martedì 26 maggio 2020
La crisi economica e la situazione politica hanno messo in crisi l’editoria dopo anni di grande fermento. Resta però uno scenario ricco di idee tra resilienza e protagonismo femminile
Un'immagine da una passata edizione di Flip, il festival librario di Paraty

Un'immagine da una passata edizione di Flip, il festival librario di Paraty - Monica/Flickr - CCby2.0

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«Non vi possiamo fare credito », questo si sono sentiti dire alcuni librai brasiliani che si erano rivolti alle banche per fronteggiare la crisi creata dal coronavirus. La motivazione, che ha indignato tutto il mondo editoriale del Paese, è stata che «è un settore finito». In realtà il mondo della letteratura brasiliana vive da alcuni anni un equilibrio sopra la follia che la porta a essere uno spazio di grande fermento culturale ma dentro una cornice di profonda crisi.

Leonardo Tonus, professore di Letteratura brasiliana alla Sorbona di Parigi e creatore della Primavera letteraria brasiliana, ci spiega i motivi profondi di questa situazione: «Dal 1980 il Brasile ha implementato la propria politica culturale, ovvero esportare i propri beni culturali, tra cui il libro, all’estero. In un primo momento questa era all’insegna di politiche neoliberali». Poi, con gli anni del primo mandato della presidenza Lula, cambia la modalità di dare corpo alla cultura del Paese: «Quel primo mandato coincide con un’euforia economica del Brasile e in un certo modo con un’euforia del mondo editoriale globale. Il Brasile esporta i sui beni culturali, ma lo fa a partire da una nuova immagine, quella di un Paese che rispetta le sue diversità. Il Brasile smette di essere un Paese vagamente esotico, per essere un Paese che si prende cura dei suoi cittadini e per questo viene sempre più rispettato».

Ed è in questo momento, racconta Tonus, che il Brasile assume un protagonismo nuovo che nel mondo del libro si riflette nelle partecipazioni alle fiere internazionali che dal 2012 al 2015 lo vedono omaggiato come Paese ospite: da Bologna a Göteborg, da Francoforte a Parigi. «Si vedeva nitida la volontà del governo – spiega Tonus – di essere presente a livello internazionale, appoggiando iniziative pubbliche e private, soprattutto appoggiando le traduzioni delle opere brasiliane».

Ma nel 2015 inizia la crisi della democrazia brasiliana, i processi, l’impeachment a Dilma Rousseff, l’arrivo di Temer e infine l’elezione di Jair Bolsonaro, leader di una destra nostalgica dei tempi della dittatura e che tra i leader mondiali si sta distinguendo per un populismo che molti definiscono di stampo fascista. La crisi politica cosa ha significato per il mondo del libro? «Ci siamo ritrovati, come ai tempi della dittatura, a non avere più un ministero della Cultura. Per il mondo del libro questo ha significato uno smantellamento, ovvero non avere più investimenti per le traduzioni e non inviare più autori alle fiere del libro e alle conferenze internazionali. C’è da dire anche che molti autori non hanno voluto essere associati al governo Bolsonaro».

E sono proprio le scrittrici e gli scrittori, i poeti e le poetesse, il lascito più visibile del fermento culturale che ha interessato il Brasile degli anni ’10. Prisca Agustoni, docente di Letteratura italiana e Letteratura comparate a Juiz de Fora, Minas Gerais, esperta di poesia brasiliana, non a caso parla di popolarizzazione della letteratura del paese: «Prima gli scrittori brasiliani erano di classe media alta, alcuni diplomatici. Negli anni del PT, il partito di Lula, il profilo dello scrittore è cambiato. Apripista è stato Luiz Ruffato, autore di libri come Sono stato a Lisbona e ho pensato a te, Come tanti cavalli, interessato al mondo operaio. In letteratura c’è stato anche un movimento di periferia molto sviluppato organizzato intorno a San Paolo e Rio de Janeiro, gente come Paulo Lins, Sérgio Vaz, Ferrez».

Ma è in una piccola città parte della mesoregione del Sul Fluminense, Paraty, che avviene la rivoluzione. In questo borgo storico del periodo coloniale ogni anno si svolge il festival più importante della letteratura brasiliana, il Flip, che attira visitatori, editori, autori da tutto il Paese. Oltre alla programmazione centrale, editori grandi e piccoli prendono possesso delle case coloniali e le trasformano in luoghi permanenti di eventi, chiacchiere, stand intorno ai libri. Per Prisca Agustoni la rivoluzione ha un nome: Josélia Aguiar. È lei che diventa la curatrice della Flip del 2017. «Bahiana, residente a San Paolo, ha una visione amplia del libro. Molti centri nevralgici in Brasile passano per Bahia. E Aguiar ha portato alla Flip una visione decentrata, ibrida. Ed ecco che quella edizione è stata caratterizzata dalla presenza di molte donne e in particolare di molte donne nere. È riuscita a mantenere un equilibro interessante nella programmazione, portando temi, visioni, sguardi plurali. Si sono visti così tra il pubblico molti professori, studenti, persone di varie minoranze che non costituivano il pubblico tipico della Flip».

