domenica 19 marzo 2017
Non si contano più i casi di giovani che, dopo aver finto per anni di superare gli esami, pur di non ammettere l’insuccesso, inscenano persino le discussioni delle tesi con tanto di comparse e sale
Quelli che... la laurea è una grande menzogna
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Sono perlopiù richieste di aiuto, quelle trovate in rete su siti, blog e forum di ogni genere. Giovani che hanno perso la direzione e, dopo anni di finzione senza sostenere esami universitari, giunti all’ipotetico termine del percorso si trovano costretti a un bivio: ammettere di non essere riusciti a farcela, oppure inscenare la discussione di laurea per non dare una delusione ai propri genitori ed evitare loro eventuali preoccupazioni. Bastano pochi clic su un qualsiasi motore di ricerca per imbattersi in decine di discussioni in cui alcuni di questi ragazzi suggeriscono di inscenare la sessione di laurea in gruppo, per creare un effetto di maggiore verosimiglianza, magari ingaggiando attori per la commissione, affittando una sala e stampando una finta tesi.

Analizzando a fondo il fenomeno, quello che emerge dalle parole di questi ragazzi non è tanto l’intenzione di sostenere il falso per esercitare abusivamente una professione sulla base di una menzogna, ne vi è l’intenzione di commettere un reato, è invece riconducibile più a una forma di ansia da obiettivo in una società iper-stimolata alla competizione, insieme a una forma di narcisismo che porta a mentire per non ammettere il proprio insuccesso in famiglia; uno sbandamento che non è solo ad appannaggio di pavidi e insicuri, ma anche di persone apparentemente strutturate, mentitori seriali celanti una fragilità atavica, e pericolosa soprattutto per l’effetto domino di conseguenze che ne scaturisce. Oltre ad alcuni casi di cronaca relativa alla menzogna del percorso universitario e alla vasta cinematografia di licenziati che abbiano finto di uscire il mattino per andare ugualmente sul posto di lavoro, salvo poi passare il tempo fuori casa prima di rientrare e trovare una soluzione, un libro che certamente va citato sull’argomento è L’Avversario, celeberrimo volume-inchiesta di Emmanuel Carrère apparso in Francia nel 2000, racconto (vero) di Jean-Claud Romand, per diciotto anni finto medico, pur senza esercitare la professione, la cui storia ha assunto contorni tragici una volta sul punto di essere scoperto. Se di narcisismo si tratta, è importante comprendere quali possano essere le conseguenze di queste bugie protratte nel tempo, e con quale stato d’animo vengano vissute, soprattutto considerando che sostenere una bugia a lungo crea una forma non indifferente di solitudine.

Antonio Alberto Semi, membro ordinario della Società psicoanalitica italiana, prova a rispondere: «Premesso che ovviamente ogni individuo è diverso da ogni altro, per cui una spiegazione buona per tutti è impossibile, a me sembra interessante e drammatico il fatto della “crisi” della vergogna e dell’uso perverso dell’esame di realtà. L’esame di realtà, che ci consente di differenziare i nostri pensieri e desideri dalla percezione della realtà, è sempre anche frustrante: ci mostra se non altro che dovremo fare fatica per realizzare i nostri scopi. Ci sono persone, però, che usano l’esame di realtà per “fregare” la realtà stessa, traendone anche un grande piacere (inconscio in gran parte ma anche cosciente). Nei bambini la bugia a volte serve per rassicurare: “Io sono io, i miei pensieri sono solo miei”, ma se poi questa strategia diventa uno stile narcisistico di vita siamo di fronte a una patologia». Il problema dello smentire la realtà trionfando su di essa, che riguarda in maniera particolare la considerazione che si ha per stessi e per la propria autostima, si complica ulteriormente nella nostra società così freneticamente strutturata al rialzo: «Il problema è molto attuale e certamente anche legato alla sensazione di irrilevanza che la nostra società provoca nell’individuo.

Per noi psicoanalisti – continua Semi – il problema è sempre capire il livello del fenomeno: quanto è sostenuto da dinamiche inconsce che non arrivano per niente alla coscienza e quanto invece una parte almeno diventa cosciente e magari scatena un conflitto? Perché l’essere umano è così fatto che magari consciamente è angosciato e prevede la disfatta e invece inconsciamente è soddisfatto, perché sta “disfacendo” la realtà. Poi, nei casi migliori (cioè più curabili) c’è anche il senso di colpa (e appunto anche la vergogna) a tormentare l’individuo. In questi casi anche inconsciamente l’individuo non è riuscito, diciamo nel nostro lessico, a zittire il Super-io». Insieme alla già citata fatica che fingere di fare una cosa richiede, il secondo aspetto da sottolineare di questo fenomeno sono le dinamiche familiari.

Andrea Tagliapietra, professore ordinario di storia della filosofia al San Raffaele e autore di un volume sulla sincerità, ne spiega la ragione: «Credo si tratti di tentare di anticipare le aspettative degli altri per via di un peso causato dal conformismo sociale. La generazione di questi ragazzi probabilmente si sente schiacciata dalla precedente, che ne ha espropriato l’autonomia, per cui deve mostrarsi in qualche modo conforme alle aspettative. Sfuma la razionalità e si guarda a una realtà irrazionale in cui determinarsi, anche in vista del mercato del lavoro. Il problema della virtualizzazione del percorso, però, è il rischio che tutto diventi una specie di gioco». Quello del gioco è un elemento fondamentale del discorso di Tagliapietra, che prosegue nella sua analisi citando la frase del testo di una canzone certamente nota ai più giovani: «E compreremo un altro esame all’università…»: «È evidente ci sia un riconoscimento sociale. Internet e la galassia comunicativa a cui facciamo riferimento è basata sulla simulazione del sé e sulla creazione di immagini fittizie.

È bene tenere a mente, però, che possedere un titolo non aggiunge nulla alla propria competenza professionale, se la si possiede. Chi sta bene con se stesso non ha paura di raccontarsi, perché in fondo la sincerità è il non desiderio di essere altro da quello che si è. Essere altro, invece, provoca una scissione narcisistica e superficiale. La menzogna efficace infatti è proprio quella in cui il mentitore finisce per persuadersi della sua bugia. Ci si oggettiva secondo un’immagine differente e non fedele della realtà. Perché durino a lungo queste menzogne sono sostenute poi da una forma di autoinganno, per cui ci si giustifica spostando la colpa sugli altri finché le scusanti stesse diventano una realtà parallela, creando una forma di auto-persuasione fittizia in continuità con la realtà». La realtà, d’altra parte, è una ed è necessario fare i conti con quella, purché ci sia un progetto di vita futura che non includa solo un presente in cui navigare a vista, ma reali prospettive di cui non provare alcuna vergogna. In fondo, per citare Carrère: «Solo la verità rende liberi».

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