mercoledì 9 marzo 2022
1945, il conflitto sta finendo. L’Armata Rossa avanza fra razzie e sopraffazioni. Dieci suore polacche subiscono violenze e sono uccise. Un libro di padre Kijas racconta la loro storia
Il convento di Sant'Elisabetta a Nysa prima delle distruzione belliche

Il convento di Sant'Elisabetta a Nysa prima delle distruzione belliche - WikiCommons

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«Qui fa molto più freddo che a Natale e di giorno in giorno si rinfresca invece di scaldarsi, di sicuro è l’inverno che pensa: sono qui i sovietici e quindi devo restare anch’io. Speriamo se ne vadano presto, è terribile vivere in quest’oppressione». A scrivere al fratello Alojzy è suor Maria Melusya (nata Marta Rybka nel 1905) della congregazione di Santa Elisabetta d'Ungheria. È la metà di febbraio del 1945 e lei si trova nel convento di Nysa, città nel sudovest della Polonia. La singolare attualità delle sue parole è sconvolgente. Il suo auspicio di ritrovare presto la libertà suona sordo e triste. L’occupazione sovietica durò a lungo e molto di più l’oppressione comunista. Lei stessa morirà qualche settimana più tardi, il 24 marzo, per difendere una ragazza, che si era nascosta nella cantina del convento, dalle razzie dei soldati dell’Armata Rossa. Un militare la preleva per approfittare di lei: duramente picchiata continua a opporsi e difendersi. Alla fine il soldato si esaspera e spara, poi dà fuoco alla stanza del misfatto. Il corpo viene recuperato tre giorni dopo, intatto.

La sua storia è analoga a quella di altre nove religiose della stessa congregazione di cui la Chiesa ha riconosciuto il martirio il 19 giugno 2021 e che verranno beatificate il prossimo 11 giugno. Tutte furono selvaggiamente picchiate, alcune ripetutamente stuprate, quindi uccise fra il febbraio e il maggio del ’45 dai militari sovietici. Teatri del loro martirio furono varie città polacche: altre tre nella stessa Nysa, poi Lublinec, Nowogrodziec, Godzieszòw, Luban, Krzydlina Wielka e una nella vicina Sobotin, in territorio ceco. Quest’ultima si chiamava suor Maria Paschalis Jahn e con altre suore fuggite da Nysa accudiva i profughi più anziani in una scuola dismessa. I russi arrivarono il 7 maggio, giorno precedente la fine ufficiale della guerra. Lei, 29 anni, viene uccisa l’11 maggio da un soldato a cui si era rifiutata, in ginocchio col crocifisso in mano. Al suo funerale, celebrato tre giorni dopo, di nascosto, da tre sacerdoti, erano presenti le suore e numerosi abitanti. Già nel corso della cerimonia venne indicata come una santa e sulla sua sepoltura iniziò un pellegrinaggio che portò da subito grazie e conversioni.

Sulla vicenda delle venerabili martiri "Suor Maria Paschalis e compagne" ha recentemente scritto un libro, Le dieci vergini sagge. Le martiri di Santa Elisabetta, padre Zdzislaw Josef Kijas, frate conventuale, già preside della Pontificia università San Bonaventura a Roma (Seraphycum), attuale postulatore dei Minori conventuali, che ha personalmente seguito la stesura della Positio super martyrio delle dieci religiose (curata nel 2019 dalla postulatrice madre Paula Zaborowska e da Cristiana Marinelli) nel periodo in cui è stato relatore della Congregazione per le Cause dei Santi (2010-2020). Il volume, edito dalla neonata casa editrice cuneese Leggimi, (pagine 156, euro 12) è quindi un lavoro autorevole e particolarmente documentato. Un testo che fa di un concreto stile letterario e divulgativo la sua caratteristica principale, ben tenendo il confine fra lo scritto prettamente agiografico ed edificante e il rischio, considerata la delicatezza dei temi, di eccedere in dettagli cronachistici o in facili accuse ideologiche. L’autore tiene inoltre ben presente, sottolineandolo nell’introduzione, la necessità di «dare voce», attraverso queste dieci vite infrante, «alle innumerevoli donne, laiche e consacrate, che in tempi e luoghi diversi sono vittime mute dei conflitti armati». E qui, nuovamente, l’attualità diventa davvero stringente.

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