venerdì 2 giugno 2023
Fra il fantastico e il realismo autobiografico, l'autrice vicentina racconta il senso dell’esistere nella confusa società di oggi attraverso la vicenda di due sposi, lui avvocato lei psicoanalista
La scrittrice Mariapia Valadiano

La scrittrice Mariapia Valadiano - Basso Cannarsa

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Sembra che tutto succeda nelle ultime trenta pagine o giù di lì, ma a lettura terminata ci si rende conto che la storia è iniziata molto prima, dispiegandosi con la leggerezza di un merletto. Bianca, la moglie del protagonista e narratore Angeletto, ha una predilezione per quel tessuto impalpabile ed elegante, nel quale il marito ritrova la qualità più autentica del loro amore. Un’intimità fatta di complicità e ironia, di parole dette e altre taciute in attesa che venga il tempo di rivelarsi qualche altro segreto. La riservatezza professionale è, del resto, uno degli elementi che più accomuna i personaggi principali del nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, Quel che ci tiene vivi (Guanda, pagine 240, euro 18,00) . Ambientato in una Vicenza innominata e riconoscibilissima, il libro parla con la voce di Angeletto, ma spesso fa arrivare al lettore l’eco di quella di Bianca. Avvocato lui, psicoanalista lei, incontratisi per caso quando l’uomo ha dovuto fronteggiare una specie di blocco professionale. La terapia, di per sé, non è nemmeno incominciata. Angeletto si innamora al primo sguardo di Bianca e glielo dice senza esitazione. Lei gli piace perché è «tuttavita », sostiene. Quell’espressione bizzarra si riproporrà più avanti, solo che allora sarà Bianca a riservare l’appellativo ad Angeletto, lasciandolo sconcertato. Più che dalla vita, infatti, la sua infanzia è stata dominata dalla morte dei giovanissimi genitori, consumatisi in un suicidio di coppia dopo anni di sorde recriminazioni. Angeletto è stato un bambino esperto nell’arte di rendersi invisibile, fino a quando su di lui non si è posato lo sguardo di Giuditta, la vicina di casa che lo ha cresciuto e che, in modo forse involontario, lo ha indotto a studiare giurisprudenza. Se Giuditta è specializzata nella tutela dei minori, Angeletto si occupa prevalentemente di diritto di famiglia. Il suo studio è il campo di battaglia di coppie sull’orlo della separazione, di madri che diffidano dei figli, di figlie che si alleano con i padri. L’avvocato ascolta tutti, dopo di che si prende la libertà di non accettare questo o quel caso. Poche stanze più in là, nella magnifica casa che Bianca ha ereditato dalla famiglia, i pazienti confidano all’analista traumi e fallimenti. A dispetto delle apparenze, non si tratta di estraneità, ma di reciproco rispetto. Da ultimo, si tratta di amore.

Prima ancora che la trama si delinei nella sua forma definitiva, Quel che ci tiene vivi si presenta come un raro (e bellissimo) romanzo di amore coniugale. Angeletto e Bianca sanno fin troppo bene che l’infelicità insidia anche le famiglie più insospettabili, e non solo per via della loro professione. Della sventura di lui abbiamo detto, quella di lei rimane appena accennata. C’è stato un incendio, c’è stato un salvataggio quasi miracoloso, ma il resto rimane nell’indistinto. Angeletto, che si proclama agnostico, è convinto che presto o tardi Bianca condividerà anche quella parte del suo passato. Per il momento, è contento della sua vita così com’è. Anzi, della loro vita, nella quale Bianca porta la grazia di una fede praticata con incrollabile pudore. Nulla di quanto arriva dall’esterno turba veramente questo equilibrio, neppure l’apparizione di un bambino nel quale Angeletto si imbatte durante uno dei suoi periodici ritorni nel brutto condominio di periferia dove si è svolta la tragedia dei genitori. L’appartamento è ancora lì, destinato a svuotarsi con una lentezza che corrisponde alla fatica con cui il protagonista si separa dal proprio passato. Salvino (così dice di chiamarsi il bambino) se ne va in giro da solo, di notte, proprio come era solito fare Angeletto per sfuggire alla cupezza dell’ambiente domestico.

Per qualche pagina si ha l’impressione che il racconto possa virare nel fantastico, ma la vicenda è molto più realistica di quel che si potrebbe immaginare. Non per questo, tuttavia, è priva di implicazioni spirituali. Tanto per cominciare, Salvino si esprime con un eloquio forbito e straniante, diretta conseguenza della sua condizione di soggetto autistico. Più in profondità, il piccolo nottambulo assume di sé il ruolo del figlio che Angeletto si ostina a non desiderare, timoroso com’è del riproporsi di un’infelicità da cui ancora si sente minacciato. Quale sia la svolta del romanzo, e quale la soluzione, è un riuscito arcano narrativo sul quale va mantenuto il riserbo, adeguandosi allo stile di Bianca e Angeletto. Di sicuro, però, Quel che ci tiene vivi conferma l’attitudine di Veladiano a riconoscere la grandiosità di avvenimenti che parrebbero minuti, lungo una linea che dal felice esordio di La vita accanto (2011) si è dipanata di titolo in titolo, ora dando maggiore risalto all’elemento teologico (si pensi a Lei, che nel 2017 ricostruiva con poetico rigore la figura di Maria di Nazaret), ora facendo affiorare con discrezione il dato autobiografico (come in Adesso che sei qui del 2021). Sono libri che, a un certo punto, assumono la consistenza lieve e tenace del merletto, questa successione di vuoti e pieni che ci ricorda quanto all’amore si addica il silenzio. Se proprio di amore si vuole parlare, meglio affidarsi al racconto, che dice e non dice. E, non dicendo, dice tutto quello che conta.

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