martedì 21 marzo 2017
C’è spazio per l’arte e la letteratura nei centri commerciali? Il dibattito è aperto, ma gli esempi positivi non mancano, da Scalo Milano ai Granai di Roma. Petrosino: conta la qualità
L’installazione “Greetings” di Alice Ronchi è una delle proposte artistiche di Scalo Milano a Locate Triulzi.

L’installazione “Greetings” di Alice Ronchi è una delle proposte artistiche di Scalo Milano a Locate Triulzi.

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Sono vere e proprie città del comprare – ma fuori città –, «cattedrali del nostro tempo» fondate sulla «religione del consumo», per usare un’espressione di George Ritzer. Luoghi che l’antropologo Marc Augé definì anni fa, in una espressione poi riveduta e corretta, «non-luoghi», e Zygmunt Bauman «luoghi senza luogo». Parliamo dei centri commerciali, evoluzione più moderna dei grandi magazzini, alla Rinascente per intenderci. Se si può discutere sul loro ruolo, sull’opportunità di realizzarli, sul conseguente spostamento centro-periferia, sull’alienazione che ne deriva e così via, non si può negarne l’esistenza e soprattutto la loro diffusione e frequentazione. Oggi diventati luoghi della nostra quotidianità o del tempo… libero. E se l’obiettivo è sempre e comunque commerciale, un nuovo passo nell’evoluzione di questi spazi, se non la sfida, è la cultura, è l’arte, è la musica. Sì, la cultura al centro commerciale.

In realtà il primo centro commerciale progettato a Detroit nel 1954, il Northland Center, aveva un’area di piccoli negozi di 100mila mq, un parcheggio enorme e una piazza – la Garden Court – pensata proprio per ospitare iniziative culturali, concerti e conferenze. Oggi la cultura diventa, o ridiventa un tassello che può fare la differenza. Interessante in questo senso è la proposta di Scalo Milano, uno degli ultimi nati attorno al capoluogo lombardo, dove il «benvenuto» a chi arriva in questa struttura con 130 negozi a Locate Triulzi – soprattutto di alta gamma dell’arredamento, del design e della moda – si dà con una vetrina sulla creatività contemporanea: l’installazione Greetings di Alice Ronchi, nell’ambito del progetto Scalo Art Pavillons a cura di Bruna Roccasalva.

«Camminavo per strada, mi voltai e vidi un uomo all’interno di un edificio pulire con sinuosi gesti una vetrina. Con il braccio proteso verso l’alto stringeva un panno colorato che sventolava dondolando il suo corpo da destra a sinistra e di nuovo verso destra. Disegnava tante curve immaginarie, come se stesse accarezzando o pulendo un arcobaleno. Rimasi a guardarlo e sorrisi, credevo mi stesse salutando. Sorrise anche lui», così la Ronchi spiega la sua opera che declina in modi differenti il gesto del “saluto” in un mix tra interventi scultorei, performance e video. Più avanti, in un altro spazio che potrebbe essere usato per usi commerciali, ci sono invece le opere della Vie Aquatique di Santo Tolone. La mostra del noto fotografo Settimio Benedusi dal titolo Il lavoro è sacro, campeggia sulla grande parete del viale d’ingresso e mostra le facce di tutti coloro che hanno contribuito in varia maniera alla realizzazione della “città del design”: sono 216 ritratti in bianco e nero. Un caso. Ma non unico. In maniera diversa ecco che in molti outlet factory, le cittadelle degli spacci aziendali e delle occasioni, non mancano iniziative collaterali creative. Al Mantova Village, nelle scorse settimane si è chiusa la mostra fotografica Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat Dalla Pop Art alla Street Art curata da Ono Arte contempora- nea.

Al Serravalle Designer Outlet di McArthurGlen sono molto apprezzate sia la stagione jazzistica sia il Summer Music Festival: lo scorso anno sul palco del centro piemontese sono arrivati artisti del calibro di Antonello Venditti, Luca Carboni, Elio e le Storie tese, Fedez e Fiorella Mannoia («Penso che la musica vada portata ovunque, anche in un centro della moda»). Nei centri commerciali sono sempre più diffuse le presentazioni di libri o esibizioni di personaggi televisivi e dello spettacolo, scrittori, cantanti, fino alle ormai immancabili web star come Benji & Fede, Sofia Viscardi o Alberico De Giglio che richiamano moltitudini di ragazzi e sono capaci di vendere anche mille libri (pubblicati da Mondadori e Rizzoli, non da case editrici di secondo piano) in un pomeriggio. Certo, spesso sono specchietti per le allodole, attrattori di potenziali consumatori.

