giovedì 26 giugno 2014
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​Ci sono comitive di giovani che camminano chiacchierando, pensionati dal passo un po’ più lento, qualche pellegrino solitario con lo sguardo immerso nel verde delle colline tutt’intorno. Segni particolari: bastone in mano, zaino in spalla e, conservato con cura in qualche tasca del marsupio, il “passaporto del pellegrino”, con i timbri conquistati negli ostelli lungo le tappe del percorso. Potremmo essere in uno dei tratti del Cammino di Santiago, la “via della fede” per eccellenza che porta al santuario spagnolo di Compostela, se non fosse per la terra rossa sotto i sandali dei viandanti e i paesaggi lussureggianti tutto intorno, tipici del Sudest brasiliano. Questo è infatti il Caminho da fé, il “Cammino della fede”, una via che copre quasi 500 km lungo gli Stati di San Paolo e Minas Gerais, e che – attraverso una trentina di città e innumerevoli pousadas, gli ostelli in cui i viaggiatori si ristorano – porta alla basilica di Nossa Senhora Aparecida, uno dei più importanti santuari mariani al mondo, visitato ogni anno da otto milioni di persone.Da quando, nel 1717, l’immagine miracolosa della Vergine fu trovata in un fiume da tre poveri pescatori, i pellegrini sono arrivati in questo luogo simbolo della fede attraverso innumerevoli vie diverse. È dal 2003, però, che anche qui esiste una vera e propria route, creata appunto sul modello del Cammino di Santiago, grazie all’idea del brasiliano Almiro Grings, che per due volte aveva percorso la celebre via compostelana e ne era rimasto profondamente toccato. La “gemella” carioca, suddivisa in tre rotte principali che si congiungono nella cittadina di Águas da Prata, si inoltra a tratti in foreste intricate e si inerpica sui monti Mantiqueira, fino a un’altitudine di 1.800 metri. Nelle tre settimane necessarie a percorrerla tutta a piedi (ma c’è anche chi sceglie la bicicletta), i viandanti hanno l’opportunità di approfondire la propria fede e di riscoprire la sobrietà grazie all’essenzialità obbligata del bagaglio e alla semplicità degli alloggi lungo la via.Il connubio tra spiritualità e cammino, trasversale alle religioni, fa parte della tradizione cristiana fin dagli albori, ed è oggi declinato ai quattro angoli del mondo. Dall’Oceania fino all’America Latina, passando per Africa e Asia, le vie che guidano i fedeli, a piedi scalzi o equipaggiati con scarpe da trekking di ultima generazione, verso luoghi dove il sacro si manifesta in modo speciale si dipanano per migliaia di chilometri. Intorno ad alcune di queste vie, gli abitanti si sono organizzati battendo sentieri e creando infrastrutture e servizi per i pellegrini: sono nati così degli itinerari che richiamano non solo i devoti locali, ma sempre più anche viaggiatori dello spirito che giungono spesso da molto lontano.Non sorprende che questi trekking-pellegrinaggi costituiscano una presenza ormai familiare in Medio Oriente, culla del cristianesimo e delle altre grandi religioni monoteistiche. Il “Jesus Trail”, un percorso di 65 chilometri nella regione israeliana della Galilea, collega alcuni luoghi al centro della vita e della predicazione di Gesù, in una regione che alla pregnanza spirituale unisce la suggestione naturalistica: tra le tappe spiccano gli splendidi tratti nei parchi nazionali di Zippori e Arbel e sui corni di Hattin. I sentieri della fede, tra Israele e Palestina, sono innumerevoli, ma l’intera regione mediorientale ospita strade calpestate nella storia dai patriarchi della Torah, della Bibbia e del Corano. È sui passi del comune Padre Abramo, l’“Amico di Dio”, al-khalil, come è definito dalla tradizione islamica, che è stato tracciato l’“Abraham Path” (letteralmente appunto il “sentiero di Abramo”) : una rotta di 1.200 km che parte da Ürfa, nel Sud-est dell’attuale Turchia, terra natale del patriarca secondo una delle tradizioni, e arriva fino a Hebron/Al-Khalil, dove è sepolto. In mezzo una lunga via che comprende Giordania, Israele, Palestina e anche – sebbene oggi solo teoricamente, a causa della guerra – la Siria. Molte migliaia di pellegrini, dall’apertura nel 2007, hanno marciato su uno dei tratti di strada ripristinati nei diversi Paesi (in tutto circa 450 km). E il “Masar” (“sentiero” in arabo), concepito secondo i dettami del turismo sostenibile, si è dimostrato un importante catalizzatore del cambiamento, sociale ed economico.
