Dieci anni fa, presso l’ospedale Regina Apostolorum di Albano, moriva padre Filiberto Guala, monaco trappista. Era il 24 dicembre del 2000, aveva 93 anni. Un pezzo di storia d’Italia che se ne andava. Si, perché padre Filiberto, prima di approdare alla trappa, è stato un uomo straordinario, pieno di risorse, capacità, iniziative messe a servizio della ricostruzione del nostro Paese, subito dopo la guerra. Nato a Torino nel 1907 e laureatosi in Ingegneria al Politecnico nel 1929, entrò in contatto nel 1938 con don Orione, di cui divenne grande amico; l’incontro con questo santo segnò profondamente la sua vita. Ma suoi amici furono anche La Pira, Dossetti, Lazzati... Giovane fucino, ebbe come direttore spirituale il futuro papa Paolo VI, al quale confidò la sua intenzione di diventare sacerdote; Montini lo dissuase, dicendogli: «Lei deve essere un buon ingegnere e non un prete. La Chiesa ha bisogno di laici che abbiano delle posizioni determinanti nella struttura del Paese».Nel 1954 approda alla Rai, dove resta due anni con la carica di amministratore delegato. Del periodo trascorso in Rai dirà bonariamente: «Ancora oggi sconto quei due anni. Arrivano qui giornalisti, mi fanno domande sulla televisione e poi vedo sui giornali titoli tipo 'Dal potere alla trappa', come se io in un’azienda di grandi proporzioni come la Rai contassi qualcosa». Aldo Grasso, critico televisivo e docente di Storia della radio e della televisione alla Cattolica di Milano, riconosce che il tempo che Guala ha passato in Rai è stato «un regno di modesta durata ma di grande rilievo, caratterizzato dall’assunzione di una task force di giovani laureati, per lo più di estrazione cattolica, ma anche di diversa provenienza, purché meritevoli sul piano culturale. Guala aveva in mente che la tv italiana dovesse assumere uno stile che rispecchiasse, a livello popolare di comunicazione di massa, la tradizione storica e culturale della ricca eredità cristiana. Era convinto della superiorità delle idee sulle istituzioni e in nome di una salda matrice religiosa, voleva usare il video per 'migliorare' gli italiani. Se la Rai nel corso degli anni ha espresso una politica editoriale, una capacità inventiva, una vivacità produttiva dobbiamo sempre cercare il punto di partenza nel reclutamento di quei neolaureati (Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Enrico Vaime, Giovanni Salvi, Fabiano Fabiani, Mario Carpitella, Folco Portinari) e nel loro modo di pensare la televisione».Questi giovani intellettuali, in seguito etichettati con lo scherzoso soprannome di 'corsari', in quanto destinati a seguire, dopo la selezione del concorso, un corso di formazione diretto da Pier Emilio Gennarini, avrebbero dovuto, nelle intenzioni di Guala, 'svecchiare' la Rai, ancora troppo legata a personalità provenienti dall’Eiar. Eppure nonostante queste idee innovative Guala viene presto spodestato, in maniera ben poco civile. Guala si dimise dalla Rai perché la vecchia guardia dell’Eiar non condivideva la sua politica culturale: di dare ai programmi un livello più alto e insieme più radicato nella cultura popolare. Gianfranco Bettetini, regista, sceneggiatore e per molti anni direttore dell’istituto di Scienze delle comunicazioni e dello spettacolo alla Cattolica di Milano, faceva parte di quei 'corsari'e ricorda Guala con stima e rammarico: «Era un uomo eccezionale, molto determinato, che purtroppo fu sconfitto da forze molte più forti di lui, fra cui anche la massoneria; così fu emarginato e tutti i suoi piani bloccati. La sua idea era di realizzare una Rai seria, capace di fare un’informazione corretta. Sapeva dove voleva arrivare. Tutte le accuse di essere un 'bacchettone', o di aver fatto un 'decalogo' per censurare gli spettacoli, non sono assolutamente vere».Il giornalista e scrittore Sergio Zavoli, attuale presidente della Commissione di vigilanza della Rai, evidenzia che «Guala concepiva il medium elettronico come un vero servizio pubblico. Si pronunciò per un’etica fondata su una preliminare, intransigente difesa di valori riconoscibili nella persona umana, divenendo presto un personaggio al di fuori di un processo storico che stava chiedendo anche ai credenti, senza distinzioni, di dare una più aggiornata interpretazione alla loro militanza etico-politica. Di Guala si vorrebbe conservare la memoria di un codice deontologico applicato in forme rigorose, cioè con modalità che hanno finito essere il sigillo del suo sentire, insieme, civile e interiore. Da allora molte cose sono cambiate. Alla televisione, oggi, nessuno chiederebbe più di praticare una sorta di pedagogia virtuosa».Pochi anni dopo la sua avventura in Rai, nel 1960, a cinquantatré anni di età, decise di farsi frate trappista, entrando nel monastero delle Frattocchie, e nel 1967 fu ordinato sacerdote. Questa volta Montini aveva benedetto la sua scelta, scrivendogli: «Troppo presto per lasciare quelle responsabilità a cui ti eri consacrato... Però tutti i nostri amici dicono che sei pronto per questa scelta e anche io mi arrendo». Nel 1972 padre Filiberto ristrutturò il monastero della Madonna della Fiducia a Morozzo (Cuneo), ove poi visse come un eremita sino al 1984, quando ormai anziano fu costretto a fare ritorno al monastero per problemi di salute. L’abbiamo incontrato più volte in quegli anni, padre Filiberto, nel suo monastero, sempre accogliente, disponibile. Arrivava trafelato, con la gioia negli occhi. La sua scelta contemplativa non fu presa per delusione, come qualcuno ha insinuato. Non aveva motivo di 'fuggire', semplicemente seguiva la sua vocazione. Aveva vissuto tutti gli impegni sociali come un vero servizio, contribuendo alla ripresa del Paese. Confidava: «Sto sperimentando che, col declinare delle forze, cresce il dono del ricordo, del rivivere esperienze e incontri che sia arriva a penetrare più profondamente». Ci parlò dell’interesse che gli suscitò, nel 1957, l’inchiesta che Sergio Zavoli aveva realizzato in un convento di clausura e il suo dialogo con una monaca: aveva avuto, chiara come mai prima, la percezione della in componibilità tra cristianesimo e modernità. «Quando mi ricevette – conferma Zavoli – nel convento trappista delle Frattocchie, alla periferia di Roma, fece molte domande sulla clausura carmelitana in cui avevo registrato il documentario, e mostrò di ricordare quasi a memoria le testimonianze raccolte grazie soprattutto alla singolare spiritualità di suor Maria Teresa dell’Eucarestia, sottopriora del convento».Fino alla fine padre Filiberto, un tempo ingegnere, è stato un 'imprenditore', non solo nella società ma anche in monastero. Già novantenne continuava a progettare: «Sono in un momento che potrebbe dare una svolta alla mia attività di...vecchio novantenne. Il Signore sta cambiando il modello delle persone che vengono a confidarsi. Mi rendo conto che c’è più miseria di quella che conoscevo e quindi mi sento chiamato a dedicare più tempo a questi 'miseri' e aiutare i miei amici a sostenere questo 'mondo' con la loro preghiera».