martedì 8 settembre 2015
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Sembra impossibile (eppure avvenne) che un attore francese, dal viso cavallino ed esperto in commedie di umorismo un po’ grassoccio, sia diventato l’emblema più inossidabile e genuino del parroco italiano. Da questo paradosso è rimasto affascinato Fulvio Fulvi, giornalista esperto indagatore degli angoli meno frequentati della cinefilia, che dedica un libro a «Il vero volto di Don Camillo. Vita & storia di Fernandel», in uscita oggi per le edizioni Ares (pp. 192, euro 15) e dal quale riprendiamo un capitolo in questa pagina. Fulvi, collaboratore di «Avvenire», separa per una volta il duo indivisibile Peppone-Don Camillo e sceglie di approfondire il rapporto tra il grande attore d’Oltralpe e il personaggio in talare della Bassa: dalla contrastata scelta del regista Duvivier, alle sconfessioni dei film della saga da parte dell’autore letterario Giovannino Guareschi, all’ultima pellicola – la sesta – rimasta incompleta e oggi introvabile. Il volume reca la prefazione di Tatti Sanguineti e interviste a Pupi Avati, Paolo Cevoli, Giancarlo Giannini, Alberto Guareschi.Roma, venerdì 16 gennaio 1953, ore 20 circa. Fernandel rientra in albergo da Cinecittà dove ha finito di girare alcuni interni di Il ritorno di don Camillo. Alloggia all’hotel Hassler, un albergo di gran lusso situato in cima alla scalinata di Trinità dei Monti, che sovrasta piazza di Spagna: da lì si vede il cupolone di San Pietro che svetta nello splendido panorama della città. L’attore, stanco dopo una giornata di duro lavoro davanti alla macchina da presa, chiede alla reception la chiave della camera, vuole darsi una rinfrescata, cambiarsi d’abito e andare a cena con la figlia Janine, che lo aveva seguito per qualche giorno nella trasferta in Italia. Sta per salire le scale quando il portiere lo chiama per dirgli che due persone molto distinte hanno chiesto di lui e lo aspettano nella hall. Fernandel, un po’ contrariato, torna indietro e si avvicina a loro, che subito si presentano, parlandogli in francese: «Siamo camerieri del Papa, siamo venuti qui perché Sua Santità Pio XII desidera accordarvi un’udienza privata». La reazione dell’attore è incredula e, all’inizio, anche stizzita. «È uno scherzo, vero? Ma siete troppo giovani per darmela a bere... La prossima volta la burla ve la farò io...». «No, no, monsieur Fernandel, questa è una cosa molto seria – replicano i due – Sua Santità l’aspetta domenica prossima alle 10 e 30 in punto in Vaticano ». I suoi interlocutori sono così decisi che Fernandel, ora, non ha più dubbi: il Papa lo vuole vedere. Janine sarebbe dovuta tornare a Parigi l’indomani ma il padre le impedisce di partire: «Mi devi accompagnare, essere ricevuti dal Papa è un’occasione che arriva una sola volta nella vita e voglio che ci sia anche tu con me».  E così domenica 18 gennaio alle 10, con mezz’ora d’anticipo, Fernandel e sua figlia sono già in Vaticano, all’ingresso del palazzo pontificio. Le guardie svizzere li salutano con grandi sorrisi, i due ospiti salgono e scendono per ampie scalinate, attraversano saloni, corridoi e colonnati dove incontrano preti, vescovi e cardinali, tutti ugualmente cordiali e gentili nei loro confronti, soprattutto verso Fernandel, il quale non risparmia ampi sorrisi a tutti. «A un certo momento mi resi conto – racconta l’attore al giornalista francese Raymond Castans – che le loro attenzioni per me erano davvero speciali, non quelle solite riservate agli estranei... mi trattavano come se fossi uno di casa... mi dicevano “Buongiorno” come lo si dice a un collega... seppure in borghese, senza abito talare». Allora i prelati che lo accompagnavano gli spiegarono che c’era un piccolo cinema inVaticano dove, qualche giorno prima, avevano proiettato in privato Don Camillo, e che lo stesso Pontefice aveva assistito alla proiezione. Sembra