martedì 19 febbraio 2019
Primi test per un cocktail di sostanze anti-invecchiamento. Scoperta una sostanza che ripara i neuroni e promette di ripristinare una memoria efficiente. Ma è giusto investire sul ringiovanimento?
Più giovani uccidendo le cellule invecchiate. È l'elisir di lunga vita?
COMMENTA E CONDIVIDI

Si può fermare l'invecchiamento? Il 2019 si è aperto con alcuni interessanti annunci scientifici, soprattutto sul fronte dei senolitici, sostanze che fanno espellere le parti in decadimento del nostro organismo. L'elisir di lunga vita, si sa, è un sogno dell'umanità fin dai tempi più antichi. Faust, nell'opera di Goethe, fa un patto con il diavolo per ringiovanire, mentre Dorian Gray, nel romanzo di Wilde, riesce a non incanutire mentre è il suo ritratto in soffitta a diventare decrepito.

Oggi si cerca una molecola che possa essere altrettanto efficace ma senza i gravi effetti collaterali delle storie letterarie appena citate. L'inseguimento della giovinezza a tutti i costi infatti comporta per il dottor Faust e Dorian Gray una discesa nel vizio e nella violenza. Forse perché l'idea degli autori è che non si debba cercare di violare il normale corso della natura. E la natura sembra inesorabilmente condurci dal pieno vigore alla senescenza.


Due pillole e "si ringiovanisce"

Un trattamento anti-vecchiaia ha superato il primo test all'inizio di quest'anno, con 14 volontari che hanno assunto un mix di sostanze mirato a "uccidere" le cellule ormai tossiche, come riferisce la "Mit Technological Review". I pazienti hanno ricevuto due pillole che James Kirkland e i suoi colleghi della Mayo Clinic ritengono possano eliminare selettivamente le cellule invecchiate: il farmaco per la leucemia Dasatinib e un integratore chiamato quercetina.

Si tratta di uno studio preliminare su persone affette da una malattia grave, la fibrosi polmonare idiopatica, che ha una diagnosi infausta e per le quale non c'è una cura davvero efficace. Ciò ha convinto i 14 malati a partecipare all'esperimento. I ricercatori hanno rilevato che nove dosi delle due sostanze nell'arco di tre settimane sembrano ai pazienti la capacità di camminare per una distanza maggiore in un tempo fisso e di avere risultati migliori in altri parametri legati all'età.
Si tratta, come detto, di un primo test, cui dovrebbero seguire tre livelli di sperimentazione secondo precisi protocolli (con gruppi di controllo che non assumono i farmaci) prima che si possa avere una autorizzazione all'uso da parte della Food and Drug Administration americana.

La Unity Biotechnology di Brisbane, in California, sta già sviluppando due farmaci senolitici, il primo dei quali è nella fase 1 di sperimentazione clinica per l'osteoartrosi: viene iniettato direttamente nelle ginocchia. I senolitici prendono di mira le cellule invecchate, che hanno esaurito la loro capacità di dividersi ma rimangono in grado di rilasciare segnali chimici. "Si ritiene che queste cellule e le sostanze che producono siano coinvolte nel processo di invecchiamento", ha spiegato alla "Mit Review" Nicolas Musi, che ha partecipato alla sperimentazione e dirige l'Istituto Sam e Ann Barshop per gli studi sull'invecchiamento e la longevità presso l'Università del Texas a Austin. "L'ipotesi è che la rimozione di queste cellule possa essere utile per promuovere l'invecchiamento sano e anche per prevenire le malattie connesse".

In precedenti test sui topi, una combinazione di dasatinib e quercetina, che è un pigmento vegetale, aveva dimostrato di eliminare le cellule invecchiate e prolungare il tempo in cui gli animali rimanevano sani (anche se non li faceva vivere più a lungo).

Dai ricercatori non coinvolti nello studio arrivano però alcune avvertenze. In primo luogo, accade spesso che ciò che sembra funzionare sui topi non funzioni poi sugli esseri umani. Secondo, le cellule senescenti e le loro secrezioni sono utili in alcune fasi della vita, per esempio quando si guarisce da una ferita o durante la gravidanza, per cui non andrebbero eliminate del tutto. Infine, non bisogna cercare di autosomministrarsi queste sostanze (la quercetina è un integratore già in commercio), pratica che potrebbe risultare pericolosa.


La memoria può tornare efficiente?

Dal convegno 2019 dell'American Association for the Advancement of Science sono invece arrivati altri due annunci che hanno destato curiosità e speranze. Ricercatori statunitensi e canadesi hanno adottato nuovi approcci per cercare di prevenire la diminuzione di memoria e il declino cognitivo che può arrivare con la vecchiaia.

