sabato 4 giugno 2022
Dall'Ucraina al Brasile, 88 tra ragazzi e ragazze di tutto il mondo hanno partecipato alle Olimpiadi Internazionali di Filosofia. Giulia Pession, medaglia d’oro: «Abbiamo bisogno di orizzonti larghi»
Ragazzi intervengono alle Olimpiadi Internazionali di Filosofia di Lisbona

Ragazzi intervengono alle Olimpiadi Internazionali di Filosofia di Lisbona - Ipo 2022 / Rita Valério & João Cravo

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“Sai qual è il problema di un gran numero di ucraini oggi? Il sale”. Liubov si accorge del mio stupore e sorride. “Hanno distrutto le fabbriche. Ora lo compriamo in Polonia, ma la maggior parte delle persone in Ucraina oggi non ha accesso al sale”. “Se però vuoi sapere cosa serve agli studenti ucraini”, aggiunge Natalia, “il sale non c’entra. Servono borse di studio, accoglienza nelle scuole e nelle università europee, anche per brevi periodi; e lezioni online. Bisogna creare cicli di lezioni a distanza per alunni e studenti residenti in Ucraina”.
Natalia Lehka e Liubov Terekhova guidano la delegazione ucraina alle Olimpiadi internazionali di Filosofia di Lisbona. Durante la cerimonia inaugurale, il ministro dell’Educazione, João Costa, ha tributato loro un lungo, commosso saluto. “Parlare, scambiare idee, far sentire la propria voce è importante per noi”, spiegano. “Il rischio è che a spiegare quel che sta accadendo in Ucraina siano sempre voci occidentali, talora russe… Per questo è importante essere qui”.
Le ragazze che accompagnano, Khristina e Olaksandra, hanno storie diverse. Olaksandra vive da tempo nel Regno Unito, dove intende studiare scienze politiche. La sua prospettiva è cosmopolita, non ha intenzione di tornare in Ucraina. “È il mio paese, gli devo la mia formazione – dice – ma non voglio limitare la mia vita a un unico luogo. In prospettiva, vorrei lavorare in una Ong o in un’organizzazione internazionale”. Khristina vive a Leopoli: insieme a Natalia hanno viaggiato quasi due giorni per arrivare a Lisbona. Questo è il suo primo viaggio all’estero. “Come siamo arrivate qui? Da Leopoli abbiamo preso un bus per Cracovia, poi un aereo per Barcellona e un altro per Madrid. In Ucraina oggi ci si può spostare, ma con difficoltà e naturalmente con qualche rischio”.

Ammiro il loro understatement. Queste ragazze non sembrano aver perso la capacità di proiettarsi nel futuro: anzi guardano con fiducia ai loro impegni, agli studi universitari, alla vita professionale che hanno iniziato a pianificare. Certo essere a Lisbona è anche un momento di liberazione: “Riuscire a non pensare alla guerra per alcuni giorni, incontrare coetanei con cui parlare di filosofia, di storia, delle nostre vite e dei nostri paesi, ci riporta a una dimensione di normalità”. Ma Khristina avverte una responsabilità: “È importante spiegare ai nostri amici quel che sta succedendo in Ucraina. In molti casi hanno solo informazioni indirette, che non dicono granché. Non sanno molto della nostra vita quotidiana”.

Essere qui è anche un modo per non sprecare il lavoro svolto nei mesi e negli anni scorsi, spiega Natalia. C’è un tema che ritorna nei loro discorsi e che aiuta a comprendere la prospettiva di queste ragazze. “Gli studenti ucraini sono apertissimi sul mondo: l’inglese è sempre più la loro lingua di riferimento, quella in cui si svolgerà gran parte della loro vita professionale”. Quest’osservazione vale anche per Khristina, che pure vuole rientrare in Ucraina e non riesce a immaginare la propria vita in altri posti. “Può sembrare strano, ma nonostante la paura mi sento sicura solo a casa. So che al rientro ricominceranno gli allarmi aerei, i rifugi, l’incertezza – ma quella è casa mia ed è lì che mi sento più al sicuro. Però so anche che qualsiasi lavoro si svolgerà per la maggior parte in inglese. E appena finito il liceo andrò a studiare per due anni in Norvegia”.

