domenica 12 aprile 2020
Albanesi era l’ala del Pescara di Galeone quando nel 1999 scelse il saio: «Ho visto Gesù in don Benzi. Molti calciatori sono testimoni della cristianità»
Fra’ Stefano Albanesi / Leo Mattioli

Fra’ Stefano Albanesi / Leo Mattioli

COMMENTA E CONDIVIDI

«Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?». È un passo del Vangelo di Matteo, assai caro a frà Stefano Albanesi, ex calciatore professionista, classe 1975, ed eterno uomo di sport. Oggi giorno di Pasqua, viene da pensare che la “Resurrezione” del calcio, «passerà attraverso quei calciatori che in campo si fanno testimoni di Gesù». Questo è un pensiero di fra’ Stefano, per quanto mi riguarda, il maggior testimone di Gesù in campo che abbia mai visto e conosciuto. La sua storia credo meriti di essere raccontata ancora, specie nel giorno della Santa Pasqua in cui ognuno di noi vivrà lontano dai propri cari, a debita “distanza sociale” per il pericolo di contagio da Coronavirus. Un male invisibile che ci ha momentaneamente privati anche della gioia di un abbraccio. La prima volta che ho potuto abbracciare fra’ Stefano è stato agli inizi degli anni Duemila, quando mi diede appuntamento in un convento vicino Perugia: una località dal nome assolutamente pasquale, Colombella. Era lì, pacifico e avvolto in una luce francescana, nel Convento di Farneto.

Chi lo conosce, come il suo amico ed ex calciatore Federico Cherubini (attuale responsabile del settore giovanile della Juventus), sa che Stefano è sempre stato, fin da bambino, una persona speciale. «A 12 anni alla domenica andavo alla Messa nella mia parrocchia (il Sacro Cuore di Foligno), ma non mi bastava... Così al pomeriggio dovevo tornare ad ascoltare la parola del Signore nella Santa Messa più solenne in cattedrale. E poi, nelle preghiere a Gesù chiedevo sempre di poter andare a vivere lontano da casa, per capire che cosa significasse davvero stare nel mondo. E il Signore mi ha ascoltato». A 14 anni Stefano si trasferisce ad Ancona, (club di B che poi sarebbe salito in Serie A per la prima volta nel 1991) per entrare nel settore giovanile del club dorico. Cresceva bene, da attaccante, “ala” libera di spaziare sui prati verdi di una giovinezza spensierata. Volto e fisico rubato cinema, idolo delle ragazzine, l’Ancona a 18 anni lo spedisce in prestito al Riccione (serie D). Una tappa importante al di là del calcio, perché lì sulla riviera romagnola viene a contatto con «l’uomo in cui ho visto Gesù, don Oreste Benzi».

Un rapporto quello con il don riminese – del quale è in corso il processo di beatificazione – , proseguito anche quando è passato a giocare in serie C con la Vis Pesaro. «Dopo gli allenamenti o le partite aiutavo don Benzi a raccogliere dalla strada le povere prostitute che poi trovavano rifugio e accoglienza nella sua casa famiglia di Coriano, oppure portavo i pasti caldi ai senza tetto della stazione di Rimini». Una catechesi vissuta direttamente sul campo della solidarietà, mentre su quello di calcio le quotazioni dell’ala sgusciante crescevano, e il prezzo del cartellino lievitava. Con 8 presenze in B e 3 gol, al rientro nella casa madre Ancona, il destino nel professionismo era segnato. Ma il “Male”, quello con la emme maiuscola, è sempre stato per Stefano il vero avversario da dribblare. Il male si è fatto anche fisico quando a 21 anni un infortunio al ginocchio lo ha portato «da un trono di gloria al letto d’ospedale». Un momento da solitudine dell’ala destra, attimi di estasi e tormento per il credente lacerato dalla scelta: «Farmi una famiglia o sposare la Chiesa di Gesù?». Il dubbio si sciolse in parte nel ’97 quando, la sua città, Foligno venne profondamente scossa da un terribile terremoto. «Con il sisma crollò anche la mia superbia», ha raccontato fra’ Stefano in un recente incontro pubblico a Medjugorje. E alla folla raccolta dinanzi al santuario della Madonna ha anche ricordato un momento fondamentale della sua svolta spirituale. «Da calciatore ricevevo tanti bigliettini da donne sposate... e un giorno il mio compagno di squadra con cui condividevo l’appartamento torna e scoppia a piangere. Sua madre era scappata via con un altro uomo... A quel punto mi sono raccolto in preghiera, ed è stato in quel preciso istante che ho dichiarato guerra a Satana». Ma il male, sempre fisico, tornò con un altro infortunio capitatogli proprio nel momento del grande salto. A 24 anni gli arrivò l’offerta della vita: contratto triennale milionario per andare al Pescara, serie B. Nel ritiro precampionato lo attendevano il “Profeta” dell’Adriatico, mister Giovanni Galeone e il suo compito sarebbe stato quello di andare a sostituire, specie nel cuore dei tifosi, l’ala storica degli abruzzesi Rocco Pagano, oltre a dare manforte a centrocampo a Max Allegri, futuro allenatore pentascudettato della Juventus. Ma al ritiro del Pescara, Stefano non si presentò e scelse quello spirituale dell’eremo francescano di Monteluco. Il lussurioso uomo di mondo mister Galeone alla stampa che trattava la “misteriosa scomparsa” di Albanesi, disse: «Per fortuna che l’abbiamo scoperto prima, altrimenti mi convertiva tutto lo spogliatoio».

