venerdì 18 dicembre 2015
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«È stato un combattimento duro», confida a denti stretti e occhi d’Oriente Giuseppe Formenton. «Un combattimento estremo», fino al mawashi geri, il calcio circolare sul volto, un fulmineo gesto atletico con il quale ha ottenuto i tre punti vincenti e la medaglia d’oro agli ultimi Master Europei di Nizza. Nella repubblica fondata sul pallone il nome del guru Formenton a molti dirà poco, ma attenzione: siamo di fronte a un campionissimo. Il “maestro” di karate, un italiano che a sessant’anni da top player continua a stupire il mondo conquistando ori che vanno ad aggiungersi a un già ricchissimo palmarès. Parole e gesta da campionissimo. «La mente ha vinto ancora, comandando ogni azione e ogni muscolo del mio corpo », dice il “guru”. Sesto Dan in Giappone, “Il guerriero” – come chiamano in Friuli – Formenton è stato insignito del prestigioso e invidiabile titolo di san (“fratello di cuore” e “persona di assoluta fiducia”) nella terra madre delle arti marziali, il Giappone. Nella terra d’Oriente italica, Lignano Sabbiadoro, dove vive praticando la sua disciplina e il mestiere di fisioterapista, è considerato una leggenda che sul katami non conosce rivali. L’apice di una carriera infinita a Torino: vince due medaglie d’oro nel kumite, il combattimento, e una medaglia di bronzo nel kata, il confronto con uno o più avversari immaginari, ai campionati Wmg ( World Master Games) della specialità. L’evento è la più importante manifestazione mondiale di questa disciplina sportiva dedicata ad atleti over 35 che si svolge ogni quattro anni coinvolgendo un grandissimo numero di partecipanti. «Una rassegna superiore perfino ai Giochi olimpici estivi», spiega Formenton: classe 1955, ma “carrozzeria” da trentennesensei (“maestro”). Un fisico modellato dentro i confini esoterici di un percorso che plasma l’uomo nella purezza dell’arte marziale. «La perfezione è un destino eletto, una finta stazione di arrivo che si conquista combattendo duramente con se stessi. È la ricerca dell’armonia assoluta; ma a ogni nuova, ultima stazione, l’arrivo è più in là, alla fermata successiva. Un piacere doloroso che diventa ricerca continua, una droga mentale che nello sfinimento estremo ti fa muovere un altro passo sfidando ogni regola fisica». Parole da guru, capofila della filosofia karate-do. L’infinito viaggio della ricerca interiore è la green card dell’uomo-atleta-filosofo che ha conquistato il diritto di cittadinanza nella terra del Sole Nascente. «I fiumi scendono sempre a Oriente», scriveva Leonard Clark nella sua avventura alla ricerca dell’Eldorado. Per Formenton- San scorrono nella stessa direzione come le vie della mente alla continua ricerca del tesoro racchiuso nel mistero energetico nel pianeta incandescente della vita. Yin e yang hanno lo sguardo zen del campione che non conosce tempo; e il tempo si riempie di onore al suo passaggio sul tatami, dove risiede la sua anima.  Sul tappeto tra movenze fulminee, invocazioni misteriose d’intonazione buddista, fatica e sudore, nel combattimenti spirituali prima che fisici e immaginifici si esprime l’uomo atleta figlio della filosofia che persegue fin da bambino. Formenton nasce a Dolo, a un passo da Venezia; il padre disinnesca ordigni bellici e pratica il pugilato che insegna al figlio iscrivendolo alla palestra del paese. «In quegli anni gli sport più praticati erano calcio e karate. Avevo dieci anni quando scelsi questa arte», ricorda dietro un velo di commozione che nasconde la dolorosa e prematura scomparsa della mamma in quei tempi difficili di adolescente.  Nel karate trova sfogo alla propria sofferenza, frequenta con passione e forte personalità il sentiero dell’arte marziale diventando un piccolo campione che il maestro Bruno De Michelis a sedici anni convoca in Nazionale. Volo precoce in Giappone, a Okinawa: la patria dei maestri ascetici del karate. De Michelis e Maurizio Marangoni, grandi insegnanti in patria, e i maestri del giapponesi come Taiji Kase, figlio spirituale di Gichin Funakoshi (il grandissimo guru capace di codificare agli albori del Novecento svariate arti marziali nel Karatedo Shotokan). Eminenze grigie che lo introducono ai giardini eletti dell’arte marziale giapponese adottandolo e coltivando, accrescendole nell’esercizio e nella spiritualità, le sue straordinarie capacità fisiche e mentali. Formenton conquista la fiducia del grande maestro Kase. Vive al suo fianco in Giappone; apprende la lingua e la filosofia esistenziale che accompagna la sua guida carpendone i segreti e condividendo con lui la vita quotidiana. Giornate pie- ne di insegnamenti e di riti di purificazione, come la doccia prima e dopo essere uscito dalla sua casa, in una sorta di lindezza energetica. E ancora la sua punizione alla vigilia di un kumite molto importante: «Ero pronto e preparato, ero giovane e portavo con orgoglio i baffi. Ai bordi del tatami il maestro Kase si presenta con il necessario per la rasatura. Al mio rifiuto sdegnoso guru Kase mi intima: “Non combatterai!”. Rimasi profondamente colpito, ero in una forma smagliante, avrei vinto. Compresi la lezione dopo quella sofferenza. Non erano i baffi il problema, era il concetto della rinuncia e dell’umiltà di fronte al futile, l’insegnamento che mi veniva dato». In Italia crea la sua scuola, l’associazione “Karate-do Shotokan Lignano” in omaggio alla filosofia del profeta Funakoshi e del suo Karate-do Shotokan che si traduce in “La via della mano vuota”. «Una mano che va riempita con l’arte della saggezza e della crescita», rivela Formenton, e nell’insegnamento dei valori fondamentali della vita che devono accompagnare ogni momento del nostro viaggio verso il satori (l’illuminazione), che porta alla comprensione del significato oggettivo della vita accettandone la luce dal meraviglioso dolore della nascita, attraverso l’impegno della crescita, morendo semplicemente come tutto muore. «Tutto ciò attraverso la pratica della difesa a mano vuota, il karate-do. Questa è la nostra religione i cui precetti fondanti si trovano nel Bushido, un codice di condotta che traccia la via e la morale del guerriero » simile al concetto europeo di cavalleria o a quello romano del mos maiorum adottato dai samurai, la casta guerriera giapponese. Molti considerano il karate uno sport violento, ma il guru dissente categoricamente: «Non è così – ribatte pacato –, è un luogo comune di chi non sa, che non tiene conto dei profondi principi di carattere, impegno sincerità, rispetto e costante allenamento dello spirito che sono i comandamenti della nostra disciplina ». Il vento d’Oriente agita il mare, ma non scalfisce il sansei scalzo sulla sabbia fredda dell’inverno lignanese. L’alba del giorno nuovo è il tempo per ogni riflessione nel cammino dei pensieri di un Ragazzo dal kimono d’oro come il sogno proibito di un fulmineo stsuki waza, “colpo del drago”.
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