giovedì 14 luglio 2022
Un saggio di Samuele Pinna analizza i temi dell’opera di Guareschi individuandone i forti contenuti dottrinali: quasi un catechismo nel dialetto della Bassa
Fernandel nei panni di don Camillo nella versione per il grande schermo del Mondo Piccolo di Giovanni Guareschi

Fernandel nei panni di don Camillo nella versione per il grande schermo del Mondo Piccolo di Giovanni Guareschi - archivio

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Dice cose vere, don Camillo, nei 346 racconti di Giovannino Guareschi. Talvolta scomode, o addirittura urticanti, ma capaci di scavare nell’animo umano lasciando segni che risvegliano, e fanno vedere più chiari, il senso della giustizia, la speranza, la verità di se stessi e della realtà. Per questo il suo pensiero (mai astratto) è sempre moderno e attuale: dal prete della Bassa diventato famoso nel mondo (le novelle guareschiane vantano più di 60 traduzioni, tra cui quella in cinese) si può apprendere cioè una “morale” che ci aiuta a vivere meglio ogni circostanza, distinguendo il bene dal male e il bello da ciò che non lo è. E non si tratta di moralismo (un dovere da compiere) o di spicciola filosofia ma dell’indicazione concreta di un possibile atteggiamento da seguire di fronte alle vicende del reale, un “gesto” di buonsenso che sia adeguato a quello che siamo, alla nostra natura di uomini e coscienza di cristiani. In questo sta la grandezza dello scrittore di Fontanelle di Roccabianca e il segreto del successo planetario delle sue storie incentrate sulla triade don Camillo-Peppone-Crocifisso che parla. Esiste, allora, un catechismo secondo Guareschi? Certamente sì. È un aspetto già in parte indagato nella vasta letteratura suscitata dalla sua opera. Pensiamo, per esempio, ai diversi saggi sul tema che sono stati scritti da autori come il cardinale Giacomo Biffi, i giornalisti Alessandro Gnocchi ed Egidio Bandini e lo storico Paolo Gulisano. D’altra parte non è un caso che san Giovanni XXIII, nel 1959 sembra che avesse chiesto proprio all’autore emiliano di vergare, nel suo stile e magari a fumetti, un libretto con i fondamenti dell’educazione alla fede cattolica da divulgare ai più giovani (circostanza però smentita, in seguito, dal segretario di papa Roncalli, monsignor Loris Capovilla). In ogni caso, “andare a dottrina” da don Camillo sarebbe divertente oltre che istruttivo e, senz’altro nel solco dell’ortodossia. E in questa direzione si muove anche il libro di Samuele Pinna, sacerdote ambrosiano, docente invitato presso l’ateneo pontificio Regina Apostolorum di Roma: e il titolo lo ribadisce, allargando il campo: A dottrina con don Camillo. I fondamenti dell’agire umano( Cantagalli, pagine 272, euro 19,00), con introduzione di Davide Riserbato, docente di teologia all’Università Cattolica. E, visto che si parla di educazione alla fede, il testo non trascura di documentare subito le fonti della “morale” di don Camillo, raffrontandole al Catechismo della Chiesa Cattolica: dal vangelo di Giovanni all’Adversus haereses di sant’Ireneo di Lione, a proposito di uomo ragionevole e dell’uso del libero arbitrio, dalla Veritatis splendor di san Giovanni Paolo II sulla relazione tra verità e libertà, alla Gaudium et spes nella parte che riguarda l’agire virtuoso e la coscienza. Ci sono i capitoli sulle virtù cardinali e teologali, si affronta il tema sempre scottante del peccato inteso come “ferita alla natura dell’uomo”, “offesa a Dio” e “attentato alla solidarietà umana”. E viene riproposta in appendice (ma riebolarata) un’ampia conversazione di Pinna e Riserbato con il figlio dello scrittore, Alberto Guareschi: il discorso prende le mosse da un’osservazione del cardinal Biffi tratta dal suo libro sulla “teologia di Peppone” che verte sul talento di Giovannino: la sua scrittura «arriva al cuore» e «mira direttamente alle cose, alla realtà». Simpateticità col lettore, concretezza, ma nessun sentimentalismo, mai (nonostante certe trasposizioni cinematografiche). Con un messaggio che emerge tra tutti: l’incontro con Cristo cambia l’esistenza. E solo chi lo ha vissuto può testimoniarlo con parole così chiare. Il volume è ricco di citazioni teologiche e di saggistica che accompagnano e sviluppano l’assunto originario: le storie doncamillesche, «che emozionano, fanno sorridere e lasciano un pensiero profondo, sono capaci di spiegare altisonanti concetti (persino filosofici e teologici) con parole semplici, adatte a tutti». Insomma, don Camillo non è un prete tanto per dire, una figurina da commedia dell’arte. E non lo è nemmeno nei suoi litigi col sindaco comunista. Appare in tutto e per tutto come un ministro di Dio, un pastore che ama il suo gregge e che è capace di perdonare anche i nemici, i “senzadio”, assolvendoli dai loro peccati. Un esempio? Il racconto Cristo nel comò, dove il sindaco Bottazzi è a letto malato e ha paura di morire: «Don Camillo si alzò e andò ad aprire il primo cassetto del comò. Avvolto in una carta velina trovò il Crocifisso e lo riappese al chiodo sopra la testiera del letto: “C’è niente altro?” domandò burbero. “Le sa com’è, reverendo: siamo uomini e anch’io, nella vita ho fatto le mie brave stupidaggini. Però tutta roba leggera...”. [...] “Capisco. Tu, insomma, diresti che, oltre a quello di militare nel Partito comunista, non hai fatto altre porcherie grosse”. “Sì, reverendo. A meno che non sia stata una porcheria grossa quella di far nascondere nel comò il Crocifisso”. “Certo che lo è stata!”. “Mi dispiace. Ci ho ripensato giorno e notte, ma io non potevo alzarmi e non avevo il coraggio di dire a qualcuno di rimettere il Crocifisso a posto”. “ Ego te absolvo”».

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