
L’invisibilità, insegna Hannah Arendt, è la forma più radicale di mancato riconoscimento. L’esclusione per antonomasia. Una condanna alla nonesistenza emessa nei confronti di un individuo o di un gruppo sociale ai margini del potere. A volte – e con sempre maggiore frequenza nel tempo dell’iperconnessione costante – la subiscono interi pezzi di mappamondo.
Haiti non è uno dei tanti: ne è l’emblema. La comunità internazionale l’ha resa invisibile fin dalla sua nascita come nazione sovrana, nel 1804. La prima Repubblica nera, frutto della rivoluzione vittoriosa di schiavi ribelli, non aveva posto in un consesso internazionale in cui il dominio coloniale e schiavista era legale e legittimo. Il suo “cattivo esempio” doveva essere cancellato se non nei fatti almeno nella loro rappresentazione. L’estro-missione dalla vista globale ha trasformato l’utopia haitiana – fonte di ispirazione per Simón Bolívar e gli altri padri dell’indipedenza latinoamericana – nella distopia attuale: una terra e un popolo ostaggio della guerra per bande, combattuta a colpi di massacri, sfollamenti di massa, distruzione dei mezzi di sussistenza e della natura.
L’agonia si consuma a un’ora di volo da Miami. Eppure – forse proprio perché troppo prossima – il mondo non la vede. Haiti non figura nell’agenda politica globale e nel dibattito pubblico.
L’isola e i suoi figli, però, esistono e, con inspiegabile forza, resistono. E con essi il sogno di libertà e dignità davvero universali di cui tutti siamo figli.
La telecamera di Alessandro Galassi trasforma questi concetti astratti in volti e storie nel documentario “Figli di Haiti” che sabato alle 15 sarà proiettato al Lecco-FilmFest. Al termine, sempre nel cinema Nuovo Aquilone, ci sarà il dibattito con il regista, con monsignor Davide Milani, presidente Fondazione Ente dello Spettacolo, Roberto Codazzi, scrittore e cooperante moderati da Gian Luca Pisacane della Rivista del Cinematografo.
«Guardare e farlo guardare è il primo passo per rompere il “paradigma dell’esclusione”, fondato sulla narrativa della causa eternamente persa. È stata una serie di ingiustizie a trasformarlo nell’attuale terra di nessuno in cui bambini e adolescenti, divenuti carne da cannone, pagano il prezzo più alto – sottolinea Alessandro Galassi -. Ho cercato di far immergere lo spettatore in questa realtà straniante e terribilmente affascinante».
«Quanti eventi tragici ci raggiungono: catastrofi naturali, guerre, violenze efferate… notizie che ci impressionano, ci spaventano, muovono anche la nostra pietà e a volte la solidarietà. Ma a queste immagini ogni volta se ne sovrappongono altre analoghe, di altri fatti tragici, relegando i primi e i loro protagonisti all’oblio, mentre su nuove storie si accendono i riflettori – dice don Milani -. Il LeccoFilmFest è felice di ospitare il documentario Figli di Haiti: anzitutto per il suo valore ma soprattutto perché incarna lo spirito di questa edizione del festival, incentrato sul tema della memoria. Fare memoria significa tornare al passato per non lasciarlo relegato nell’oblio ma agire oggi per modificarne le conseguenze che inevitabilmente si proietteranno nel futuro.
Fare memoria della situazione di Haiti, grazie all’arte documentaristica di questo lavoro che Avvenire con coraggio promuove, significa agire oggi per migliorare le condizioni di vita dei bambini e dei ragazzi di quell’isola martoriata ». Indizio eloquente dell’invisibilità dell’isola sono le politiche adottate nei confronti della sua diaspora. Di recente, l’Amministrazione Trump ha deciso di eliminare, dal 2 settembre, la protezione temporanea che gli Usa garantiscono a haitiani fin dal 2010. Le condizioni del Paese – ha spiegato la segretaria per la Sicurezza nazionale, Kristi Noem – «sono migliorate in modo sufficiente» da rendere possibile il rimpatrio dei 500mila rifugiati inclusi nel programma. La nazione che, da gennaio, ha accumulato 2.680 morti nel conflitto delle gang e conta oltre un milione di sfollati interni sarebbe, dunque, un “luogo sicuro”. Un paradosso bloccato dal tribunale federale di New York. Per ora. « Il giro di vite Usa, insieme a quello dei Paesi latinoamericani come Brasile, Cile e Messico, grava come un macigno sulle spalle dei migranti più poveri e marginalizzati, lasciati senza tutele, esposti a rischi umanitari e costretti a condizioni di vita precarie – afferma Roberto Codazzi -. È urgente un approccio multilaterale e solidale che focalizzi lo sguardo sulla dignità e i diritti delle persone e le cause profonde della migrazione haitiana».
Il punto resta dunque lo sguardo. Dalla volontà di contribuire a strappare l’isola dal cono d’ombra in cui è confinata, nasce la campagna “Figli di Haiti” di Avvenire e Fondazione Avvenire di cui il video omonimo è parte. Fino alla fine dell’anno, combinando vari linguaggi e piattaforme, il quotidiano e il suo sito descriveranno Haiti e i suoi figli, da una parte all’altra dell’oceano, attraverso reportage, interviste, approfondimenti, podcast. Abbinata al racconto, la possibilità per i lettori di compiere un gesto concreto per i “figli di Haiti” grazie alla raccolta fondi avviata dalla Fondazione Avvenire per mandare a scuola i bimbi dell’orfanotrofio La Maison Des Anges, costretto dalle gang a lasciare Port-au-Prince e a rifugiarsi con i piccoli nell’Artibonite. « Avvenire sostiene il progetto Figli di Haiti, ma non solo, perché crede nel valore dell’educazione come strumento di riscatto e sviluppo – conclude Alessandro Belloli, direttore generale di Avvenire -. In un contesto segnato da povertà e instabilità, garantire ai bambini haitiani l’accesso alla scuola significa offrire loro un futuro possibile. È un impegno di solidarietà concreta, che rispecchia i valori del giornale: attenzione agli ultimi, promozione della dignità umana, costruzione di speranza».