domenica 5 settembre 2010
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Formiche rosse giganti, grilli, cavallette e scarabei caldi e croccanti, serviti appena fritti: per la tradizione culinaria di molti Paesi gli insetti sono una leccornia. In Papua Nuova Guinea si leccano i baffi davanti a una particolare specie di verme, avvolta e cotta in foglie di banana. Le termiti alate – insegnano i ghanesi – danno il loro meglio servite arrosto, ai messicani piace farcire le tortillas con le larve dell’agave, in Cambogia sono popolari le locuste saltate nell’olio mentre i thailandesi condividono con i colombiani la passione per le formiche fritte. Essiccati o in umido, affumicati o fritti, a certe latitudini gli insetti si trasformano in gustosi manicaretti, gradevoli al palato e utili all’organismo. E un asso nella manica per la Fao, impegnata da decenni a combattere l’emergenza alimentare di molta parte del pianeta: fin dal 2008, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e alimentazione sta puntando sugli insetti, mobilitando fior di scienziati – in vista di una conferenza mondiale sull’argomento prevista nel 2013 – per verificare le potenzialità dell’idea. Che sta prendendo piede: con nove miliardi di persone da nutrire nel 2050 (questa la previsione della Fao) è impossibile ignorare la ricchissima fonte di proteine rappresentata da larve, cavallette e grilli.Noi occidentali inorridiamo al solo pensiero, non tanto per questioni di gusto – e chi lo ha mai assaggiato un insetto? – ma certamente di disgusto. È questione di cultura riuscire a sgranocchiare una cavalletta, per quanto buona sia, per quanto bene faccia: «È oggettivo che le specie di insetti commestibili siano ricche di proteine e povere di grassi. Contengono anche qualche vitamina» spiega il nutrizionista Gianvincenzo Barba, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Centro nazionale ricerche (Cnr), ad Avellino. Prosegue lo specialista: «Per produrre un grammo di carne bovina ne occorrono otto di nutrimento mentre ne bastano soltanto due per un grammo di carne di insetto». Ma mentre la mucca e il vitello vanno sfamati prima che siano loro a sfamare noi, dissetati e alloggiati per mesi se non per anni perché diventino produttivi, allevare un insetto è molto meno dispendioso: in tre settimane un baco da seta aumenta il proprio peso di migliaia di volte. E «da un punto di vista nutrizionale e ferme restando le garanzie di salubrità degli animali che valgono per qualsiasi specie – prosegue Barba –, gli insetti sono estremamente adatti per intervenire sui fenomeni di malnutrizione.Le carenze alimentari nelle zone più povere del mondo riguardano soprattutto le proteine, presenti – spiega il nutrizionista del Cnr – in una percentuale del 20 per cento nella parte edibile di un grillo, addirittura del 30 per cento nel bruco. E i bruchi contengono anche un’interessante quantità di calcio e di ferro mentre i grassi, al contrario, sono presenti in dosi molto modeste». Dal punto di vista nutritivo, la bistecca di bruco surclassa il filetto di manzo che di proteine ne contiene il 27 per cento. Garantire una dieta equilibrata è fondamentale ma anche una più equa distribuzione delle risorse alimentari oggi del tutto squilibrata: il settanta per cento della produzione cerealicola mondiale è impiegato per sfamare animali poi macellati e mangiati dal dieci per cento della popolazione del pianeta. «Nei Paesi dove vengono consumati gli insetti – annota Barba – si prediligono quelli presenti in gran quantità. Per gli occidentali, noi italiani per esempio, sarebbe antieconomico provare a reperirne a sufficienza per un buon pasto. Nelle zone dove abbondano, invece, ingerire le cavallette ha più di un aspetto positivo. Mangiarle significherebbe, per esempio, distoglierle dalle piante, con una diminuzione dell’uso dei pesticidi. Allevarle, inoltre, avrebbe una ricaduta positiva sull’occupazione e sulle economie locali». Gran parte degli occidentali non mangerebbe un insetto neppure costretto. Ma non tutti: Marco Valle, direttore del Museo di Scienze Naturali di Bergamo, è un estimatore del castagnaccio cucinato con le camole del miele e degli spiedini di grilli fritti. Ogni anno, in genere nel mese di luglio, propone ai visitatori del museo un menù farcito proprio a base di quegli animali che in genere – nella sua qualità di entomologo – dovrebbe limitarsi a studiare: «I primi tempi gli scettici prevalevano, tanta gente veniva solo per curiosità ma pochi si lasciavano convincere all’assaggio. Con il passare degli anni – spiega Valle – l’interesse per l’appuntamento è andato crescendo e sono sempre di più i visitatori che vengono determinati a cibarsi di grilli e larve». Sul fatto che diventi una consuetudine, però, anche il direttore del Museo di Bergamo ha qualche dubbio. Prima di tutto per ragione di ordine culturale: quel che mettiamo nello stomaco deve essere buono da mangiare ma – soprattutto – buono da pensare. A tavola, preferenze e avversioni sono condizionate anche da fattori economici: «Il cibo, oltre a risultare gradito al palato e al cervello, deve essere facilmente disponibile e vantaggioso in termini di rapporto tra calorie prodotte e calorie spese per ottenerlo. In Occidente – chiarisce Valle – ci vorrebbe troppo impegno per guadagnarsi la porzione proteica quotidiana con gli insetti. Da noi non ci sono grosse sciamature di cavallette... È una questione culturale ma anche di opportunità».Per le culture che prevedono l’entomofagia la questione cambia completamente: «Gli insetti crescono molto velocemente perché la struttura del loro corpo è molto semplificata e sono quasi del tutto edibili, specie le crisalidi. E potrebbero rivelarsi risolutivi nelle zone dove le risorse idriche scarseggiano. Pensate a quanta acqua serve per portare in tavola una bistecca di manzo, cominciando dall’irrigazione dei campi di fieno per il mangime, all’abbeveramento degli animali, alla pulizia delle stalle...».
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