Se la Turchia ospita anche il cammino che ripercorre gli spostamenti missionari di san Paolo, è in Nordafrica la rotta che segue invece i passi di sant’Agostino, il Dottore della Chiesa nativo di Tagaste, nell’attuale Algeria. La Via Augustina segue una tratta di andata, costiera, da Tunisi all’algerina Annaba – l’antica Ippona, città vescovile di Agostino, la cui basilica festeggia proprio quest’anno un secolo dalla consacrazione – e una di ritorno che passa per Tagaste. Il tutto per 605 km e trenta giornate di cammino.Anche sotto il Sahara esistono luoghi dove il sacro si respira in modo intenso, mete di pellegrinaggi a piedi compiuti tradizionalmente dalla popolazione locale. Quello forse più suggestivo è Lalibela, in Etiopia, con Axum uno dei centri spirituali dell’antichissima Chiesa ortodossa “tewhaedo” (50 milioni di fedeli), famoso per le sue meravigliose chiese rupestri. In occasione delle principali festività religiose, in particolare il Timkat – l’Epifania – migliaia di fedeli abbigliati nel tipico abito bianco camminano per settimane e anche mesi, spesso a piedi nudi, dormendo all’addiaccio, per venire fino a qui. E anche se oggi sono in molti ad arrivare in autobus, e c’è perfino chi prende un volo da Addis Abeba per una visita rapida da immortalare con lo samrtphone, il luogo non ha perso quella sacralità che affonda le radici al tempo degli apostoli. Conserva invece una memoria di dolore il santuario di Nostra Signora di Kibeho, in Ruanda, dove tra il 1981 e il 1989 la “Nyina Wa Jambo”, ovvero la “Madre del Verbo”, apparve ad alcune studentesse, e che sarebbe poi stato teatro di violenze efferate nel contesto del genocidio di vent’anni fa. Oggi il santuario, già meta di pellegrinaggi, è al centro di un intervento congiunto della Chiesa cattolica ruandese e del Rwanda Development Board che punta a creare le strutture necessarie a una venerazione che va allargandosi ben oltre la comunità locale.Sono legati alla devozione mariana anche i principali cammini d’Asia, espressione di una fede minoritaria quanto vigorosa. Mariamabad, in urdu “Città di Maria”, è un antico insediamento cristiano nella provincia pachistana del Punjab, dove sorge un santuario veneratissimo e ritenuto miracoloso. Ogni anno, dal 9 all’11 settembre, qui si celebra una grande festa, e migliaia di pellegrini da tutto il Paese convergono in quest’area remota. L’evento, tuttavia – in una zona del mondo dove i diritti delle minoranze religiose sono ben poco tutelati –, catalizza purtroppo anche episodi di intolleranza. Spesso i fedeli che partecipano al cammino da Lahore a Mariamabad subiscono molestie, anche da parte della polizia, mentre i venditori e i ristoratori lungo la via rifiutano di servire loro cibo e bevande, adducendo il presunto divieto per i musulmani di condividere le stoviglie con "infedeli". Salvo il fatto che non pochi pellegrini sono essi stessi di religione islamica, magari alla ricerca di una grazia da parte di Mariam, anche da loro venerata… Un dettaglio, quest’ultimo, che offre un parallelismo con la basilica di Nostra Signora della Salute, a Vailankanni, nello Stato indiano del Tamil Nadu, 2.400 km a sudest di Delhi. Qui, il "cammino standard" inizia a Puducherry e dura quattro giorni, con i pellegrini che si nutrono di ciò che è disponibile lungo il cammino e dormono ai bordi della strada. Ma in molti partono da Chennai, aggiungendo cinque giorni di marcia sulla “East Coast Road”. «Sulla via si incontrano cristiani ma anche fedeli di altre religioni, che riconoscono la potenza di questo santuario», spiega Das, che da diciassette anni serve i pellegrini nel suo piccolo ristoro di Muthialpet. Dei venti milioni di persone che annualmente visitano Vailankanni, la metà è costituita da non cristiani, perlopiù indù.
La devozione verso la Madonna è all’origine di infiniti esempi di cammini, processioni, pellegrinaggi in tutti i continenti. In America Latina, a fianco della già nominata Aparecida, col suo Caminho da fé, è impossibile non citare il santuario messicano di Guadalupe (con il relativo itinerario di quindici giorni dagli Stati di Queretaro e Guanajuato), la Virgen di Chiquinquirá, in Colombia, o ancora la basilica di Luján, in Argentina, dove ogni anno, a ottobre, convergono i giovani (l’anno scorso due milioni e mezzo) partecipanti alla marcia di 60 km da Buenos Aires.Il modello contemporaneo del trekking dello spirito è arrivato perfino in Oceania. Sei anni fa, nell’Ovest australiano, è nato il “Camino Salvado-Pilgrim Trail”, un percorso che dalla chiesa di San Giuseppe a Subiaco, vicino a Perth, porta fino alla città monastica di New Norcia, nel Wheatbelt, dove sorge l’abbazia benedettina fondata nel 1846 appunto da padre Rosendo Salvado per evangelizzare gli aborigeni. Nei 160 km di marcia, i pellegrini attraversano luoghi di interesse storico e naturalistico, come il parco nazionale di Walyunga o la valle di Chittering. «Il “Pilgrim Trail” è un’esperienza di riflessione e di rinnovamento – spiegano gli organizzatori – pensata per tutti: le persone di fede, quelli che la fede non ce l’hanno e quelli che la stanno cercando». E scelgono di farlo camminando.
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