che papa Pacelli dopo la visione del film abbia detto ai suoi collaboratori: «Voglio conoscere il prete più celebre al mondo dopo di me...». E così partì l’invito per l’udienza privata. E pensare che quando Fernandel venne scelto per la parte di don Camillo i produttori del film Amato e Rizzoli si chiesero se il Vaticano avesse accettato che un prete fosse interpretato da una faccia come la sua. Pensavano che sarebbe stato difficile far digerire la scelta del regista Duvivier ai vertici della Santa Sede. Evidentemente, non fu così. Fernandel e la figlia sono molto fieri di questo «privilegio » accordato loro dal capo della cristianità. Ma si chiedono: «Cosa bisogna fare e cosa bisogna dire quando ci si trova a tu per tu con il Papa?». È necessario inginocchiarsi e baciargli l’anello, come previsto dal cerimoniale, dice uno dei preti della curia vaticana, prima di introdurli al cospetto del Santo Padre. Finalmente i due entrano in un grande salone tutto affrescato. Fernandel ricorda così quel momento: «Lì c’era un monaco domenicano, abbiamo chiacchierato con lui per un po’, in francese (si tratterebbe di padre Felix André Morlion, nda). Tutto a un tratto il religioso si mette in ginocchio. Janine fa altrettanto. E io faccio come loro. Pio XII entrò nella stanza. Fu come un’apparizione: era alto, sottile, vestito di bianco. Dopo le presentazioni ci parlò per un quarto d’ora, in perfetto francese. Ci disse che amava molto la Francia e il suo popolo. Mi domandò della mia famiglia, dei figli, di mia moglie. Non una parola, invece, sul cinema, e nemmeno su don Camillo!».  Questo fu comunque, per l’attore marsigliese, un ricordo meraviglioso e indimenticabile: «Un grande onore, un’emozione intensa per me, ancor più che incontrare Chaplin!». Più tardi Fernandel comprese che, se fosse stato divorziato, per esempio, o avesse avuto delle “scappatelle” sentimentali, il Papa non lo avrebbe certamente ricevuto e che, proprio per questa ragione, sia piuttosto raro che un pontefice accolga in privato celebrità del mondo dello spettacolo.  Ma anche al Papa emerito Benedetto XVI piacciono molto i film con Peppone e don Camillo. Nel libro intervista Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi (Libreria Editrice Vaticana, 2010) del giornalista tedesco Peter Seewald, infatti, c’è un passaggio in cui viene chiesto al Pontefice quale sia il suo rapporto con la televisione… E alla domanda sui film preferiti, papa Ratzinger risponde: «Mi piacciono don Camillo e Peppone». L’intervistatore allora lo incalza: «Santità, immagino conosca a memoria ogni episodio... ». E il Papa, sorridendo risponde: «Non tutti...».   Si è appreso così che ogniqualvolta la tv ha rimandato in onda questi film, se non aveva impegni urgenti, il Papa si metteva davanti all’apparecchio televisivo e li guardava, divertendosi assieme alla sua famiglia pontificia, rappresentata dai segretari, i monsignori Georg Gänswein e Alfred Xuereb, e dalle quattro suore laiche dei Memores Domini.  Venuti a conoscenza di ciò, l’allora parroco di Santa Maria Nascente don Giovanni Davoli e il sindaco di Brescello Giuseppe Vezzani, in occasione dell’udienza concessa in Vaticano dal Papa a una delegazione del paese il 26 gennaio 2011, gli hanno consegnato un cofanetto con i Dvd, in italiano e in tedesco, dei 5 film di Peppone e don Camillo e un poster tratto da una scena del film dove i due protagonisti dipingono insieme le statuine del presepe.  Un altro curioso episodio riguarda Giovanni XXIII. Risale al 1952, quando il futuro pontefice era nunzio apostolico a Parigi. Racconta monsignor Pirro Scavizzi, predicatore delle missioni al popolo nonché confessore del cardinal Roncalli, che un giorno lo andò a trovare in Nunziatura e lo trovò sullo scalone del palazzo dove lo aspettava e rideva, rideva... «Stava leggendo Don Camillo!».
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