venerdì 11 giugno 2021
Il Buglione lorenese e il principe vichingo furono protagonisti di vere e proprie epopee che la storiografia moderna sta riscoprendo dopo secoli di oblio
Sigurd il Crociato

Sigurd il Crociato - Laterza

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Una sessantina di anni or sono, quando espressi durante un seminario per studenti del primo anno di Lettere l’intenzione di studiare le crociate, le reazioni di chi mi ascoltava furono in parte ìlari, in parte annoiate. In pratica, mi fu replicato che si trattava di un tema stantìo, che non interessava più nessuno. Oggi le ricerche su quell’inesauribile argomento si vanno moltiplicando ed esso riceve perfino un addirittura eccessivo (e malinteso, in quanto attualizzante) interesse mediatico. Prendiamo Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena (cioè del Brabante). Lo prendevano già in giro nel Seicento: ricordate la scena manzoniana del litigio tra il conte Attilio e il podestà di Lecco, nei Promessi sposi, dove a un certo punto vien tirato in ballo anche il “pio Buglione”? A dargli nuovo lustro in età barocca (e poi nel romanticismo) era stato il commosso elogio che gli era stato dedicato da Torquato Tasso mezzo millennio dopo la prima crociata. E l’immortale autore della Gerusalemme, che pure era un instancabile erudito, aveva preso un granchio facendo di lui il capo della spedizione crociata.

In realtà, il nobilissimo signore che alla fine del-l’XI secolo dominava l’area della foce dei grandi fiumi che tra Francia e Germania si gettano nel Mare del Nord era stato un fedele alleato e vassallo dell’imperatore Enrico IV, e come tale un perdente nel duello fra questi e il papato riformatore. Passato precipitosamente a Urbano II, s’imbarcò in quello strampalato iter Hierosolymitanum, metà spedizione militare metà pellegrinaggio, che però nel 1099 riuscì a occupare Gerusalemme e la Terrasanta: la prima crociata, che allora non si chiamava ancora così. I sui colleghi lo acclamarono re di Gerusalemme confidando nella sua scarsa energia politica e nella sua cattiva salute: ed egli rifiutò la corona, limitandosi al titolo di Advocatus, cioè difensore del Santo Sepolcro. Tali gli esiti ultimi della storiografia contemporanea. Ma stavano davvero così, le cose? Sergio Ferdinandi rilancia, per così dire, la tesi tradizionale: e, rileggendo le fonti nonché rivedendo gli studi (col rischio, di questi tempi, di buscarsi l’etichetta del “revisionista”), ripropone con buoni argomenti la tesi affermatasi fra Due-Trecento e Ottocento, del “grande comandante” e dello “straordinario guerriero”: studiandone significativamente anche il mito (Goffredo di Buglione, Graphe.it, pagine 202, euro 15,00).

Una proposta del genere s’inquadra non già nel ritorno a vecchie visioni, ma al contrario nel fermento di nuovi studi e nell’irrompere di nuovi metodi e strumenti di ricerca, che permettono di riprendere, approfondire e talora rovesciare conclusioni che sembravano consolidate; e che talora chiamano a nuova vita personaggi e argomenti che sembravano definitivamente dimenticati. Ed è quanto appunto fa Francesco D’Angelo, scandinavista della Sapienza di Roma, riscoprendo per noi la figura di un principe ch’è invece molto noto tra Inghilterra, Germania e Finlandia: Sigurd, figlio del leggendario Magnus Olafsson re di Norvegia, cui appunto D’Angelo dedica la limpida e solida monografia Il primo re crociato (Laterza, pagine 212, euro 20,00). Pregio non secondario di questa monografia è l’aver associato allo studio attento delle non moltissime (ma già ben indagate) fonti latine e anche greche ed arabe che riguardano il principe norvegese quello dei testi invece scandinavi, troppo trascurati dagli storici abituati a più basse latitudini.

Nato nel 1089, Sigurd fu associato al trono regale di Norvegia con il fratello Eynstein nel 1103, ma divenne re effettivo solo nel 1122, alla morte del fratello, e tale rimase fino al 1130, allorché poco più che quarantenne abbandonò questo mondo. Il suo attributo era chiaro: i suoi lo chiamavano Jorsalafari, “il Gerosolimitano”. Fu un vero crociato, anche se non lo sapeva. Partito dal porto di Bergen nel 1107 ad appena diciott’anni (ma allora non erano pochi), quasi-re' all’ombra del fratello, percorse la rotta atlanticomediterranea dei vichinghi del X secolo combattendo i mori nella penisola iberica e collegandosi dunque senza saperlo alla grande rotta dei pellegrinaggi da Santiago a Gerusalemme; arrivato in Terrasanta, prima testa coronata d’Europa (la prima crociata era stata faccenda di principi, di cavalieri e di pezzenti: i sovrani avevano altro da fare) e combatté valorosamente insieme con il primo re crociato di Gerusalemme, Baldovino fratello di Goffredo di Buglione, per consolidare il possesso dei “franchi” sulla costa siro-libanese. Ripartito nel 1100, sostò a Costantinopoli alla corte del basileus Alessio I Comneno, più anziano di lui di quasi dieci anni; e tornò in terra di Norvegia l’anno dopo, in tempo per regnare altri vent’anni. Una storia vera che sembra un romanzo. Dice bene D’Angelo: crociato e vichingo al tempo stesso. Che malinconia assistere al successo di polpettoni televisivi inguardabili tipo Trono di spade mentre vengono ignorate le autentiche epopee quali quella di Sigurd Magnusson Jorsalafari!

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