Nello specifico, un team dell'Università della California-Berkeley ha mostrato che il declino mentale potrebbe essere causato dalla perdita di elasticità dei vasi sanguigni nel cervello. Questi ultimi infatti consentono solo il flusso di sostanze nutritive e ossigeno, bloccando le molecole più grandi e potenzialmente dannose. Ma la tenuta della cosiddetta barriera emato-encefalica declina con l'età. E in parallelo pare che crescano i fenomeni infiammatori delle aree cerebrali in cui la barriera diventa meno robusta.

Daniela Kaufer, che guida il gruppo di Berkeley, ha scoperto una sostanza capace di arrestare il danno alla barriera emato-encefalica. Nei topi geneticamente modificati rispetto ai vasi sanguigni vi sono minori segni di invecchiamento, mentre la sostanza ha invertito i segni dell'invecchiamento nei topi più anziani. L'ipotesi è che con l'età non si perda qualcosa, ma si sia vittime dell'infiammazione, uno dei principali nemici del nostro organismo.

In un altro studio, che ha ricevuto ancora maggiore enfasi sui media, a partire dal "Guardian", ricercatori canadesi hanno invertito il declino cognitivo nei topi utilizzando un approccio alternativo. Hanno preso di mira un tipo di cellule cerebrali note per essere un "anello debole" in molti disturbi. Si tratta dei cosiddetti neuroni positivi alla somatostatina (detto l'ormone della vecchiaia perché i suoi livelli crescono con l'età). I segnali emessi da queste cellule sono troppo deboli per essere ricevuti dai neuroni circostanti e, quindi, si ha una perdita di informazione per altre parti del cervello.

Etienne Sibille, dell'Università di Toronto, ha identificato una sostanza chimica che essenzialmente amplifica il segnale. Il nuovo farmaco è un derivato della benzodiazepina, una famiglia di farmaci che include gli ansiolitici Valium e Xanax. Mentre questi ultimi hanno effetti ad ampio spettro nel cervello, il nuovo farmaco è progettato per colpire specifici recettori del GABA presenti sui neuroni in aree chiave del cervello, come l'ippocampo, che sono fortemente coinvolti nella cognizione e nella memoria in particolare.

Le ricerche sui deficit di memoria ha mostrato che esso è in parte collegato proprio ai livelli del neurotrasmettitore Gaba. Il suo normale compito è di rallentare la velocità con cui i neuroni si attivano, attenuando il "rumore" elettrico nel cervello. Se si riduce questo rumore di fondo, è più facile per il cervello elaborare importanti segnali legati, per esempio, ai processi cognitivi.

Gli scienziati hanno testato il farmaco su topi posti in un labirinto e hanno visto che mezz'ora dopo aver ricevuto una singola dose gli animali più vecchi avevano prestazioni buone quasi quanto quelle dei topi più giovani. E il farmaco ha ripristinato anche le prestazioni di topi giovani i cui ricordi erano stati temporaneamente compromessi dallo stress derivante dall'essere tenuti confinati in uno spazio ristretto.


Public Domain

Ma è giusto investire sul ringiovanimento?

Sibille e i suoi colleghi sperano di avviare le sperimentazioni cliniche su pazienti umani tra due anni. Il farmaco potrebbe essere assunto come pillola di suo quotidiano dagli ultra-cinquantacinquenni, se gli studi clinici dimostreranno che il farmaco è sicuro ed efficace. Il trattamento, tra l'altro, non è mirato solo al declino cognitivo "normale" degli anziani, ma anche alla perdita di memoria e ai disturbi mentali che affliggono le persone con depressione, schizofrenia e morbo di Alzheimer. I test di laboratorio non hanno invece mostrato alcun beneficio quando il farmaco è somministrato a giovani animali sani. Ciò suggerisce che non potrebbe essere usato come potenziatore cognitivo per dare alle persone sane capacità di memoria superiori alla media.

I ricercatori canadesi hanno presentato una domanda di brevetto sul farmaco prima di annunciarlo al convegno dell'American Association for the Advancement of Science. Saranno i prossimi anni a dirci se la vecchiaia potrà essere almeno frenata con i farmaci, senza dimenticare però che i maggiori progressi sono stati ottenuti finora con i miglioramenti delle condizioni di vita e con la cura delle malattie più comuni. Bisogna infatti tenere presente che se oggi la vita media si avvicina agli 80 anni, pochi secoli fa si fermava a 40.

E rimangono anche le perplessità etiche su grandi investimenti destinati, nella migliore delle ipotesi, a fare guadagnare qualche anno di esistenza e capacità cognitive meno deteriorate a una minoranza di cittadini ricchi, mentre milioni di abitanti poveri del Pianeta fanno ancora i conti con un'aspettativa di vita assai più bassa, che si potrebbe innalzare con una più equa distribuzione delle ricchezze.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI