giovedì 5 giugno 2014
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​«Abbiamo tutti settant’anni», recitano i manifesti ufficiali nei borghi costieri di Normandia pronti ad accogliere, per un solenne omaggio in mondovisione agli ultimi veterani dello Sbarco, ben diciassette capi di Stato, fra cui Barack Obama. Ma sugli stessi manifesti non figurano più in primo piano gli eroi del 1944, bensì gli adolescenti di oggi di fronte a immagini d’archivio: una sorta di preludio simbolico all’imminente scioglimento della Normandy Veterans’ Association, che conta ormai solo seicento soci.Saranno dunque le commemorazioni della svolta, in una Normandia che in queste settimane pare più che mai un laboratorio della memoria. Lungo gli ottanta chilometri di litorale a nord di Caen e Bayeux, certi simboli del D-Day hanno messo radici nelle conversazioni e nel vissuto di ogni giorno. Come i nomi dei cinque tratti costieri dell’operazione Overlord: Utah Beach e Omaha Beach (reparti americani), Gold Beach (britannici), Juno Beach (canadesi), Sword Beach (britannico-francesi). Ma la salsedine morde le lapidi rievocative e i blindati esposti all’ingresso dei borghi. Tempeste invernali, maree e risacca stanno poi demolendo, di fronte ad Arromanches, la maggiore traccia ancora visibile del D-Day: i resti del colossale Mulberry Harbour, il porto artificiale divenuto la testa di ponte decisiva che assicurò per mesi rinforzi, munizioni, viveri e medicine all’avanzata contro la resistenza tedesca. Una statua bianca della Vergine e un Crocifisso proteggono oggi le scogliere a strapiombo di Arromanches. Ai piedi, l’ampio arco di frangiflutti di calcestruzzo e acciaio, noto pure come Port Winston (in onore di Churchill), pare congiungersi ai due promontori vicini formando un anfiteatro vasto come settecento campi di calcio. C’è chi vorrebbe trasformare la rada in un monumento perenne alla libertà europea. Anche perché il litorale resterà inciso per sempre dalle postazioni difensive tedesche del Vallo Atlantico. Ma i costi del salvataggio in mare potrebbero rivelarsi esorbitanti. La pensa così pure il colonnello Gérard Legout, coordinatore delle celebrazioni su Gold Beach: «Con il passaggio dei Dardanelli da parte dei Persiani nell’antichità, questo porto divenuto il cuore dello Sbarco rappresenta quanto di più audace sia mai stato tentato dall’ingegneria militare. Il mare lo sta distruggendo e dovremo certamente proteggerne una piccola porzione, ma sarebbe impensabile salvarlo integralmente, ammesso che sia possibile. In ogni caso, sono certo che con le nuove tecnologie e le rievocazioni museali riusciremo a salvaguardare degnamente questa memoria dal valore sacro». Potrebbe giovare allo scopo pure la recente candidatura per l’iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità curata dall’Unesco.Le commemorazioni coincidono pure con nuove letture storiografiche sullo Sbarco. In Francia, ad esempio, lo storico Philippe Buton ha parlato di “gioia dolorosa” per descrivere il clima spurio nel Paese nei mesi successivi al D-Day. Altri studiosi, invece, sottolineano che la grandezza dello Sbarco può essere misurata paradossalmente a partire da quanto andò storto, a cominciare dalle ore di sbandamento delle truppe americane a Omaha Beach. I marosi della Manica, poi, si rivelarono un ostacolo impietoso. La tempesta che imperversò dal 19 al 21 giugno affondò il secondo Mulberry Harbour pianificato dagli Alleati (proprio ad Omaha), minacciando persino il vitale Port Winston. In parallelo, l’eco crescente dei lavori di storici come l’israeliano Omer Bartov, il britannico Richard Overy o il francese Christian Baechler spinge oggi a rileggere il quadro strategico dello Sbarco pure alla luce dell’ossessione nazista di stabilire un dominio assoluto innanzitutto nell’Est europeo.La memoria collettiva del sacrificio legato al D-Day (circa duecentomila morti e dispersi nei tre mesi della Battaglia di Normandia) resterà certamente ancorata soprattutto alla costellazione di ventisei cimiteri militari normanni. Ma nella scia dello Sbarco si costruiscono pure ponti di nuovo stampo. Su iniziativa canadese, ad esempio, è nato nel 2003 il Centro Juno Beach, a Courseulles-sur-Mer. In un edificio modernista che dall’alto ricorda la foglia d’acero della bandiera canadese, è ricostruito l’impegno generoso del Canada durante lo Sbarco (spesso ingiustamente sottovalutato), accanto ad ampie finestre pedagogiche sullo stile di vita, il patrimonio, i valori canadesi di oggi. La direttrice francese del museo, Nathalie Worthington, spiega: «Vogliamo essere uno strumento civico per le nuove generazioni aperto sul mondo contemporaneo. Quest’anno, mostriamo alle scuole cosa significa vivere sotto le bombe per un bambino di dieci anni. Con documenti della Seconda guerra mondiale, certo. Ma è una lezione pure sulla Siria di oggi». A margine delle cerimonie, gli ultimi veterani incontreranno le scolaresche per rievocare ancora quella Normandia crivellata di bombe e gonfia di cadaveri. Un po’ nello spirito di un murales semplice e diretto ben in vista nel centro di Arromanches. Di spalle, due bambine scrivono: «Please no more war. Love».
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