sabato 30 dicembre 2017
Fondata da padre Gemelli nel 1921, ha affrontato le prove della modernità, la riforma conciliare, il Sessantotto e in quest'epoca deve far fronte alla globalizzazione. Un volume di Nicola Raponi
L'ingresso dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

L'ingresso dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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Università Cattolica, settembre 1968. L’ateneo fondato da padre Gemelli è ancora scosso dagli avvenimenti dei mesi precedenti: contestazione, occupazioni, ritiro del rettore Ezio Franceschini. Il successore, Giuseppe Lazzati, convoca a Villa Cagnola di Gazzada un’ampia rappresentanza delle diverse componenti accademiche per elaborare un nuovo statuto dell’ateneo. Si discute dell’identità dell’Università Cattolica. Precedentemente, a ridosso della chiusura del Concilio, il rettore Franceschini ha dichiarato che se l’ateneo di padre Gemelli si era mosso nell’orizzonte di una Chiesa segnata dall’ecclesiologia del Vaticano I, dopo il Vaticano II l’Università cattolica doveva sintonizzarsi con la nuova stagione della Chiesa aperta da Giovanni XXIII e continuata da Paolo VI. Nel successivo anno accademico, lo stesso Franceschini ha respinto un’interpretazione radicale di tale rinnovamento, avanzata dal canonico Jacques Leclercq, secondo il quale le università cattoliche, nate in un contesto di contrapposizione alla cultura laica ottocentesca, hanno esaurito la loro funzione. In quest’ottica, avendo la Chiesa assunto nel tempo post-conciliare ben altro atteggiamento verso il mondo, i cattolici avrebbero dovuto inserirsi, come lievito nella massa, nelle università di tutti. Lo scoppio della contestazione studentesca riapre il dibattito sull’identità della Cattolica. Nelle discussioni di Villa Cagnola, prende posizione anche don Mario Giavazzi, assistente spirituale del collegio Augustinanum, che, pur senza assumere le tesi più radicali di Leclercq, traccia un’analisi severa della situazione in Cattolica e rilancia con forza la prospettiva di una università profondamente impegnati nel dialogo culturale tra la Chiesa e il mondo. Ma i vescovi italiani non accolgono le sue proposte.

È uno degli episodi della storia dell’Università Cattolica ricostruiti nel voluminoso libro Nicola Raponi, Per una storia dell’Università Cattolica. Origini, momenti, figure (Morcelliana, pagine 780, euro 48), curato da Luciano Pazzaglia. Raponi ha scritto molti contribuiti pregevoli sulla storia di questa università, ma purtroppo non è giunto a comporre un’opera di sintesi, pur avendo raccolto un vastissimo materiale. Curando con pazienza e intelligenza la pubblicazione unitaria di tali contributi, Luciano Pazzaglia ha riempito questo vuoto con un volume che ricostruisce molte delle vicende più importanti di questa storia, collegandole con un robusto filo interpretativo. Le radici più profonde di tale interpretazione si collocano proprio nelle vicende del 1968. Raponi – che in Cattolica aveva studiato e che qui insegnava come professore incaricato – non fu infatti indifferente al dibattito del tempo. Dalla sua simpatia per le posizioni di don Giavazzi si intuiscono i motivi biografici che hanno poi ispirato le scelte dello storico. Anche Raponi non condivideva la proposta di un radicale “scioglimento” delle università cattoliche, ma avrebbe voluto per queste un percorso meno irrigidito in una logica puramente istituzionale, più impegnato sulla frontiera del rapporto tra Chiesa e cultura moderna, più in sintonia con il rinnovamento conciliare. E un nesso profondo collega alla discussione di allora il suo interesse per una “preistoria” dell’Università cattolica attraversata anche da tendenze cattolico liberali; per una biografia spirituale e culturale di un Gemelli non riconducibile a un integrismo antiscientifico; per una storia fortemente pluralista delle “scuole” accademiche che si sono sviluppate all’interno dell’Ateneo e così via.

La figura di padre Gemelli che ne emerge può apparire per certi versi sorprendente. Molti non si ritroveranno in questo fondatore dell’Università Cattolica non superficialmente toccato dal modernismo ma al contrario seriamente interrogato dalla tempesta culturale che ha investito la Chiesa cattolica all’inizio del Novecento. Altri non condivideranno un’immagine dell’ateneo diversa da quella di nave l’ammiraglia dell’intransigentismo cattolico contro la cultura laica. Ma lo scrupolo filologico di Nicola Raponi e il suo rigore storico rendono difficile confutare le sue ricostruzioni. Il fatto è che la figura di padre Gemelli è stata più complessa di quello che si crede e la storia dell’Ateneo da lui fondato più variegata di quel che si pensa. È stata infatti la storia di una comunità, in cui si sono intrecciate tanti itinerari diversi. L’importanza di padre Gemelli è fuori discussione, come lo sono pure i tratti autoritari e accentratori della sua personalità. Ma se anch’egli non fosse stato, al fondo, più “plurale” di quel che sembrava non avrebbe potuto né gestire una difficile fondazione né guidare il suo amato Ateneo per tanti anni. Per Raponi, Gemelli è stato contemporaneamente naturaliter fascista e non totalmente estraneo all’impegno resistenziale di alcuni suoi professori, lodatore entusiasta della Conciliazione ma anche sostenitore dell’impegno cattolico nella democrazia post-bellica. Al di là del rapporto con la politica, peraltro già abbondantemente discusso, Raponi illumina in modo nuovo e con grande finezza il campo in cui Gemelli ha dato indubbiamente il meglio di sé: il progetto culturale, spirituale e formativo da lui perseguito fondando e costruendo l’Università Cattolica. Interesse rilevante presentano anche i saggi sulla storia della Cattolica dopo la morte del fondatore. Come ha superato tante sfide nuove senza Gemelli? Raponi ha scritto pagine acute su Franceschini e Lazzati, mentre minor attenzione è stata da lui dedicata a Francesco Vito, il cui rettorato gli è sembrato coincidere con una poco felice stagione di “espansione” dell’ateneo. La questione dell’identità della Cattolica, che attraversa tutti i saggi raccolti in questo volume, è aperta ancora oggi. L’ha rilanciata recentemente monsignor Mario Delpini, nell’apertura del nuovo anno accademico. L’arcivescovo di Milano ha ricordato che l’aggettivo “cattolica”, dopo un tempo in cui è stato tautologico – perché già implicito nel termine università – e dopo un altro in cui ha rappresentato un ossimoro – perché considerato inconciliabile con una libera attività di ricerca scientifica –, indica oggi una vocazione: il compito, in altre parole, che questa università è chiamata a svolgere. Delpini ha declinato tale vocazione, oltre che in ordine alla formazione degli studenti e alla promozione della persona umana, anche in rapporto al servizio della Chiesa italiana, cui questo ateneo è tenuto in modo speciale. Vengono in mente le parole di Franceschini subito dopo la chiusura del Vaticano II, quando disse che la Cattolica doveva servire la Chiesa di Giovanni XXIII e di Paolo VI. A quasi cento anni dalla sua costituzione è difficile negare che l’università fondata da padre Gemelli sia anzitutto chiamata a svolgere le funzioni proprie di un’istituzione accademica. Ma molti segni indicano che, se non si interroga a fondo sulla sua vocazione “cattolica” in un tempo fortemente segnato dalla figura di papa Francesco, ne soffrono anche queste funzioni.

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