mercoledì 5 settembre 2018
Agli ultimi Mondiali ha vinto il titolo individuale e a squadre nel fioretto. Ma l’azzurro guarda già avanti: «Il sogno è Tokyo 2020». E aggiunge: «Vorrei essere un modello per chi fa questo sport»
Le stoccate di gloria di Alessio Foconi
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Alessio Foconi guarda le due medaglie che indossa al collo e sorride: «Me le sono proprio meritate. Ma questo per me non è un punto di arrivo, è soltanto un piccolo gradino verso l’obiettivo più grande, quello fra due anni». Non pronuncia mai la parola “Olimpiadi”, per scaramanzia, ma la sua testa, dopo l’ultima stoccata dei Mondiali - dai quali è tornato col titolo individuale di fioretto, con quello a squadre, oltrechè con la Coppa del Mondo - ha già fatto reset e pensa a Tokyo 2020. Intanto però si gode il bagno di folla della gente che lo ha atteso allo sbarco a Fiumicino accogliendolo con cori e trombe da stadio e quella che ha riempito la sala del consiglio comunale della sua Terni dove il neo sindaco Leonardo Latini e la giovane assessore allo sport Elena Proietti hanno voluto premiarlo: «Sono queste le cose che mi fanno commuovere- spiega l’atleta dell’Aereonautica - quando ho visto la gente all’aeroporto mi è uscita una lacrima. A Pechino, al momento dell’inno, non mi ero ancora reso conto bene dell’impresa. Felice di aver fatto qualcosa anche per la mia città, che ne ha bisogno».

Si avvicina alla sua famiglia, abbraccia il nonno e gli mette al collo la medaglia d’oro a squadre: «È più piccola ma è la più importante, perché è frutto di un lavoro collettivo. E io faccio squadra con la mia famiglia, col Circolo scherma Terni e con Pippi e Walter Cutrì». Pippi è Filippo Romagnoli, il maestro con cui Foconi si allena sin da bambino (tranne per un breve periodo quando fu affidato alle cure di un altro grande, Giulio Tomassini, storico maestro della Vezzali), sempre al Circolo Scherma Terni: «Era un “casinaro”, ma già allora un grande talento», dice. Foconi annuisce: «Sono sempre stato iperattivo, però quando c’era da allenarsi ero sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarmene. Da quando ho cominciato a tirare a 6-7 anni ho sempre avuto questo pensiero fisso di arrivare ad un grande traguardo: era un sogno che volevo andarmi a prendere. Ho avuto il merito nel corso degli anni di non abbattermi mai, ho preso molte “batoste”, molte finali le ho viste dagli spalti perché sono stato eliminato o da casa, perché non c’ero». Come la finale di Rio 2016, quella vinta dal suo compagno di Nazionale Daniele Garozzo: «Vederlo vincere l’oro olimpico è stata la svolta della mia carriera - spiega A Rio io non c’ero perché non me l’ero meritato e allora mi sono detto “Lui ci è arrivato, voglio esserci anche io”: ecco perché dico che questa è soltanto una tappa. Molti non credevano in me, ma anche io fino a due anni fa non avevo fatto abbastanza per farli ricredere».

Alessio Foconi è schietto e verace, non si fa mancare mai la battuta, quel “Daje” che è tipico intercalare della sua gente è diventato un suo marchio distintivo. Ma dietro il sorriso genuino si nasconde un vero e proprio Stakanov: «Potrei definirmi un operaio della pedana, perché non mi stan- co mai di allenarmi, mi piace, non mi fermo mai. Faccio la parte atletica con Walter Cutrì, poi subito tiro con Pippo e avanti sempre così fino a quando non è ora di mangiare (“Vivrei di sola Carbonara”) o dormire». Potenza, ma anche rispetto e disciplina. Doti che Foconi ha maturato nel corso degli anni e che oltre a mettere in pedana insegna anche ai bambini con i quali lavora al Circolo Scherma Terni del presidente Alberto Tiberi: «Questo sport insegna il rispetto delle regole, dell’arbitro, a fare spogliatoio. C’è il momento per ridere, per scherzare, ma poi quando si tira è una cosa seria. E io quando tiro con loro faccio delle piccole scommesse, ma non regalo loro niente. Dico sempre “Contro di voi voglio vincere a zero, se mettete una stoccata è perché ve la siete meritata”. Con me si lavora duro, è importante che imparino a guadagnarsi il risultato, ma con serenità perché alla loro età devono prima di tutto divertirsi». E aggiunge: «Se potrò essere di esempio per tutti i piccoli che si avvicinano alla scherma, ma anche a qualunque altro sport, mostrando che con i sacrifici e con la volontà si può andare lontano, ne sarò onorato».

Il tempo di una piccola vacanza con la fidanzata Maria Vittoria Cozzella, attrice di fiction in rampa di lancio («La chiamo cucciola e sono serio: per me esiste solo una donna, la mia») e poi subito di nuovo in pedana a sudare. Anche perché nella sua Terni a settembre il Circolo ospiterà un evento che lo vedrà in veste di testimonial, i campionati europei di scherma paralimpica, con la presenza di tante stelle, in primis la campionessa olimpica Bebe Vio: «Vorrei arrivare qualche giorno prima delle gare, se posso vorrei dare una mano, magari allenarmi un po’ con loro, sarebbe un onore », spiega. Foconi sorride, raccoglie i premi e le medaglie, firma autografi, si concede per i selfie coi bambini e coi tifosi: «Porterò tutto questo per sempre dentro di me». Non come la maschera che della finale, che ha lanciato in aria dopo la stoccata vincente contro Kruse. Quella non potrà entrare nella bacheca dei ricordi: «Non era la mia- chiosa- per problemi di sponsor me la sono dovuta far prestare da Francesco Tiberi (fratello del presidente Alberto e già bronzo europeo master). Dopo la finale mi ha mandato un sms dicendo: «Spero per te che sia ancora integra: l’ho già lavata, gli ho rifatto la scritta col suo nome e gliel’ho già restituita. Ora speriamo porti fortuna anche a lui».

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