Chi pensa però che l’offerta sia “solo canzonette” e “youtuber alla riscossa”, si sbaglia di grosso. Ci sono esperienze in cui il livello si alza decisamente interessando la grande letteratura. Pensiamo alla programmazione della libreria Nuova Europa di Barbara e Francesca Pieralice ai Granai di Roma che il 25 inaugura i nuovi spazi, raddoppiandoli, a testimonianza che i libri, tutti i libri, funzionano e si possono divulgare anche in questi luoghi: per l’occasione lancia una maratona culturale intitolata “Voluminosi”, diretta dallo scrittore e giornalista Roberto Ippolito, autore di tanti libri di successo. Un festival di un giorno – non stop, dalle 11 alle 20 –, con scrittori fra i più amati, di tutti i generi: apre il Premio Strega Edoardo Albinati, poi a seguire, fra gli altri, Domenico De Masi, Marianna Coppo, Paolo Di Paolo, Roberto Koch, Andy Luotto, Michela Monferrini, Clara Serretta, Mirko Zilahy, per chiudere con Giancarlo De Cataldo e Diego De Silva. Una eccezione? Non proprio, sabato scorso in libreria c’era lo spagnolo Carlos Ruiz Zafón (e 500 persone ad ascoltarlo). «La vera sfida è quella di portare anche dei generi inusuali per un centro commerciale, come la fotografia o la grande poesia, penso a Claudio Damiani o a Elio Pecora, già difficile in una libreria normale – spiega Ippolito –.

Entrando in un centro commerciale, il rischio è che pur incontrando tantissime persone, non ci sia relazione. Ma il consumatore è prima di tutto una persona. Allora proponiamo, in libreria, la possibilità di scoprire la vicinanza con autori qualificati. E in un luogo dove si pensa che non ci possa essere altro che commercio, ecco uno spazio con una proposta culturale forte, che va ovviamente declinata con una identità ben definita e una organizzazione di qualità». Al consumatore la scelta, la capacità di distinguere le proposte più serie da quelle più puramente commerciali e di frenarsi (se è il caso) dall’acquisto «mentre sono lì...». Ma in fondo non è così per tutto quello che passa in qualunque spazio, evento o libreria delle nostre città?

Petrosino: «Non conta il luogo, ma la qualità»


È possibile fare cultura nei “templi” del consumo? «In linea di massima sì, gli esempi non mancano. Ma con dovute osservazioni e doverosi distinguo... Il dato di partenza è che – è evidente – non si possono trascurare questi luoghi». Leggiamo il fenomeno con il filosofo dell’Università Cattolica, Silvano Petrosino: «Il concetto di non-luogo non è mai esistito: l’uomo è sempre l’uomo e non dimentica di essere uomo, stabilisce relazioni umane. Ovunque, anche nei luoghi più pazzeschi e drammatici, come – portiamo un esempio estremo – i campi di concentramento, gli uomini si sono ritagliati spazi di umanità. Questo per dire che non esistono “non luoghi”, se ci sono relazioni. Il centro commerciale è un luogo della nostra quotidianità. Fondato sul consumo, certo, ma che ha una piazza dove si possono stabilire delle relazioni, si offrono dei servizi e opportunità: dallo spazio giochi per i bimbi, al posto dove mangiare, dove ascoltare musica… Questi sono elementi di sincerità e positività».

E la cultura, dunque, sta in questa piazza? «Può starci e può essere utile – continua il professore –: in una società avanzata di capitalismo avanzato è chiaro che non puoi vendere solo la sedia, devi fare di più, devi cercare cose nuove, perché ti confronti con consumatori raffinati. Il sistema del consumo – ed è la sua forza – consuma e digerisce tutto. Utilizza anche l’arte, come la religione. E non dimentichiamo che c’è un’esaltazione idolatrica di figure come lo stilista o lo chef, che quando parlano sembrano dei filosofi…». Tutto dipende dalle iniziative culturali che si propongono. «Se offriamo esperienze artistiche e culturali, devono essere autentiche e di qualità. La presentazione del libro scadente per consumatori scadenti, può essere un male e può avere poco di culturale… Ma è vero che questo può avvenire anche lontano dai centri commerciali. Che in questi luoghi, dunque, ci siano spazi di incontro, meglio se di alto livello, fa parte del gioco ed è positivo. In ogni caso sono proposte ed esperienze – conclude Petrosino – che possono attirare il consumatore in maniera più nobile e stimolante rispetto a chi incentiva il consumo riempiendo gli spazi di svago soltanto con divertimenti o con le famigerate slot-machine».




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