mercoledì 2 settembre 2015
Stagione indimenticabile per l'azzurro che si appresta a guidare i "bomber" azzurri all'Europeo che inizia sabato. <Con la Nazionale puntiamo a una medaglia o al pass per le Olimpiadi»
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Le cose arrivano quando devono arrivare, ma un anno così non capita certo due volte nella vita. Lo scudetto sfiorato con Reggio Emilia, il passaggio all'Olimpia che è come arrivare su un altro pianeta anche se Milano sta alla fine della Via Emilia, il primogenito Alessandro arrivato proprio in questi giorni (con breve licenza premio dal ritiro dell'Italia) e, tra poco, l'Europeo e l'etichetta ormai consolidata di Pirlo del basket. Alla soglia dei 30 anni, pochi giorni al sipario del suo secondo Europeo come playmaker dell'Italia, Andrea Cinciarini è la prova vivente che a volte si può sincronizzare la vita con lo sport e diventare allo scoccare di una certa ora X uomini, padri di famiglia e insieme direttore d'orchestra della squadra che potrebbe diventare – provvisoriamente – la prima nella grande famiglia azzurra, visto il cantiere in cui lavora Antonio Conte e visti i recenti scossoni nel mondo dell'Italvolley. Dipenderà molto da come va l'avventura nell'Europeo a Berlino (via il 5 settembre contro la Turchia), in un girone non proprio di burro visto che dovremo vedercela anche con Spagna, Serbia, Germania e Islanda. Per fortuna che alla fase finale del campionato europeo, a Lilla dal 12 settembre, vanno le prime quattro e, quindi, con rispetto per gli amici islandesi, si farà la corsa su una del mazzo. In palio non c'è solo il podio, ci sono i biglietti per Rio 2016. E gli alti e bassi della lunga preparazione, iniziata il 20 luglio, dividono già tra ottimisti e pessimisti. Non c'è naturalmente bisogno di chiedere da che parte stia il Cincia, come è ormai diventato nel mondo dei panieri, positivo per natura come molti di quelli nati dalle sue parti, a Cattolica. Un romagnolo dai nervi molto saldi. «Di certo per me è un anno molto, ma molto intenso. Prima le emozioni sportive con Reggio e il passaggio dalla gioia per il quasi scudetto alla tristezza per l'occasione persa, adesso la Nazionale con l'obiettivo di una medaglia o, comunque, di portare a casa un posto per le Olimpiadi. Poi ci sarà Milano e tutto quello che vorrà dire giocare nell'Olimpia. Nel mezzo, ma nemmeno poi tanto, questo figlio che vuol dire iniziare un percorso nuovo con mia moglie Alessia e dare una struttura alla mia famiglia». Cinciarini ha un fratello, Daniele, che pare la sua goccia d'acqua anche per la trafila che hanno condiviso dalle giovanili a Pesaro, poi come sempre c'è qualcuno lassù che orienta le strade e i destini. Ed è forse il primo vero erede di Pierluigi Marzorati dai tempi belli di Cantù (e a Cantù lui stesso, due anni fa). Ora ha in pugno il volante della Nazionale di Simone Pianigiani, per qualcuno la più forte di tutti i tempi grazie al poker di paisà dalla Nba: Belinelli, Gallinari, Bargnani e Datome. Il Cincia, però, tiene ancora i piedi ben piantati per terra: «Non è per nulla scontato aver la possibilità di rappresentare il proprio Paese giocando in Nazionale, così come non posso non essere contento del fatto che essere arrivato al vertice del campionato è anche il premio a tanta fatica e sforzi fatti. Se mi posso sentire realizzato come giocatore di pallacanestro e come uomo, visto che sono riuscito a mettere su casa e famiglia, sono anche consapevole che in questi tempi di crisi generale, con tanti ragazzi giovani che faticano a trovare una strada e un futuro, mi ritengo fortunato. Non privilegiato, però, perché credo che a questo mondo si possa avere tutto, si possono raggiungere tutti i traguardi nello sport e nella vita, se uno accetta di impegnarsi, fare sacrifici e rinunce». Sembra l'eco del messaggio che il grande Manu Ginobili, uno che ha vinto tutto di qua e di là dall'Oceano, ha affidato in questi giorni al web per dire ai giovani che l'unica via per raggiungere i propri sogni è lastricata di sudore e di tenacia, e la metafora usata dell'argentino di San Antonio è anche meno prosaica. Cianciarini, venuto su nella cantera della Scavolini, ha come modello e punto di riferimento, oltre al divino Sale Djordjevic (che ritroverà sulla panchina della Serbia), un altro biancorosso che nessuno mai dimenticherà, Alphonso Ford, il bomber che ha giocato sette anni con una leucemia addosso («E noi non lo sapevamo, non lo sapeva nessuno, di lui ho sempre ammirato la grandissima forza di volontà») e che quando ha dovuto gettare la spugna nel 2004, prima di andarsene a 33 anni, ha lasciato un testamento che Andrea ha imparato a memoria: «Voglio che ognuno di voi continui ad avere fede. Siate forti e combattete duro». Certo, crescendo e girando lo Stivale, Cincia ha avuto modo di imparare anche da tanti altri mostri sacri come Spanoulis, Zizis e Diamantidis, o come Paul e Derreck Rose nella Nba: «Sono un grande consumatore di basket anche in televisione, non mi perdo una partita che sia Italia, Europa o Stati Uniti, credo si possa migliorare anche da spettatore degli altri». Ora un giocatore di Milano, nell'ultima rivoluzione di Armani, con Alessandro Gentile a fare la trazione anteriore della Nazionale e dell'Olimpia. Al termine di lungo girovagare che un tempo si chiamava gavetta e che è stato un giro d'Italia sempre più in alto: Senigallia, Pistoia, Montegranaro, Pavia, Cantù e poi Reggio Emilia. «Le minors, come vengono chiamate, sono state fondamentali perché è un percorso che ti forma il carattere, quando ti ritrovi ad essere il più giovane di un gruppo di giocatori e di uomini e devi farti rispettare e accettare. Impari soprattutto che niente nella vita ti viene regalato, e che bisogna continuare a porsi obiettivi anche quando arrivi in alto. Io non voglio fermare la mia crescita, anche per questo lavoro in palestra tutto l'anno, estate e inverno, e penso che si può sempre migliorare. Si può sempre fare qualche passo in più fino alla fine della carriera». Certo, ci vuole anche talento. Anche la natura deve fare la sua parte. E infatti l'ha fatta, nel caso del Cincia che si vede un regista nella concezione moderna: «Credo che nel mio ruolo mi debba adattare alle situazioni ed essere anzitutto un leader vocale, parlare ai compagni e garantire presenza in campo, a differenza che nel club qui ci sono tante bocche da fuoco e tanti giocatori che fanno facilmente canestro e il mio compito è prima di tutto metterli tutti nel ritmo giusto». Da playmaker o direttore d'orchestra della pallacanestro di una volta, dei Caglieris e Marzorati suoi predecessori, al pilota eclettico di una macchina che pare proprio un gran bel bolide, anche per quel tocco americano nel motore: «I nostri compagni che giocano nella Nba hanno tanto talento e un'esperienza maturata in quel fantastico e durissimo campionato, ma si sono calati in questa avventura con la stessa nostra fame di centrare gli obiettivi, senza mai fare pesare il fatto che sono professionisti nella lega americana. Sono brave persone, prima di tutto». E questo, prima legge di Cincia, fa la differenza ben oltre il parquet di un campo da basket.

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