mercoledì 7 gennaio 2015
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Una sorpresa, in tutti i sensi. In primo luogo perché il teatro rappresenta, almeno in Italia, la parte meno nota della sterminata produzione di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936). In sostanza, del Gkc drammaturgo conoscevamo finora un unico testo, Magic: prima rappresentazione a Londra nel 1913, elogi – non solo di circostanza – del miglior nemico dello scrittore, il socialista George Bernard Shaw, e schiette riserve da parte dell’amico di sempre, Hilaire Belloc, per il quale tutto quel conversare dei personaggi a proposito di fede e ragione aveva molto a che vedere con le intime convinzione dell’autore e poco con le esigenze degli spettatori. Per stabilire chi fosse nel giusto si può recuperare un’antologia chestertoniana del 2000, Svelare il mistero (Gribaudi), nella quale Saverio Simonelli riproponeva la sua versione di Magic adoperata nel 1995 da Mario Scaccia per la messa in scena al festival del Teatro popolare di San Miniato.Ma c’è un altro copione di Chesterton, non meno rivelatore, del quale finora il pubblico non specialista sapeva poco o nulla. Si intitola proprio La sorpresa e rappresenta il pezzo forte di un volume che comprende anche una vasta scelta degli articoli firmati dallo scrittore in oltre trent’anni di collaborazione all’“Illustrated London News” (La sorpresa e altri piccoli doni, traduzioni di Annalisa Teggi, Caterina Colombo, e Giacomo Berchi, prefazione di Marco Sermarini, pagine 224, euro 17: il libro è pubblicato dall’Editrice Guerrino Leardini d’intesa con il Centro Missionario Francescano e la Società Chestertoniana Italiana, per informazioni e ordini laperlapreziosa@libero.it). A differenza di Magic, durante la vita di Chesterton La sorpresa non arrivò mai sul palcoscenico, ma di recente è stata oggetto di una significativa riscoperta in ambito anglosassone (c’è perfino un dvd, in vendita sul sito ewtn.com). Scritto di getto nel 1932, il copione non fu in seguito rivisto da Chesterton, che pure con La sorpresa si era posto l’obiettivo, decisamente ambizioso, di «superare Pirandello». Il riferimento è al capolavoro Sei personaggi in cerca d’autore, che porta la data del 1921 e dunque precede di un anno la definitiva conversione dello scrittore inglese al cattolicesimo.Pirandello, nel momento in cui Chesterton si prefigge di sfidarlo, è uno dei drammaturghi più apprezzati a livello internazionale, all’apice di una fama che nel 1934 verrà coronata dal premio Nobel per la Letteratura. Non per questo, però, l’ineffabile Gkc si lascia intimidire. A non soddisfarlo, nei Sei personaggi, è l’assenza dell’autore, sulle cui tracce si mettono invano Madama Pace, la Figliastra e le altre anime in pena del dramma pirandelliano. Un senso di smarrimento esistenziale non estraneo alla temperie d’inizio secolo, come dimostra per esempio il romanzo Nebbia, nel quale, all’altezza del 1914, il filosofo Miguel de Unamuno ipotizzava che il protagonista bussasse alla porta dello scrittore per presentare un’analoga rimostranza. La replica di Chesterton si ispira verosimilmente a un altro sommo spagnolo, Calderón de la Barca, che nel Gran Teatro del Mondo  (1649) proponeva una prospettiva del tutto capovolta: l’iniziativa, in questo caso, viene dall’Autore, che è immagine del Dio creatore, mentre ai personaggi è affidato il compito di amministrare con intelligenza il dono inestimabile del libero arbitrio.Sono le stesse coordinate della Sorpresa, all’interno delle quali Chesterton si muove con assoluta disinvoltura, dando il meglio del suo estro e della sua inventiva. E anticipando, in questo modo, una soluzione drammaturgica che non di rado abbiamo ritrovato nel repertorio dei nostri anni, quella cioè per cui la stessa scena o vicenda viene rappresentata per due volte, con variazioni magari minime, ma che conducono a esiti del tutto differenti. La sorpresa è ambientata in un favolistico crinale tra Medioevo e Rinascimento, in una terra che ha qualcosa della Spagna e qualcos’altro dell’Italia. Su questo sfondo avviene l’incontro tra Francesco di Andorra, frate francescano dalle capacità miracolose («Nessun uomo ha mai fatto miracoli – si difende lui –. Gli atei su questo hanno spesso ragione. È Dio che fa i miracoli»), e un Autore che ama definirsi «il Burattinaio del Mondo». La sua specialità consiste nella costruzione di automi in tutto simili agli esseri umani, ai quali viene affidato il compito di recitare un atto unico che è un ininterrotto inno alla virtù. Servendosi dell’aiuto del poeta Oliviero Olivarez, la bella principessa Cristina di Garfagnana adotta uno stratagemma che rende possibili le nozze tra una dama sua amica, l’integerrima Maria di Compostela, e il prode Febo di Fontarabia. I due si amano da tempo, ma gli accordi tra i casati di Garfagnana e Fontarabia comportano un accordo matrimoniale che la stessa Cristina decide di violare in nome della “teologia della sorpresa” di cui il visionario Oliverio si fa portatore: quello bevuto a Cana, spiega, fu il miglior vino del mondo perché era «il vino della sorpresa». Di questo l’uomo ha bisogno, non di «sufficienza o sicurezza». Tutto giusto, nobile ed edificante. Ma l’Autore non si accontenta e chiede al buon frate di infondere nei suoi burattini la forza della libertà. Francesco lo accontenta e così gli automi si trasformano nelle «creature più imponenti e terribili che la vita abbia mai tirato fuori dal caos»: uomini e donne che, pur conoscendo il bene, per qualche oscuro motivo preferiscono compiere il male. Nulla è perduto, però, perché Chesterton non è Pirandello e il suo Autore è sempre pronto a intervenire. Non tanto per ristabilire l’ordine, quanto per dare compiutezza all’assioma su cui la commedia e il cristianesimo stesso si fondano: «Davvero non esiste felicità senza sorpresa».
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