giovedì 28 ottobre 2010
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«Non voglio più sentir parlare di questo argomento!». Il Duce batté i pugni sul tavolo. Questo capitava a chi osava parlargli di quella laurea honoris causa in Giurisprudenza a Bologna. E quello che segue è il tentativo di ricostruire una vicenda ormai dimenticata e mai approfondita. Nel 1924, dopo aver mobilitato un ateneo per la cerimonia e preteso di esporre una tesi, Mussolini mandò tutto all’aria e la pergamena di laurea rimase per sempre senza firma né data. Anzi il Duce – e cercheremo di capire perché – pretese e ottenne il silenzio: troppe critiche e ironie, infatti, si erano addensate su quella laurea, incluse quelle del suo acerrimo avversario, Giacomo Matteotti. La vicenda inizia il 20 ottobre 1923: i giornali annunciano che appena 9 giorni dopo sarà consegnata una laurea honoris causa a Mussolini in occasione di una visita a Bologna per il primo anniversario della marcia su Roma.L’onorificenza sembra più un’idea di Dino Grandi che una scelta dei professori. A darne l’annuncio con un’intervista è infatti il giovane gerarca bolognese. Un anno dopo, il quotidiano cattolico di opposizione "Il Popolo" spiegherà l’offerta come frutto della feroce rivalità tra lo stesso Grandi e il segretario provinciale del Fascio Gino Baroncini. Se quest’ultimo s’ingrazia Mussolini con una cittadinanza onoraria, Grandi sponsorizza per il Duce una laurea in Legge. Ma si può organizzare una laurea «lampo»? No. Servono il voto del Consiglio di Facoltà e un decreto di Vittorio Emanuele III. Non solo. Il rettore dell’università di Bologna, Vittorio Puntoni, ha probabilmente appreso la notizia dalla stampa, tanto che raggiunge in treno il Duce per spiegare gli ostacoli: lui è a fine mandato, può fare solo ordinaria amministrazione e 9 giorni sono pochi. Così arriva il primo rinvio e Mussolini a Bologna ci va solo per la cittadinanza e il suo bagno di folla. Tocca quindi a Pasquale Sfameni, rettore dai primi di novembre, proporre subito la laurea honoris causa al Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza: il 13 novembre c’è il voto unanime. Il benestare del Re giunge il 31 dicembre: il Duce sarà «Dottore» e la cerimonia viene fissata per il 22 marzo 1924. Vengono invitati rettori da tutta Italia, si forma un comitato studentesco in onore del prossimo «dottor Mussolini», si pensa di scolpire una lapide che ricordi l’evento. Il Duce pretende per quella data di esporre una sua tesi su Machiavelli (anche se per le lauree onorifiche non era prevista tesi): «Solo in questo modo mi sentirò degno dell’altissima ricompensa», dice il capo del governo al rettore. Ma il 9 marzo, a meno di due settimane dalla laurea, arriva la doccia fredda: la cerimonia è rinviata ancora (ufficialmente) per impegni dovuti alle elezioni imminenti. E col secondo rinvio inizia l’attesa imbarazzante: aprile, giugno, poi ottobre. Niente. E cominciano anche i paradossi di una «laurea a metà»: per esempio Sfameni non sa se inserire Mussolini tra i laureati nell’Annuario (per questo convoca il Senato accademico), e a luglio il Duce viene addirittura iscritto in un’associazione di laureati. Così, quando anche il "Corriere della Sera" di Luigi Albertini il 21 ottobre 1924 si occupa della vicenda, il rettore scrive a Grandi per implorare di essere tolto dal ridicolo e per proporgli l’idea di una laurea «a distanza». L’università «sarà fiera e lieta di accogliere più tardi il suo insigne Dottore». Purché il Duce si laurei. Ma Mussolini non gradisce le lamentele. Così invia un telegramma (ritrovato in Archivio Centrale di Stato), al prefetto di Bologna: «Dino Grandi mi comunica (il) testo (della) lettera indirizzatagli (dal) rettore (dell’)università (a) proposito (della) mia oramai troppo famosa laurea ad honorem. Voglia comunicare senza indugio (al) rettore che (il) conferimento sia rinviato sine die». È il 7 novembre 1924 e sulla laurea cala il silenzio. Perché questo rifiuto? Lo storico Renzo De Felice dice che ci sono «contrasti» nel corpo accademico e per questo la laurea va a monte, datando la cancellazione non oltre l’aprile 1924. In realtà, come già visto, fino a novembre il rettore ci spera ancora e della laurea si parla anche sui giornali. A sostegno della teoria dei «contrasti» anche Alessandro Ghigi, rettore dell’Ateneo tra il 1930 e il 1943, parla di un docente contrario: Giuseppe Brini. Questo professore avrebbe sostenuto che Mussolini «non aveva alcun titolo per una laurea honoris causa» e il Duce, comprendendo il malumore, avrebbe preferito lasciar perdere, senza troppo clamore. Ma su questa opposizione non si sono trovati documenti ufficiali e va ricordato che Brini nel novembre precedente ha votato a favore della laurea in Consiglio di Facoltà. Ma c’è un’altra ipotesi, che non esclude per forza le precedenti. Se fossero state anche le reazioni alla sua tesi di laurea a far cambiare idea a Mussolini? A fine aprile, infatti, il Duce fa pubblicare un brano della sua dissertazione sul mensile "Gerarchia" con il titolo «Preludio al Machiavelli». «Accadde che un giorno – scriveva il Duce – mi fu annunciato da Imola il dono di una spada con inciso il motto di Machiavelli "Cum parole non si mantengono li Stati". Ciò troncò gli indugi e determinò senz’altro la scelta del tema che oggi sottopongo ai vostri suffragi». La tesi, per la sua superficialità e anche per le idee sull’uso della forza, scatena le critiche e le ironie delle opposizioni e della Chiesa. Mussolini non deve esser stato contento dell’accoglienza. Di più: anche Matteotti lo critica, potremmo dire «post mortem». Il deputato socialista, ucciso da sicari del regime il 10 giugno 1924, scrive infatti il suo ultimo articolo (intitolato «Machiavelli Mussolini and Fascism») proprio partendo da una critica alla tesi di laurea, per approdare a una gravissima accusa al fascismo. Comparso postumo a luglio sulla rivista londinese English Life e riscoperto 15 anni fa dallo storico Mauro Canali, l’articolo dimostra che Matteotti sapeva dell’affarismo che si annidava nel regime: «Alti funzionari possono venir accusati di tradimento e corruzione, ovvero del più ignobile peculato», scriveva Matteotti. Mussolini lo ha letto? Sì, quasi certamente, visto che ne giunse subito notizia in Italia. E se non si può dire che quell’articolo fu la causa del rifiuto – che forse era già maturato anche per la situazione politica sfavorevole che si era venuta a creare dopo il delitto – potrebbe essere stato uno dei motivi per cui in seguito, a partire dal telegramma del novembre 1924, Mussolini si mostrerà irritato al solo accenno alla questione. Quella tesi criticata e dileggiata diventa imbarazzante e come ci dice oggi lo storico Canali «rievocava troppo direttamente la replica di Matteotti sulla corruzione del suo governo». Sulla laurea calò poi il silenzio tanto che, ancora nel 1942, il rettore Ghigi racconta che il Duce «espresse il desiderio che si soprassedesse». Provarono a offrire a Mussolini quella laurea ancora negli anni Trenta (al culmine del consenso), ma l’ordine era di non dare «pubblicità alcuna ai documenti esistenti presso questa Università e che si riferiscono alla Sua persona». Della laurea era vietato parlare.
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