Cominciò così, fra dicerie e stupore da bar sport, il suo nuovo cammino lontano dai riflettori di uno stadio e «dalla violenza dei tifosi che mi risultava sempre più difficile da comprendere». Un cammino non del tutto isolato. «Un altro ragazzo che giocava nella Primavera del Bologna è entrato nei frati minori. Addirittura ho scoperto che avevamo lo stesso procuratore», mi disse salutandomi nel convento di Farneto, dove c’era fra’ Tomislav, «un croato, lui si che sa giocare a calcio », sorrise fra’ Stefano, che, nel frattempo, è diventato uno dei parroci della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli e responsabile della Caritas locale - ma ha comunque continuato a giocare a calcio con la Nazionale italiana dei sacerdoti. La selezione dei prelati guidata da un “non convertito”, il presidente dell’Assoallenatori Renzo Ulivieri. La Resurrezione oggi passa anche dalla morte delle persone care e tra queste ci sono due calciatori che ci hanno fatto reincontrare. L’ultima volta che ho incrociato lo sguardo dolce e celestiale di fra’ Stefano è stato in una corsia dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia dove da tempo è il cappellano. Ci incontrammo per un attimo, proprio sotto a uno “striscione” scritto da un bambino malato di leucemia, ricoverato lì, nel Centro Daniele Chianelli. Su quel pezzo di cartoncino stava scritto: «D’accordo malattia, questa notte fammi soffrire, se vuoi anche domani, e dopodomani. Un mese, un anno, divertiti un po’, ma per sempre, per sempre no...».

Era quello che chiedevano e speravano anche Flavio e Carmelo. Nel padiglione vicino di ematologia, intitolato alla memoria di Andrea Fortunato, difensore della Juventus e della Nazionale che lì dentro ha combattuto la sua battaglia contro la leucemia spegnendosi a 23 anni (il 25 aprile del 1995), erano ricoverati i nostri comuni amici calciatori. Flavio Falzetti, norcino, classe 1972 con trascorsi in Serie C (nel Taranto) e Carmelo Imbriani, classe 1976, centrocampista anche lui nel Napoli di Marcello Lippi che, nella stagione 1993-’94, lo fece debuttare in prima squadra. Un talento Imbriani che se in campo non aveva espresso tutto il suo enorme potenziale, aveva cominciato bene la sua seconda vita da allenatore del Benevento. La società che nel febbraio del 2013 fece celebrare allo stadio il funerale del 37enne Imbriani. L’11 marzo dello stesso anno volava via per sempre anche Falzetti. Fino alla fine, Flavio era stato assistito da fra’ Stefano, il quale aveva sempre risposto presente anche alla convocazione della sua “Life”. L’altra Nazionale “special”, quella degli ex calciatori malati di leucemia e cancro fondata da Flavio e che va ancora in campo per raccogliere fondi destinati alla ricerca. Una testimonianza forte, e per niente rara, anche secondo fra’ Albanesi, il cui messaggio nel giorno di Pasqua sa davvero di Resurrezione per il calcio: «Credo nello sport e i suoi valori cristiani e credo fortemente che molti calciatori nell’esercizio della loro professione siano degli autentici testimoni di Gesù». Buona Pasqua e risorgi, caro vecchio calcio italiano.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: