveva cominciato a ragionare su quelle che oggi definisce «nuove melancolie», in uno spettro molto ampio che dai disturbi alimentari arriva fino al «discorso del capitalista», altra fondamentale nozione lacaniana che rinvia alle degenerazioni maniacali dell’economia finanziaria.

Che cosa c’entra la politica? Moltissimo, e non è soltanto Recalcati a sostenerlo. Le riflessioni delle Nuove melancolie si inseriscono in una continuità storica più che secolare, che prende avvio con Sigmund Freud e ben presto si ramifica nelle pionieristiche indagini di Gustave Le Bon sulla psicologia delle folle, nei contributi di Erich Williem Reich, Erich Fromm e Henri Lefebvre su nazismo e fascismo, nel classico Massa e potere di Elias Canetti, su su fino all’anatomia delle "passioni tristi" proposta da Miguel Benasayag e Gérard Schmit, al disvelamento del nucleo oscuro nascosto sotto la "liquidità" moderna di cui si è occupato Zygmunt Bauman, alla tempestiva denuncia dell’ossessione per la sicurezza da parte di Mauro Magatti. Che il mondo contemporaneo non stia proprio benissimo, insomma, è nozione ormai ampiamente condivisa (lo ammetteva, non senza una punta di umorismo nero, anche il decano degli psicoanalisti italiani, Cesare Musatti).

Libero chi vuole di sostenere che la questione non lo riguarda, non fosse che la denegazione del sintomo è già di per sé stessa un sintomo e le nevrosi più insidiose, di norma, colpiscono proprio le persone che si ritengono al riparo da ogni nevrosi. Questa è, del resto, una delle questioni decisive su cui si sofferma il Recalcati delle Nuove melancolie: viviamo in un tempo che pretende di sottrarsi alla dimensione simbolica. Quando costruiamo un muro, per esempio, ci illudiamo che si tratti soltanto di un manufatto, calce e mattoni, acciaio e cemento. Come se ognuno di questi elementi non evocasse un sistema di linguaggio, come se qualsiasi costruzione non implicasse una visione del mondo.

Sviluppando le premesse dei già ricordati Clinica del vuoto e L’uomo senza inconscio e aggiornandone le osservazioni alla situazione attuale, Recalcati torna a sottolineare che siamo entrati in una fase per molti aspetti diversa rispetto a quella codificata da Freud. Nevrosi e psicosi non derivano più dall’incapacità di adeguarsi a una "Legge" patita come intollerabile, ma sono l’esito di una ricerca del godimento talmente spasmodica da risolversi in ripetizione ossessiva e, da ultimo, in cancellazione del desiderio. Non si desira più perché, se si desiderasse, si sarebbe costretti ad ammettere una mancanza ormai inconcepibile e insopportabile.

È la freudiana «pulsione di morte» a prendere il sopravvento: l’ombra che rende 'scabroso' il soggetto, per ricorrere alle categorie di Slavoj Žižek, uno degli autori che Recalcati cita spesso pur dissentendo dalla sue conclusioni. Anziché aprirsi verso l’esterno (e quindi verso l’altro), la società del XXI secolo preferisce rinchiudersi entro confini che considera rassicuranti, nella malriposta speranza di riuscire a eludere la complessità dell’esistenza individuale e collettiva. Non si tratta di un’esclusiva di nazionalisti e sovranisti, perché questa implicazione 'fascista' dell’inconscio non appartiene solo ai fascisti, veri o presunti, dichiarati o immaginari. Bisogna sempre sapere con chi si ha a che fare, specie quando si ha a che fare con sé stessi. A questo, in fondo, serve la psicoanalisi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: