sabato 3 febbraio 2018
La scrittrice racconta di aver iniziato a scrivere a 40 anni: l'elemento fondamentale delle mie storie è l'osservazione della realtà in cui viviamo ogni giorno
La scrittrice Giorgia Coppari assieme al marito, Bruno Cantarini, morto nel gennaio del 2015: le sue poesie sono state da poco raccolte in un’edizione curata dalla scrittrice

La scrittrice Giorgia Coppari assieme al marito, Bruno Cantarini, morto nel gennaio del 2015: le sue poesie sono state da poco raccolte in un’edizione curata dalla scrittrice

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Dalla casa di Giorgia Coppari l’Adriatico, più che vedersi, si intuisce. è un angolo di mare stretto fra il porto di Ancona e la Mole Vanvitelliana. La grande libreria, le foto dei figli e, alle pareti, i dipinti del marito, Bruno Cantarini. «All’inizio l’artista di famiglia era lui», dice sorridendo la scrittrice. Pittore, musicista e poeta, oltre che insegnante amatissimo dagli studenti, Bruno è morto il 6 gennaio 2015, festa dell’Epifania, sulla soglia del 62 anni.

«La malattia è stata lunga – osserva la moglie – ma da ultimo lui era davvero diventato tutt’uno con Cristo». Le poesie di Cantarini sono state da poco raccolte in Stagioni (pagine 256, euro 15,00), un volume curato dalla stessa Coppari e pubblicato da Itaca, la casa editrice che ha in catalogo i romanzi e i racconti di questa autrice di best seller tanto indiscutibili quanto, paradossalmente, poco conosciuti. Il suo libro di esordio, La promessa, è uscito nel 2011 e da allora ha venduto più di 10mila copie, traguardo di tutto rispetto in un contesto come quello italiano, dove il 96% dei titoli non supera le mille copie. Ma anche un altro romanzo, Qualcosa di buono (2012), è diffuso in almeno settemila copie, mentre si collocano fra le tremila e le duemila copie la raccolta di racconti Tutto al suo posto (2014) e il romanzo più recente, Chiamatemi Isa (2016). Eccezion fatta per La promessa, ambientato alla fine del Settecento, si tratta sempre di storie contemporanee, che prendono spunto dall’osservazione ravvicinata della realtà. «Del resto – ammette Giorgia Coppari – ho iniziato a scrivere proprio a partire dalla mia quotidianità personale. Era più o meno il 2000, stavo per compiere quarant’anni e cominciavo a interrogarmi sulla mia vita. I nostri tre figli stavano crescendo, avevano meno esigenze di prima, ero contenta del mio lavoro di insegnante e, prima ancora, degli studi che avevo fatto, ma nello stesso tempo mi sembrava di non aver combinato nulla di concreto. Di non essere stata capace di lasciare traccia, diciamo. In quel periodo mi piacevano molto i romanzi di Jean-Claude Izzo e forse sono state quelle letture a risvegliare in me il desiderio di raccontare.

Il primissimo tentativo di romanzo, a dire la verità, lo avevo fatto molto prima, più o meno all’età di undici anni. Ricordo benissimo la situazione: era d’estate, una domenica pomeriggio, e mentre i miei uscivano per la passeggiata, io ero rimasta a casa per scrivere la storia di Gambalesta, un bambino che decide di scappare per scoprire il mondo. È una trama che, presto o tardi, potrei riprendere. Per certi versi Fausto, uno dei personaggi di Qualcosa di buono, un po’ somiglia a quel piccolo fuggitivo». Prima dei romanzi, però, sono venuti i racconti. «Sì, per la precisione quello che dà il titolo alla raccolta: Tutto al suo posto, appunto – spiega Giorgia Coppari –. Descrivevo di una donna come me, una madre di famiglia alle prese con le piccole faccende da sbrigare. Era un esperimento al quale non davo troppo peso, quasi una scommessa con me stessa. Perché cerchi sempre qualcosa nei libri degli altri?, mi domandavo. Perché non provi a scrivere tu una storia che ti appassioni? Feci leggere quel primo racconto a Bruno, che lo apprezzò e mi incoraggiò a continuare. Per me il suo appoggio è stato decisivo, e lo è ancora oggi. Scrivere significa entrare in una dimensione di mistero, che permette di stabilire relazioni su piani altrimenti impensabili». Un elemento fondamentale, in questo senso, è costituito dal dialogo con le scolaresche che Giorgia Coppari incontra molto di frequente. «Senza contare i miei studenti, che ho sempre davanti a me – scherza –. Lo scambio con i ragazzi è sempre fonte di grande stupore, qui nelle Marche come in Lombardia o in Sicilia. Mi viene in mente, per esempio, il commento di una ragazza a pro- posito della Promessa.

Il protagonista, Luigi, è diventato costruttore di navi per amore di Barbara, una donna che sembra non corrispondergli. In modo del tutto fortuito, l’uomo assiste al miracolo della Madonna di San Ciriaco, il prodigio avvenuto nel Duomo di Ancona il 25 giugno 1796, nel pieno dell’avanzata di Napoleone in Italia. Luigi è tra quelli che notano il movimento degli occhi della Vergine ed è in quell’istante, come mi ha fatto notare la ragazza, che tutta l’attesa della sua vita trova compimento. Sono l’autrice del romanzo, è vero, ma non sarei stata capace di esprimermi con tanta chiarezza. Ma non solo i ragazzi a riservare sorprese. In Qualcosa di buono un ruolo importante è svolto da Irma, una badante che viene dal-l’Est e si esprime in un italiano a volte difficoltoso. Più di una persona mi ha confessato che, dopo aver fatto la conoscenza di questo personaggio, ha cominciato a guardare gli stranieri con uno sguardo differente. Sono molto contenta quando si verificano episodi come questo. Il mio desiderio, infatti, è di scrivere per tutti, in modo da raggiungere quante più persone possibili».

Insieme con l’amore coniugale, l’esperienza religiosa è un tema costante nei libri di Giorgia Coppari. «La letteratura ha sempre Dio come interlocutore – afferma –, è sempre un tentativo di rispondere all’interrogativo posto con estrema chiarezza da Guy de Maupassant: che cosa possiamo dire di questa vita nella quale siamo entrati senza averlo chiesto e dalla quale dovremo uscire senza volerlo?». Un nuovo romanzo è già pronto, ma se dovesse tornare su una delle storie che ha già in parte esplorato, Giorgia Coppari si soffermerebbe volentieri sulla vicenda di Lora, la figlia della protagonista di Chiamatemi Isa: «Una donna molto inquieta, che si converte negli Stati Uniti, in un ambiente che anche a me risultava un po’ strano – sostiene –. Poi, qualche tempo fa, mi sono imbattuta in una coppia di pellegrini che si spostavano a piedi da una città all’altra. Lei, di origine polacca, raccontava di aver incontrato la fede proprio in America. Forse con Lora non avevo sbagliato troppo, no? Anche per questo mi piacerebbe scoprire qualcos’altro di lei».

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