sabato 24 agosto 2019
Di Capua, lo storico timoniere dei fratelli Abbagnale oggi è punto di riferimento del canottaggio con disabilità: «Voglio portare questi atleti alle Olimpiadi»
Peppiniello Di Capua, 61 anni, oggi timoniere della Nazionale di pararowing (canottaggio disabili)

Peppiniello Di Capua, 61 anni, oggi timoniere della Nazionale di pararowing (canottaggio disabili)

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Un profumo dolce e inebriante taglia l’aria calda che avvolge il porto e ti conquista non appena si varca l’uscio della sua bottega. Il timoniere più famoso d’Italia dirige uno storico biscottificio di Castellammare di Stabia (Napoli). Giuseppe Di Capua, noto a tutti come Peppiniello, nato a Salerno ma stabiese doc, è un uomo buono al pari dei suoi rinomati biscuits: «Mio nonno materno, Vincenzo Cascone, aprì questo locale nel 1908. Adesso sono soprattutto i miei figli a prendersene cura». Una tradizione vincente come del resto la gloriosa carriera di questo signore ora 61enne, diventato un’icona dello sport italiano. Ieri con i normodotati e oggi anche con gli atleti paralimpici. «Prego, avanti», dice con tono vigoroso ma gentile ai clienti che si avvicendano in questo luogo squisito sovrastato dalle vecchie case dei pescatori. La Torre della vicina piazza dell’Orologio scandisce le ore ma qui dentro il tempo sembra essersi fermato. Dietro il bancone ti accoglie lui, leggenda del canottaggio, che ha scritto pagine indelebili insieme ai due celebri “fratelloni” Abbagnale: «Ho cominciato un anno prima di loro, nel 1972, grazie a un mio amico. Avevo 14 anni».

La sua favola di timoniere è iniziata allora. E 155 centimetri di altezza gli sono bastati per entrare nella storia: «La statura non è un problema, ciò che conta è rispettare il peso, che deve avere un minimo e un massimo, in genere tra 50 e 55 kg. Poteva succedere che durante l’anno pesavo di più, ma per le gare importanti riusci- vo sempre a rientrare. Sono sempre stato ligio». La differenza la fa altro: «Per stare al timone ci vuole tanta tecnica, sei un allenatore in barca, devi vedere come mettono il remo in acqua, contare i colpi al minuto… È come guidare una Ferrari: la macchina può essere anche potente, ma se o’ pilot non è bravo a mettere le marce…». Il segreto però dei trionfi targati Abbagnale-Di Capua, è a poche centinaia di metri da qui: tanto dista dal biscottificio il pluridecorato Circolo Nautico Stabia. «Lì ci allenavamo giorno e notte per 363 giorni all’anno (escluso Natale e Capodanno). Di mattina in barca, di sera con i pesi. Se abbiamo vinto tanto è perché ci siamo preparati tanto. Il talento serve, ma se non hai predisposizione al sacrificio non vai da nessuna parte».

Un’epopea che negli anni Ottanta e Novanta sembrava inarrestabile: «Ogni anno dicevano che eravamo finiti. Ma poi finivamo sempre sul podio pur contro avversari eccezionali ». La bacheca di Peppiniello è impressionante: «Con Carmine e Peppe (Abbagnale) ho vinto sette titoli mondiali. Ma alla rassegna iridata del 1982 ho vinto anche l’oro negli “8 pesi leggeri”, la prima volta per l’Italia con questa imbarcazione». Difficile ovviamente scegliere il successo più bello in carriera: «I due ori olimpici, 1984 e 1988, sono il massimo. Il secondo a Seul, ancora più importante perché ci siamo confermati ». Un’unica grande sconfitta: «L’argento di Barcellona ’92 è stato amaro perché è stata l’unica volta che abbiamo perso una gara nel finale. Ma nello sport può succedere. Non ho nessun rimpianto: ho raccolto soddisfazioni così grandi che ricompensano tutti i sacrifici fatti».

All’orizzonte però in acqua non si vedono eredi: «Ma il nostro è stato un ciclo molto lungo, di oltre dieci anni, difficile da ripetere. Ci sono stati bravi atleti anche dopo di noi, ma non è facile oggi invogliare i ragazzi a svegliarsi alle 5 di mattina per allenarsi ». E intanto incombono i Mondiali di Linz in Austria: «Io sono fiducioso, abbiamo atleti che possono dare grandi soddisfazioni all’Italia e conquisteremo tanti pass olimpici». Ma il forno del biscottificio è ancora caldo come i ricordi di quegli anni d’oro. È allora inevitabile girare lo sguardo sulle foto dei trionfi con gli Abbagnale: «Ogni tanto guardo quegli scatti e mi dico: “Guarda un po’ dove siamo arrivati”. Siamo rimasti grandi amici, abbiamo gioito e pianto assieme tante volte. E ogni tanto i miei figli mi fanno rivedere i video storici con le telecronache di Galeazzi… Ma il passato è passato. Ora sono concentrato su un’esperienza ancora più forte». Peppiniello infatti è tornato in acqua per una nuova sfida, il pararowing (canottaggio per atleti con disabilità): «Dopo essermi ritirato nel 1996, sei anni fa mi hanno chiesto di fare il timoniere della Nazionale paralimpica. Non sono riuscito a dire di no: sono innamorato di questo sport. E poi lavorando con questi ragazzi ho scoperto che mi danno più di quanto io dia a loro. Sebbene loro dicano il contrario. Ci sono disabilità differenti, alle braccia o alle gambe, e anche ragazzi ciechi. Ma la sfida più grande per me è non farli sentire diversi. Senza nessun pietismo e dandogli tutta la fiducia possibile». E anche al timone degli azzurri del pararowing ha cominciato a raccogliere medaglie preziose, come argento (2013) e bronzo mondiale (2014).

Successi costruiti ancora una volta ripartendo daccapo e con la grinta di sempre. Come quando dismessi i panni di atleta è tornato al suo lavoro di impiegato Telecom e al biscottificio: «Non mi è pesato per nulla. Di canottaggio non si può vivere e poi ai miei tempi gli sponsor erano ancora meno di oggi e i premi non ti consentono di vivere di rendita. Sono sempre stato abituato a lavorare. Ma in fondo durante la mia carriera i sacrifici maggiori li hanno fatti mia moglie e i miei figli perché spesso ero lontano da casa». Sulle pareti tra gli scaffali spicca anche un vecchio quadro di sant’Antonio: «C’è da sempre. La mia famiglia è molto devota. E io mi ritengo un uomo fortunato. Sono sposato dal 1987, il matrimonio è stato un dono incredibile così come la nascita dei miei tre figli: hanno provato col canottaggio ma poi si sono realizzati in altri campi e io sono felice per loro». Lo si legge anche nei suoi occhi azzurri come il mare che tradiscono però ancora un altro sogno: «Dopo Rio 2016, vorrei ritornare alle Olimpiadi, l’anno prossimo a Tokyo, con gli atleti paralimpici. Vedere nei loro occhi la gioia e la soddisfazione di superare ostacoli difficili è un’esperienza che ti rimane dentro».

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