venerdì 21 agosto 2015
​Scatta stanotte a Pechino la rassegna iridata, ma dopo la bufera sul torneo di 4 anni fa (il 30% dei partecipanti era dopato) le medaglie saranno avvolte dai dubbi e dai sospetti.
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Sono numeri da record quelli della 15ª edizione dei Mondiali di atletica leggera di Pechino che iniziano domani mattina, stanotte in Italia, con la maratona maschile (ore 1.35): 1.936 atleti (1.043 uomini e 893 donne); 207 nazioni; copertura televisiva in più di 200 Paesi, Lo stadio Bird’s Nest (quello delle Olimpiadi del 2008) già tutto esaurito per ogni sessione pomeridiana fino a domenica 30, giorno di chiusura; seimila volontari. Poi, i premi in denaro: circa 54mila euro per i vincitori di medaglie d’oro, 27mila per l’argento e 18mila per il bronzo, fino ai 4.500 per chi si piazza 7°. In più il solito bonus degli sponsor, 100mila euro, per chi stabilisce un nuovo primato del mondo. Molteplici i motivi d’interesse di questi Mondiali che cercheranno di migliorare l’immagine dell’atletica, infangata dalle vicende del doping, a cominciare dal fenomeno dell’asta Renaud Lavillenie, che ha vinto tutto tranne il titolo iridato all’aperto. Nella maratona rischia di essere determinante l’inquinamento atmosferico che complicherà la respirazione. Infine le gare di velocità, con l’eterno duello Usa-Giamaica sia in campo maschile che femminile.Democrazia e globalizzazione le parole chiave dell’atletica leggera mondiale. Tutti possono vincere in pista, basta essere i più veloci o resistenti, quelli che saltano più in alto o più in lungo. E con “tutti” s’intendono gli atleti delle 207 nazioni presenti ai Campionati Mondiali di Pechino al via domani. Ognuno dei 1.936 atleti (983 donne) provenienti da tutto il mondo ha la possibilità di vincere, le regole sono chiare e uguali per tutti. Questo sulla carta ma non nella realtà, le cronache degli ultimi mesi ci hanno fatto conoscere un’atletica poco democratica e attendibile, fortemente inquinata dal doping, almeno nell’ultimo decennio. Un’atletica in mano a chi comanda, a chi ha davvero il potere. Mondiali al via ma con il punto interrogativo su quanto siano veritiere le prestazioni in pista, più di una volta abbiamo assistito a squalifiche arrivate mesi dopo e che hanno rimescolato podi e piazzamenti. Si parlava di piccoli numeri di infimi atleti rispetto all’effettivo numero di coloro che corrono pu-liti, ma ci si sbagliava e di grosso, perché in occasione dei Mondiali del 2011 a Daegu, in Corea, oltre il 30% si dopava. Dato emerso in quei giorni da uno studio universitario che fu completato in quell’estate e autorizzato dalla federazione mondiale. Fu fatto compilare un questionario in forma anonima a tutti gli atleti che si sentirono così liberi di confessare i propri imbrogli.  Uno su tre dichiarò che nei dodici mesi precedenti aveva fatto uso di sostanze illecite, risultati che la Iaaf pensò bene di tenere nascosti ma che il quotidiano inglese Sunday Times e la tv tedesca Ard hanno con insistenza ed irriverenza portato alla luce in questi giorni. Ancora girano notizie su una lista di oltre 800 atleti, tra questi ben 146 medagliati di cui 55 d’oro, risultati positivi su 12mila test effettuati a 5mila atleti dalla rassegna iridata di Helsinki 2005 in poi. Numeri enormi, insabbiati, nascosti, taciuti. Ma quest’omertà ora non è più possibile e finiti questi Mondiali cinesi arduo sarà il compito di Sebastian Coe, appena eletto nuovo presidente della federazione internazionale. Il campionissimo inglese ha messo al centro del suo programma per farsi eleggere la tolleranza zero nella lotta contro il doping: «Già oggi la Iaaf investe nei controlli tre milioni di dollari, più di ogni altra federazione. Gestiamo un team di grandi professionisti, ma dovremo essere ancora più efficaci. Penso alla creazione di un organismo totalmente indipendente per i test e ad un programma di educazione e sensibilizzazione verso i giovani». Credibilità è la parola chiave, perché è questo che manca. Non si può avere il dubbio che 32 vincitori di 42 grandi maratone mondiali corse negli ultimi cinque anni come New York, Londra, Boston e altre abbiano fatto uso di aiuti illeciti. Diversi di questi atleti, perlopiù africani, stanotte correranno per vincere l’oro mondiale sui 42,195 km. Al via anche due nostri azzurri, l’esperto Ruggero Pertile ed il campione europeo Daniele Meucci. Perché devono competere con il dubbio che chi sarà con loro sulla linea di partenza non stia giocando in maniera pulita? Il dubbio e i sospetti sono ancora più forti sul rettilineo dei 100 metri, con il muscoloso Justin Gatlin mattatore delle ultime stagioni che dopo una squalifica di quattro anni per doping è tornato più grosso e più veloce di sempre. A 33 anni suonati. Si può migliorare e tornare a vincere a quella età nello sprint?  Lo stesso Usain Bolt si è spesso lamentato di questo e ieri ha rimarcato il fatto che «nelle ultime settimane ho sentito parlare e ho letto solo di doping. Ed è davvero triste considerando che siamo all’antivigilia dei Mondiali e si dovrebbe parlare anche delle gare». Ma perché dovremmo credere anche allo strabiliante giamaicano che dopo Londra 2012 ha corso con il contagocce? Infortunato e dolorante oppure le sue assenze e forfait un’astuta tattica per sfuggire alle maglie sempre più strette e pressanti del doping? In Giamaica non esiste un ufficio antidoping e i suoi compatrioti giamaicani chi prima e chi dopo sono stati beccati e squalificati per qualche tempo così come i rivali statunitensi della specialità. Il punto di domanda è sempre presente, ma non dovrebbe esistere, dovrebbero esserci certezze e sicurezze sulla pulizia totale. Ma non è così, e lo dimostra anche il settore marcia falcidiato nelle presenze russe spesso vincenti. Mentre in Italia abbiamo creato un mostro in Alex Schwazer, i rivali russi nascondevano un covo e un sistema di Stato del dopaggio che ha portato alla squalifica negli ultimi anni di oltre trenta atleti. A Pechino nel “tacco-punta” sono rimasti solo due rappresentanti della Russia, nessuno nella 20km maschile, uno solo nella 50km e la sola Vasilyeva nella 20km femminile. Doping sistema globale, perché anche la Cina non può avere la coscienza pulita, tutto iniziò già nel 1993 quando in pochi anni l’armata rossa allenata da Ma Junren fece terra bruciata ed incetta di medaglie e record. Le sue atlete, che sosteneva di nutrire con sangue di tartaruga, fecero tutti i record mondiali dai 1.500 ai 10.000 metri ed alcuni di essi sono ancora in vigore e ritenuti validi nonostante ben sei degli atleti di Ma Junren furono ritirati dalla squadra olimpica cinese alla vigilia di Sydney 2000, dopo aver fallito i test sul sangue. La verità è che all’epoca i controlli a sorpresa in Cina erano impossibili, solo per ottenere un visto d’ingresso in terra cinese ci volevano mesi e tutto, dunque, veniva vanificato. Ancora oggi però i sospetti sono tanti, anche in altri sport, come nel nuoto dove ai recenti Mondiali l’olimpionico Sun Yang non si è presentato alla finale dei 1500 metri vinti da Gregorio Paltrinieri. È ancora giallo sulla sua improvvisa assenza in corsia con i maligni parlano di eventuali controlli a cui è voluto sfuggire. Sarà duro il compito di Sebastian Coe, ma è abituato a vincere. Fece uno storico primato mondiale negli 800 metri a Firenze nel 1981, leggendarie le sue sfide contro Ovett e Cramm, è stato presidente di Londra 2012, ma la vera sua battaglia sarà far ritrovare credibilità all’atletica leggera. Intanto, da domani liberi di scegliere se credere fino in fondo a vittorie e medaglie.
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