domenica 23 febbraio 2025
Il grande scrittore francese abbracciò la fede cristiana mentre assisteva ai vespri la sera di Natale del 1886 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi: rimase avvinto dal canto del Magnificat
Paul Claudel

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Sostanzialmente, fu un devoto di Rimbaud e san Tommaso: è questa la definizione migliore che si ricava dal libro Claudel ou la conversion sauvage di François Angelier, da poco edito in Francia per i tipi di Salvator (pagine 232, euro 21,00). Pubblicato a 70 anni dalla morte del grande scrittore francese, avvenuta a Parigi il 23 febbraio 1955, il volume scandaglia tutti i tratti della personalità umana e letteraria di Paul Claudel, spesso inviso a molti suoi connazionali per non aver mai nascosto la propria fede cristiana dopo la conversione fulminante che ebbe luogo la sera di Natale del 1886 mentre assisteva alla cerimonia dei vespri nella cattedrale di Notre-Dame, avvinto dal canto del Magnificat eseguito da un coro di bambini. Lo stesso anno aveva scoperto le Illuminazioni di Arthur Rimbaud, la cui lettura aveva «fatto a pezzi completamente il sistema filosofico assurdo e rigido» sul quale si era appoggiato sino a quel momento. Nato nel 1868, era cresciuto in un clima laicista e già nel 1881 aveva cessato ogni pratica religiosa. Eppure, assistendo nel 1885 ai funerali di Stato di Victor Hugo, li aveva dipinti ripugnanti come «una sfilata da Martedì Grasso». Ecco come avrebbe descritto il momento della conversione: «In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti, con una tale forza d’adesione, un tale sommovimento del mio essere, una convinzione così potente, una certezza che non poteva lasciare alcun margine al dubbio».

Da quell’istante Claudel si dedicò alla lettura della Bibbia, una cui copia gli venne donata la sera stessa dalla sorella Camille, in una versione protestante. Poi, lo studio di Tommaso d’Aquino gli aveva consentito di legare la sua esperienza di fede folgorante con l’uso della ragione. Facendo della propria opera un monumento contro l’Ottocento, il secolo dominato dalla cultura borghese e segnato dall’anticlericalismo. «Un secolo gonfio fino alla saturazione» dal quale la Francia e l’Europa dovevano uscire, «un secolo obeso guidato da una folla di ideologi estetizzanti e biancastri, alla testa dei quali si trova Renan». Di qui i tentativi di convertire gli scrittori che conosceva, spesso riusciti, l’amicizia con Jacques Rivière e Francis Jammes, il rapporto contraddittorio con André Gide, il quale rimase sempre sulla soglia della fede tormentato dall’omosessualità. A una cultura segnata dal positivismo lui volle replicare con la forza dei poeti e dei profeti, il che gli provocherà l’ostracismo di molti intellettuali, come lui stesso denunciò: «Una tacita e istintiva intesa fra gli uomini di penna si è realizzata contro di me, così come in passato colpiva gli scrittori cattolici, da Baudelaire a Hello a Bloy». Ben nota, sul versante italiano, la stroncatura da parte di Benedetto Croce nel 1918, che come ha ricordato Giuliano Vigini fu paragonata da un altro critico letterario, Emilio Cecchi, a «una sentenza da corte marziale».

Il volume di Angelier aiuta a far uscire Claudel dal cliché dello scrittore cattolico, per di più convertito. E tocca alcuni lati spinosi della sua figura come la vicenda dolorosa di Camille. Paul lesse il percorso creativo della sorella scultrice come un’inesorabile corsa verso l’abisso e la follia. Così, nel 1913, dopo vari sintomi la fece internare in manicomio. Una scelta che gli porrà non pochi rimorsi ma da cui non retrocederà mai pur senza abbandonare Camille e recandosi a trovarla più volte nonostante gli impegni diplomatici lo portassero per lunghi periodi all’estero, dall’Asia all’America.

Poi c’è la questione del suo iniziale antisemitismo, o meglio antigiudaismo come in gran parte del mondo cattolico dell’epoca, che lo portò a schierarsi contro i partigiani di Dreyfus nel famoso affaire che scosse la Francia e più avanti ad esprimere sostegno a Pétain. Scelte che in seguito ridiscuterà ammettendo i propri errori. Sul caso Dreyfus scriverà: «Non ero dalla parte giusta. La Provvidenza ha voluto dare ai farisei cattolici una severa lezione». E sull’elogio del Maresciallo che aveva fatto per aver consentito la rappresentazione a Vichy del suo dramma Annuncio a Maria - che a mio parere è il più grande dramma sacro contemporaneo, assieme a Miguel Manara di Oscar Milosz – parlerà come di un monumento all’ingenuità. Ma dietro c’era anche il tentativo di ingraziarsi il potente di turno per salvare la vita all’amico Paul-Louis Weiller che rischiava la deportazione. Man mano che la guerra procede Claudel prenderà posizione sempre più risolutamente in difesa dei connazionali ebrei esprimendo «orrore e disgusto» per le persecuzioni e arrivando a vergare parole durissime: «La guerra di Cristo è dichiarata contro Vichy». Tutti episodi che ne fanno una personalità complessa e sfuggente, tanto che Angelier può concludere: «Claudel ha operato, solo con Péguy, per infrangere ogni schema precostituito».

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