domenica 14 giugno 2009
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Winston Smith, il protagonista del romanzo scritto nel 1948 da George Orwell, 1984, è il capostipite di una lunga serie di personaggi attraverso cui la fantascienza ci ha preparati a comprendere il più profondo dei disagi: quello che si prova quando perdiamo la memoria, quando veniamo spossessati dei nostri ricordi, delle nostre idee, della nostra lingua, insomma delle nostre «proprietà intellettuali». E forse in molti hanno paura di provare proprio questo disagio davanti all’avanzare di una delle iniziative più colossali dell’azienda creatrice del noto motore di ricerca su internet con sede a Mountain View in California, Google, che dal 2004 ha iniziato a digitalizzare e mettere in rete migliaia e migliaia di libri conservati in alcune delle più importanti biblioteche degli Stati Uniti. In 1984 Winston Smith lavora al Ministero della Verità e ha il compito di «correggere» i libri per far coincidere la realtà con le affermazioni e le predizioni del «Grande Fratello». La riscrittura della storia è solo il primo passo del controllo delle menti da parte del regime totalitario ma la dice lunga sul significato che da sempre il potere politico ha dato ai libri. Lo stesso meccanismo, reso più invadente e devastante dalla digitalizzazione, regge la trama del film Matrix (1999), dove ad essere riscritte sono le stesse coscienze degli abitanti della Terra. Ma poi ancora: il rischio per gli esseri umani rappresentato dalla commistione senza controllo tra potere politico, economico, tecnologia e cultura è ben narrato dal film Blade Runner (1982), dove la «Tyrell Corporation», gigantesca azienda privata, con i suoi «replicanti», robot in tutto simili all’uomo, crea degli esseri dotandoli di una memoria fittizia e realistica, ma decidendo in anticipo la data di scadenza della loro vita. Le notizie che giungono in questi mesi dagli Usa richiamano per diversi aspetti queste vicende fantascientifiche: Google, infatti, lo scorso ottobre ha proposto ad autori ed editori un accordo economico, offrendo 125 milioni di dollari (60 dollari per ogni libro digitalizzato), che permetterebbe all’azienda californiana di digitalizzare centinaia di migliaia di volumi ancora coperti da copyright ma fuori catalogo. Libri che si aggiungerebbero a quelli già fuori dai vincoli del copyright, e quindi disponibili a tutti, e quelli ancora in vendita ma concessi a Google da chi ne detiene i diritti e a quelli già pubblicati in formato elettronico e forniti dagli editori al grande motore californiano. Il gigante di Mountain View ha promesso all’Associazione americana degli editori e alla Authors Guild, il sindacato degli autori, di versare il 63% dei proventi della diffusione dei libri in formato digitale con chi ha il copyright. Infine verrà istituito un Registro con la funzione di raggiungere chi detiene i diritti sulle opere digitalizzate. I guadagni deriverebbero sia dalla pubblicità offerta sulle pagine di «Google Libri» che dagli abbonamenti che le biblioteche pagherebbero per accedere ai libri digitalizzati per offrirli, anche attraverso terminali installati nelle sale di lettura, ai propri utenti. Insomma, Google diventerebbe un’enorme biblioteca e potrebbe controllare l’accesso ai libri (e quindi a tutto il patrimonio che essi custodiscono) con l’aiuto della tecnologia digitale. Troppo simile al Grande Fratello, al megacomputer di Matrix, o alla Tyrell Corporation? Forse. Per ora l’accordo tra autori e Google, in realtà, pone dei paletti e dei limiti: innanzitutto l’intento dichiarato della casa californiana è quello di rendere disponibili a tutti i libri introvabili, permettendo alle biblioteche di accedere al suo archivio e quindi creando una rete per la condivisione dei testi. Poi, e questo è di fondamentale importanza, Google non sta comprando l’esclusiva dei diritti sui libri ma solo la possibilità di digitalizzarli e diffonderli: autori ed editori potranno concedere lo stesso diritto a qualsiasi altro soggetto (sempre che ne esista uno in grado di farlo). operazione non è priva di rischi, tanto che un tribunale del Distretto Sud di New York dovrà pronunciarsi sulla legittimità dell’accordo tra Google, autori ed editori. Inoltre, notizia di pochi giorni fa, anche il governo di Obama è sceso in campo, incaricando il Dipartimento di giustizia di indagare sugli aspetti legati alla concorrenza L’ e quindi all’antitrust dell’accordo. Azioni legali che però non spaventano né Google, né gli autori, che sul loro sito caldeggiano chi non l’abbia fatto ad aderire all’accordo entro il termine previsto, che è stato spostato al 4 settembre. Fino a questa data editori e autori potranno esprimere fondamentalmente tre opzioni: entrare nell’accordo e accettare i soldi di Google sia per i libri già digitalizzati che per quelli che verranno introdotti nell’archivio in futuro; accettare l’accordo ma esprimere riserve su alcuni punti; rifiutare l’accordo e far rimuovere i libri già digitalizzati. In ottobre, poi, arriverà la sentenza del tribunale e a quel punto Google potrebbe avere il via libera per il suo progetto. Un’operazione che potrebbe presto sbarcare anche in Europa, dove si trova il 70% del mercato mondiale legato ai diritti d’autore (in realtà l’archivio contiene già libri europei, e italiani, ma solo perché appartenenti a qualche biblioteca americana). A prima vista il nodo si scioglie risolvendo i problemi legati al copyright, in realtà i rischi sono di natura culturale e politica prima che economica. Innanzitutto perché Google è il maggiore motore di ricerca della rete: dargli il controllo, oltre che sulle ricerche, anche sui contenuti potrebbe avere per internet le stesse conseguenze che per uno Stato avrebbe la concentrazione dei poteri costituzionali in un’unica figura. Questo, inoltre, sta creando un «mercato drogato» nell’ambito della nuova economia: con la sua strategia invasiva Google sta colonizzando ogni possibile applicazione della rete, spesso rimettendoci milioni. Ma i buchi provocati dagli investimenti vengono compensati dall’aumento di valore del marchio stesso, che come una calamita attira a sé aziende e idee. Molte piccole aziende del settore informatico non lavorano più per fare utili ma per raggiungere l’obiettivo di essere comprate da Google. E infine, come sottolinea Robert Darnton, direttore della Biblioteca di Harvard, in un articolo apparso su The New York review of books, consentire a Google di commercializzare i contenuti delle biblioteche significa rischiare «di trasformare internet in uno strumento per privatizzare la conoscenza». Ma, aggiunge l’autorevole storico, tra i massimi esperti americani sull’Illuminismo, anche le biblioteche «devono cercare di coprire i costi. Per questo sono costrette a digitalizzare». Allora «dobbiamo farlo nell’interesse del pubblico e questo significa che chi si fa carico della digitalizzazione deve renderne conto ai cittadini». Forse Winston Smith, il fallito rivoluzionario del Ministero della Verità in 1984, proverebbe un certo disagio a sapere che l’unico modo per evitare il monopolio della cultura negli Stati Uniti del 2009 è quella di chiedere a Google, enorme azienda privata, di farsi garante dei diritti dei lettori e di creare, per dirla con Darnton, «una repubblica del sapere digitale». L’accordo prevede un’offerta di 60 dollari per ogni titolo ancora sotto diritti, ma senza esclusiva. Ora si aspetta il pronunciamento di un tribunale di New York e persino il governo di Obama è sceso in campo chiedendo un’indagine sugli aspetti legati alla questione dell’antitrust
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