È una miscela solo in apparenza contraddittoria tra radicamento nazionale e desiderio di apertura internazionale. Ed è uno degli aspetti peculiari, e forse meno scontati, del loro modo di essere.
Khristina e Olaksandra (quest’ultima riceverà una delle menzioni d’onore) sono due degli 88 tra ragazzi e ragazze di tutto il mondo che hanno partecipato alle Olimpiadi filosofiche di quest’anno. Per loro, come per la maggior parte dei loro coetanei, il successo più grande è essere qui. Non tutti i paesi hanno potuto partecipare. Molti sono ancora soggetti a restrizioni sanitarie, a cominciare da Cina e India. I bielorussi hanno preferito non esserci, mentre alla delegazione russa non è stato confermato l’invito.

Giulia Pession, 19 anni, di Aosta, è una delle due medaglie d’oro: un riconoscimento che dimostra di meritare sino in fondo quando sottolinea che a cambiarla davvero è stata l’esperienza di questi giorni. “Stare insieme con ragazzi e ragazze di tutti i continenti, uniti dalla passione per la filosofia, è stata la vera vittoria. Per noi la filosofia è stata un collante, il mezzo con cui interagire e allargare i nostri orizzonti”. Detto così, sembra che la medaglia d’oro sia un dettaglio trascurabile. “La medaglia è il culmine di un percorso e ovviamente fa piacere, ma non cambia il senso di un’esperienza. La cosa straordinaria è stata parlare di quel che accade oggi con persone di altri paesi e farlo da punti di vista diversi. Con i ragazzi estoni, ad esempio, abbiamo discusso di quel che succede in Ucraina, del modo in cui vedono la Russia, a partire da prospettive del tutto differenti. Questo è stato straordinario. La medaglia fa molto piacere, ma non è l’essenziale”.

Anche Tobias la pensa così. Ha diciotto anni, viene da Duisburg e ha vinto l’altra medaglia d’oro di quest’olimpiade. Nel suo saggio ha analizzato il tema della colpa e della responsabilità collettiva, a partire da una traccia di Hannah Arendt. “Ma la cosa incredibile è stato incontrare nuovi amici di ogni parte del mondo, uniti da interessi così simili. È tutto talmente diverso dalla vita che faccio a casa che mi sembra quasi irreale”. Tobias studierà storia ed economia in un’università tedesca, “ma questa è un’esperienza che mi porterò dietro per tutta la vita. La medaglia è del tutto inaspettata, ma chiunque partecipi dovrebbe farlo per il valore di quest’esperienza”.

Viene da pensare che questi ragazzi siano più maturi degli adulti che li accompagnano. O forse sono solo più adatti a un mondo sempre più complicato, più vario, in cui cooperare è più importante che competere. Di questo sembrano pienamente consapevoli e in fondo è questo che rende l’olimpiade filosofica così particolare: sanno che torneranno a casa diversi, cresciuti, e che, indipendentemente dal medagliere, avranno vissuto un momento importante nella propria formazione. Sanno che non si cresce solo vincendo, si cresce anche perdendo, stando insieme, ragionando, discutendo e chissà, forse anche amandosi in questi pochi giorni di vita in comune.
È questa straordinaria maturità, oltre alla passione per la filosofia, a unire i ragazzi presenti a Lisbona. Chi ha il compito di formarli li osserva muoversi secondo dinamiche proprie della loro età, che qui si arricchiscono della loro diversità e della loro curiosità intellettuale. Ognuno esprime se stesso in modi diversi. Come Nate, che ha smesso di andare a scuola da tre anni ed è scolarizzato a domicilio: ha vinto le selezioni nazionali thailandesi e, qui, ottenuto una medaglia di bronzo. Non ha mai studiato filosofia a scuola, ma a quanto pare ne ha letta molta (“soprattutto Aristotele e Kant”, dice il docente che l’accompagna). O come Ilana, giunta dal Brasile con i genitori e commossa sino alle lacrime all’annuncio della medaglia di bronzo assegnatale dalla giuria. Come il ragazzo che ama sfidare le convenzioni di genere indossando bianchi pantaloni a palazzo e un giro di perle. E come tutte le ragazze e i ragazzi che si sono ritrovati qui, ciascuno con il desiderio di confrontarsi con gli altri, dopo la grande edizione di Roma 2019 e due edizioni online durante la pandemia.