Infatti fino a quel momento il Brasile viveva il paradosso di vedere tradotti molti testi afroamericani, ma i neri brasiliani erano esclusi dal mondo del libro locale e anche i grandi nomi sono stati marginalizzati, come Conceição Evaristo, la più importante scrittrice brasiliana afrodiscendente che in un evento parallelo della Flip del 2016 aveva denunciato la cecità del sistema Brasile razzista che non dava spazio alle altre voci. «Nel 2017, nella Flip di Joselia – ci spiega Prisca Agustoni – è stata proprio Conceição Evaristo a chiudere un’edizione storica».

Un segno che ha dato forza ad un fermento letterario che già era molto forte nel cuore della gente, ma di cui il mercato si accorge proprio in un momento già di crisi. Ed ecco che accanto a scrittori amati come Julián Fuks, considerato dai più il migliore scrittore brasiliano sulla piazza, si affacciano nomi come Paulo Scott, che si occupa di discriminazioni razziali, o Adelaide Ivánova, che tratta il tema della violenza sulle donne. La letteratura perde la vergogna e esplora temi legati al corpo, unendo poesia e performance come fa Natacha Felix. Tra i tanti nomi che Prisca Agustoni cita non mancano le voci indigene come quelle potenti e politiche di Eliane Potiguara, che in prima persona ha vissuto il dramma del genocidio indigeno, o Ita Tabajara che fa letteratura “ de cordel” (poemi popolari orali) ma indigena. Accanto a queste forme nuove rimane una certa tradizione che viene incorportata dalla poesia astratta e formalista di Marília Garcia.

Alla domanda se questo fermento c’è ancora in Brasile, nonostante la crisi politica e editoriale, la risposta di Prisca Agustoni, attenta osservatrice dei feno- meni letterari, è un “sì” sonoro: «Il 2016 è stato forse l’anno peggiore per il Brasile, l’anno del golpe giuridico e molti non a caso la coscienza se la sono creata lì. La presenza del razzismo era più evidente e molti si sono detti che sta a noi raddrizzare le cose».

In questo panorama tra crisi e fermento sono nate anche molte case editrici; una di queste è Nós di Simone Paulino, «nata nel 2015 in un anno in cui il mercato comincia ad affrontare una crisi tremenda », dice sorridendo. Simone Paulino è una donna tenace che oltre ad accompagnare la letteratura brasiliana contemporanea pubblicando molti giovani e promettenti autori, come Aline Bei autrice del O peso do pássaro morto e vincitrice del premio “São Paulo”, si è aperta alla letteratura italiana e francese. «In questo periodo – ci dice – il mercato ha sofferto per il crollo delle due principali reti di librerie del Paese, la Saraiva e la Livraria Cultura, che avevano qualcosa come duecento negozi per tutto il Brasile e gran parte dei libri erano venduti in queste reti. Il loro fallimento ci ha portato a reinventarci un po’. Molti degli autori che scrivono letteratura non egemonica, soprattutto autori di periferia, hanno cominciato a vendere direttamente i propri libri e a movimentare il mercato sulle reti sociali. Un’altra via è stata, questo soprattutto per i libri delle donne, iniziative come #leiamulheres (”leggi donne”) e #leiamulheresnegras (”leggi donne nere”) che hanno portato alla creazione di circoli letterari in tutto il Paese e una grande circolazione di libri in posti impensabili. Poi sono nate tante librerie indipendenti. Io vivo a San Paolo e nel mio quartiere Pinheiro sono già nate quattro o cinque nuove librerie, spesso fondate da ex librai delle due grandi catene che sono entrate in crisi».

Da Parigi Leonardo Tonus contribuisce a far conoscere la letteratura del suo Paese con la Primavera letteraria brasiliana e anche nel mercato italiano sta arrivando, grazie alla una piccola e tenace casa editrice di Firenze Effequ, un testo fondamentale della filosofa Marcia Tiburi, Feminismo em comum che in italiano si intitolerà Il contrario della solitudine. Gli editori hanno motivato così la loro scelta: «Il Brasile attraversa una storia tanto feconda e sfaccettata da poterci guidare verso ambiti che ancora qui in Italia non conosciamo».

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