domenica 23 gennaio 2022
Virman Cusenza narra, sulle orme di Sciascia, la storia dell'avvocato socialista che nel 1945 difese (e nascose) il giornalista del "Tevere" per senso di umanità e di giustizia
L'esponente fascista Telesio Interlandi

L'esponente fascista Telesio Interlandi - .

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Cosa spinge un avvocato socialista a prendere le difese di un fascista di spicco? Solo l’amore un po’ guascone per le cause difficili? O uno spirito che oggi diremmo 'garantista', che vuole assicurare a chiunque un processo non condizionato dalla giustizia di piazza, che quasi sempre accompagna un cambio di regime? Domande che hanno affascinato Leonardo Sciascia - da sempre attento ai temi delle giustizia soprattutto quando essa assume i connotati della Colonna Infame - imbattendosi nella vicenda di Enzo Paroli, affermato legale bresciano e di Telesio Interlandi, direttore de "Il Tevere" e della famigerata "Difesa della razza", testata che dava voce alle leggi del 1938. Il primo non solo difese, ma addirittura nascose in casa il secondo e la famiglia per otto mesi e mezzo, a partire dal novembre 1945. Gesto che l’autore de L’affaire Moro e de La scomparsa di Majorana definì «eroico».

La domande di Sciascia sono sempre attuali. Ma trovano un senso forse più profondo se riferite a periodi come quelli seguiti al crollo del regime e al 25 aprile del 1945, in cui la vendetta della folla o un’improvvisa sventagliata di mitra (anche in tribunale), non erano rarità. Un clima in cui facilmente poteva scorrere il sangue dei vinti, ben raccontato da un giornalista storico come Giampaolo Pansa. Quelle domande sono ora al centro di Giocatori d’azzardo. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista di Mussolini (Mondadori, pagine 208, euro 22), scritto da Virman Cusenza, ex direttore de "Il Mattino"' e "Il Messaggero".

Siciliano classe 1964, il giornalista ha avuto accesso alle carte preparatorie dell’opera che l’autore de Il giorno della civetta voleva trarre dalla vicenda, ma che la morte gli ha impedito di realizzare. Dalla prima indagine di Sciascia, che aveva avuto contatti con i figli di Paroli e Interlandi, Cusenza è partito per una ricerca che gli ha permesso di far emergere dall’Archivio centrale dello Stato documenti inediti. Queste carte consentono di puntualizzare alcuni aspetti delle accuse a Interlandi e della strategia difensiva. Sottraggono così la vicenda ai ricordi personali, e interessati, dei parenti dei protagonisti, aiutando a inserirla nel contesto (riecco Sciascia) storico.

Paroli cerca innanzittuto di far risaltare il fatto che non era possibile imputare a Interlandi alcun reato specifico. Ma presto si muove ben al di là del diritto di difesa. Quando Interlandi - arrestato nel Bresciano nei mesi di Salò e poi incarcerato a Canton Mombello, carcere dove aveva operato Erich Priebke - viene per errore liberato al posto del figlio, l’avvocato non esita a dare rifugio al latitante in casa propria, divenendo di fatto correo. Paroli gioca al meglio le carte per far archiviare l’accusa di collaborazionismo e far tornare, ottenuto il proscioglimento, il suo assistito con la famiglia a Roma dopo l’amnistia Togliatti del giugno 1946. Interlandi all’inizio non capisce e non condivide l’operato, rivelatosi poi vincente, del difensore, il migliore della Leonessa, che la moglie gli ha trovato. E cerca di farsi passare per un fascista riluttante, un eretico malvisto dai gerarchi.

Atteggiamento che emerge da una lettera a Badoglio «dimenticata e sottovalutata» che Cusenza fa riemergere e valorizza. Per fortuna di Interlandi, poi, la procura bresciana non avrà accesso ai verbali di Salò che documentano i suoi incontri con il Duce. Ma quali le motivazioni profonde di Paroli nell’accettare un cliente così scomodo e rischioso? Nel percorrere, invece che la comoda scorciatoia di abbandonare il vinto, una «strada impervia e nient’affatto redditizia» che per Cusenza gli merita di essere «sottratto all’oblio»?

Da un lato certo il suo anticonformismo. Quel suo essere il rampollo di una famiglia in vista e un noto donnaiolo, che non aveva paura di sfidare i benpensanti intrattenendo una relazione con la sorella del gerarca locale più inviso: Ferruccio Sorlini, la 'iena di Brescia'. Dall’altro l’etica professionale, ereditata dal padre. Tutto questo, però, non basta. C’è qualcosa di più in un gesto altrimenti inspiegabile. Ed è il senso di umanità, lo scoprire nell’altro, nell’intransigente giornalista fascista, un uomo fragile, un padre e marito più fedele di quanto lui non sia. Non c’è indulgenza verso le colpe. C’è invece quella pietà che Cusenza mette in esergo al volume, citando Metastasio: «Senza pietà diventa crudeltà la giustizia. E la pietade senza giustizia è debolezza».

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