Queste relazioni dureranno a lungo. “Certo che rimarremo in contatto attraverso i social”, dice Tobias. “Nessuno di noi ha intenzione di perdersi di vista”. L’ultima sera è tutto uno scambiarsi indirizzi, lasciare appunti gli uni sui quaderni degli altri, abbracciarsi a gruppi di tre, quattro, cinque, prima di prendere insieme ai propri insegnanti la strada per l’aeroporto. Quanto potranno durare queste amicizie iniziate a diciott’anni – sessanta, settant’anni? Forse addirittura di più? Fa impressione pensare che l’intero secolo sarà percorso da questi sottilissimi fili che, attraversando i continenti, contribuiranno a tesserne la trama umana e culturale.
È questa dimensione partecipativa a rendere l’olimpiade filosofica così preziosa non solo per gli allievi, ma anche per gli insegnanti che li accompagnano. Le dinamiche che questi adolescenti mettono in scena, i loro modi di presentarsi, di vestirsi, di atteggiarsi, non sono affatto segnali irrilevanti per chi deve guidarne il processo di maturazione. Osserviamo attentamente chi sceglie di presentarsi in abiti tradizionali, chi anche a pranzo non rinuncia a un abito da sera, chi è a proprio agio e chi invece non si allontana dagli insegnanti, chi capita di incontrare, in piccoli gruppi, in giro per le vie di Lisbona o di Amada… Queste modalità di interazione dicono moltissimo su di loro e sul loro modo di entrare in relazione con gli altri – in breve, sul futuro che li aspetta. Sono relazioni inedite per la maggior parte di essi e ci aiutano a capire meglio anche i loro coetanei, che magari ritroveremo all’olimpiade fra qualche anno.
Molto dicono anche i loro scritti. Troppo spesso si ha l’impressione che la loro originalità sia compressa da schemi che tendono a uniformare l’espressione, anziché a esaltare le loro individualità. Evitiamo di dar loro dei format prestabiliti nel comporre un testo. Aiutiamoli invece a considerare la filosofia come un mezzo per elaborare ed esprimere la propria personalità, i propri sentimenti, le proprie giovani esperienze. Incoraggiamoli a uscire dai sentieri già battuti, a ricercare la critica anziché il commento, a essere irriverenti, anche a sbagliare magari per troppa foga, per troppa vitalità. Troppi scritti, in questa edizione, sembravano formattati secondo un medesimo vademecum; in troppi tradivano il timore di commettere errori: quando a diciott’anni si ha non solo il diritto, ma anche il dovere di sperimentare, tentare, trasgredire. Nelle discussioni della giuria è questo il motivo di preoccupazione che è emerso con maggior vigore e su cui si è deciso di lavorare per il futuro.
È insomma un complesso processo di formazione generazionale, una società nel suo farsi, che vediamo dipanarsi in questo microcosmo vitale e culturalmente variegato che è l’olimpiade filosofica. E anche in Italia, grazie allo sforzo congiunto del Ministero dell’Istruzione e della Società filosofica italiana, migliaia di ragazzi partecipano ogni anno alle selezioni nazionali. Anche per loro, non solo per Giulia, la prima medaglia d’oro italiana dal 2002, è un’esperienza decisiva per la propria crescita intellettuale, sociale e umana.
Per le nostre amiche ucraine, invece, sono giorni di normalità ritrovata. “Abbiamo tutte bisogno di non pensare alla guerra, se non altro per qualche giorno. Essere qui non ha nulla di frivolo per noi. Iniziative come l’Ukrainian Global University o i cicli di conferenze di premi Nobel messi a disposizione degli studenti ucraini ci aiutano moltissimo a mantenere vivo il processo formativo. Lavorare”, sottolinea Liubov, “è essenziale per resistere in queste condizioni. E la filosofia ci aiuta a muoverci in un orizzonte più ampio della quotidianità della guerra. È il nostro modo di calarci in una vita normale, in cui si può parlare anche di filosofia, non solo di guerra e di bombe”. “Adesso però andiamo”, conclude Natalia, “dobbiamo riempire le valigie di sale”.

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