venerdì 15 settembre 2023
«Giacomo Balla, il nostro maestro, ci iniziò alla tecnica del divisionismo». Così il pittore raccontava gli inizi di una storia che ora viene raccontata alla Fondazione Magnani Rocca in duecento opere
Umberto Boccioni, "Ritratto della sorella", 1904 (Venezia, Ca' Pesaro)

Umberto Boccioni, "Ritratto della sorella", 1904 (Venezia, Ca' Pesaro) - .

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Agli inizi del Novecento, nell’ambiente romano, Giacomo Balla «era solo e feroce», scrive Umberto Boccioni nel suo diario. Balla aveva lo studio a Porta Pinciana e qui Boccioni, con il suo istinto, aveva notato la novità del suo linguaggio. In proposito Gino Severini nella sua autobiografia Tutta la vita di un pittore dice: « Boccioni che sentiva a fiuto le persone di valore, aveva scoperto Balla, da poco tornato da Parigi, e tutto penetrato dalle idee dell’impressionismo. Fu Giacomo Balla, divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla nuova tecnica moderna del divisionismo...». Quel divisionismo, tuttavia, che per gli artisti italiani, e Boccioni tra questi, non rimandava alla freddezza scientista di Seurat, alla sua regola dei puntini complementari, al suo interesse per un’analisi tutta interna al linguaggio della pittura.

Non a caso i pittori nostrani che abbracciarono il divisionismo tradirono le premesse più rigide, scegliendo di scomporre il colore non a macchie, ma con tratti filamentosi e sottili. È il Boccioni prefuturista che a Roma, dove si è trasferito da Catania, inizia l’apprendistato artistico («adesso mi farò il cavalletto », annuncia) dopo aver coltivato l’idea di fare il giornalista e l’acerbità del principiante è evidente in un disegno del 1901, riportato in un biglietto di auguri per la sorella Amelia, e in un dipinto dello stesso anno che compare nel rovescio di un ritratto di una bambina, Teresa Nisi, che fu eseguito qualche anno più tardi. Da quel periodo, per approdare al 1910 quando venne redatto il Manifesto dei pittori futuristi, prende le mosse questa mostra che si sofferma sul periodo meno noto della produzione di Boccioni, inquadrandolo nel contesto culturale dell’epoca. E ciò mettendo in luce, in particolare, l’ambigua mitologia romantica e letteraria che ricollega i tempi della formazione dell’artista alla cultura artistica e letteraria italiana dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento.

Curata da Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi e Stefano Roffi, l’esposizione (aperta fino al 10 dicembre) conta su quasi duecento opere (insieme a quelle di Boccioni ci sono diversi importanti lavori di artisti coevi quali Nomellini, Carrà, Sironi) suddivise in tre sezioni che fanno riferimento ai luoghi che hanno rappresentato punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano. La fase romana, documentata da alcune fondamentali opere di Boccioni, quali Campagna romana (1903), Ritratto della sorella (1904), Ritratto della signora Virginia (1905), presenta una ricca campionatura di lavori su carta, disegni di visioni architettoniche, ritratti curiosi, alcuni dei quali rasentano la caricatura, personaggi di estrema sintesi formale, e diverse tempere che denotano già lo studio del movimento che tanto appassionerà Boccioni nel corso della sua vita. Così come una opportuna attenzione viene riservata all’illustrazione pubblicitaria e commerciale che viene affiancata ai modelli ai quali l’artista si rivolgeva per la realizzazione dei propri lavori che per lui rappresentavano una «straordinaria espressione moderna» di prodotto artistico.

Personaggio complesso e contraddittorio, Boccioni non ha mancato di manifestare la propria irrequietezza artistica in varie occasioni. «Tutto il passato – meravigliosamente grande – mi opprime, io voglio il nuovo» scrive in una nota stilata a Padova nel 1907: l’anno precedente aveva lasciato Roma, si era recato a Parigi e in Russia, e ora si accinge ad un breve periodo veneziano nel corso del quale l’artista si avvicina al mondo dell’incisione che la mostra documenta con una serie di lastre recentemente ritrovate. Nel 1908 si trasferisce a Milano dove prosegue nell’attività grafica e soprattutto pittorica (sono di questo periodo opere quali l’Autoritratto e Il romanzo della cucitrice), fortemente impressionato da Segantini e dalla ricerca artistica e teorica di Previati il cui divisionismo simbolista, caratterizzato da modalità di stesura del colore estremamente libere, fungerà da base imprescindibile per la successiva stagione futurista.

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