domenica 1 ottobre 2023
80 anni fa Duchwitz, un diplomatico tedesco, informato della deportazione, lanciò l'allarme e organizzò la fuga in Svezia con l'aiuto della popolazione danese. Si salvò il 95% degli ebrei danesi
Georg Ferdinand Duchwitz

Georg Ferdinand Duchwitz - Gariwo

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Esattamente ottant’anni fa, nella notte tra l’1 e il 2 ottobre 1943, iniziava la più grandiosa operazione di salvataggio della Seconda guerra mondiale. La Resistenza danese con l’aiuto di gran parte della popolazione riuscì a mettere in salvo in pochi giorni quasi tutti i settemila ebrei che vivevano in Danimarca. Ma sarebbe stato del tutto impensabile senza l’eroismo di un uomo destinato a passare alla storia come l’unico politico nazista proclamato Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem. Il suo nome era Georg Ferdinand Duckwitz ed era un membro di spicco dell’ambasciata tedesca a Copenaghen. Qualche giorno prima, alla fine di settembre, aveva scritto nel suo diario: «Mi assumerò la responsabilità per tutto quello che sto per fare. Sono consolato dalla mia forte fede che le buone azioni non possono mai essere sbagliate». Non appena venne informato dell’imminente deportazione degli ebrei danesi nei campi di concentramento, Duckwitz non assecondò i piani del Reich ma al contrario, fece tutto il possibile per sabotarli. Sfruttando la sua posizione e la sua credibilità riuscì a far avvisare tutti gli ebrei: fu possibile farlo in tempo perché oltre il novantacinque per cento della popolazione ebraica viveva nella città di Copenaghen.

Nella notte tra l’1 e il 2 ottobre 1943 i camion della Gestapo e delle SS iniziarono i rastrellamenti, ma nonostante la grande organizzazione tedesca, il raid si risolse in un completo fallimento: soltanto duecento persone furono trovate in casa e deportate nel ghetto di Theresienstadt. Si trattava di ebrei che, pur essendo stati informati della minaccia, l’avevano sottovalutata o non erano stati in grado di fuggire per motivi di salute o di età. Tutti gli altri riuscirono a salvarsi. A Copenaghen la popolazione si rese protagonista di uno straordinario gesto collettivo di solidarietà, nascondendo gli ebrei nelle proprie case e poi aiutandoli a imbarcarsi sulle navi dirette nella neutrale Svezia, a eccezione di molti bambini che rimasero nascosti in Danimarca fino al termine della guerra. Grazie al coraggio dei cittadini e alla Chiesa danese - che esortò ad aiutare e a difendere i perseguitati - quasi tutti i settemila ebrei del Paese riuscirono infine a salvarsi.

Duckwitz non si era limitato a lanciare l’allarme e a coordinare la gigantesca fuga con i comandanti dei porti di Copenaghen e di Aarhus, ma a rischio della propria vita aveva anche procurato i visti d’uscita e i passaporti per far diventare i fuggiaschi dei cittadini svedesi. Per il Terzo Reich fu una beffa inaccettabile: persino Adolf Eichmann, il grande architetto della “Soluzione finale”, dovette recarsi immediatamente in Danimarca per cercare di riprendere il controllo della situazione. Ma neanche lui poté impedire che quasi tutti gli ebrei danesi scampassero alla cattura.

Questa storia dai tratti leggendari, eppure assolutamente reale, è considerata una delle più grandi azioni collettive di resistenza al nazismo ed è stata ricostruita nel dettaglio da un giovane storico italiano perfezionatosi allo Yad Vashem, Andrea Vitello, nel libro Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca, Le Lettere, pagine 176, euro 19). Un’opera che nasce da un’analisi approfondita di fonti, documenti e testimonianze e dà opportunamente spazio anche alle vicende umane e a singole storie di salvataggio. Ma soprattutto fa comprendere appieno il carattere di unicità del caso danese rispetto ad altri salvataggi avvenuti durante la Seconda guerra mondiale. In Danimarca fu infatti l’intera popolazione, dal re fino alle classi sociali più umili, a contribuire alla salvezza degli ebrei.

«Il comportamento delle istituzioni fu esemplare - anticipa già Moni Ovadia nella prefazione - , lo fu la fermezza del re Cristiano X, dell’intero corpo ufficiali dell’esercito, della Chiesa cristiano-luterana, del sistema ospedaliero, del Governo con i suoi ministri, dell’apparato burocratico. Perché i danesi consideravano il rifiuto del razzismo, la democrazia e l’uguaglianza dei cittadini, un carattere nazionale della Danimarca, non solo dunque una forma di governo o un insieme di regole politiche, ma elemento intrinseco dell’identità del popolo e di tutti i suoi cittadini senza distinzioni».

Gli stessi nazisti ne erano consapevoli e, dopo aver varcato il confine danese il 9 aprile 1940, per oltre tre anni lasciarono a Copenaghen un’insolita forma di autonomia. Il governo nazionale, il Parlamento e l’esercito rimasero nelle mani del re e la Danimarca restò formalmente uno Stato libero, sebbene le truppe tedesche fossero stanziate sul suo territorio. Al cuore di tutto ciò c’era una motivazione economica: Copenaghen esportava i due terzi delle sue risorse in Germania e forniva continuamente forza lavoro al Reich. Anche per questo, nell’immediato la piccola comunità ebraica danese non venne perseguitata. Ma nel settembre 1943 la situazione precipitò a causa della crescente ostilità dei danesi, manifestatasi sotto forma di scioperi continui e di clamorose azioni di sabotaggio (la più eclatante fu il 22 giugno 1944, quando la Resistenza distrusse l’unica fabbrica danese che produceva armi per i tedeschi, la Dansk Riffel Syndikat di Copenaghen). La conseguente stretta decisa dal Reich innescò la “Soluzione finale” per gli ebrei danesi.

Fu allora che entrò in scena Georg Ferdinand Duckwitz, un nazista che rifiutava l’orrore dell’antisemitismo e del progetto di sterminio di Hitler e fu disposto a rischiare tutto per i suoi simili. Nonostante tutto però, nell’immediato dopoguerra la sua figura è rimasta a lungo in secondo piano. Mentre veniva esaltato il comportamento delle autorità danesi e della popolazione, in pochi ricordavano il ruolo del diplomatico, che pure aveva rischiato la vita per soccorrere gli ebrei ed era stato costretto a entrare in clandestinità per sfuggire alla fucilazione delle SS. Soltanto in seguito gli storici israeliani e statunitensi avrebbero riconosciuto il ruolo centrale dell’ex nazista Duckwitz in quella memorabile operazione di salvataggio. Nel 1971, circa un quarto di secolo dopo i fatti di Copenhagen e due anni prima della sua morte, Duckwitz ricevette finalmente il titolo di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme. Quando gli chiesero perché l’aveva fatto, spiegò: «Non ho mai considerato la mia vita più importante di quella di settemila ebrei. Bisogna avere la capacità di metterci come uomini al posto degli altri».

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