Le carovane teatrali di Massimo Luconi per aiutare l’Africa

L’esperienza del direttore artistico del festival di Radicondoli Massimo Luconi in Senegal: «Con il teatro si dà lavoro e vera coscienza»
July 11, 2025
Le carovane teatrali di Massimo Luconi per aiutare l’Africa
Festival di Radicondoli | Il progetto “Carovana Senegal” di Massimo Luconi
Il silenzio, sin dai tempi biblici, è sempre esaltato per la sua saggezza e sobrietà. Oggi sarebbe più che mai auspicabile vista la dilagante, stolta, volgare, aggressiva e compulsiva logorrea verbale e iconica. Farlo assurgere a protagonista del titolo di una rassegna teatrale è scelta coraggiosa e ambiziosa. “Il tempo del silenzio”, espressione che evoca l’invito dell’Ecclesiaste (“Un tempo per parlare e uno per tacere”), è, infatti, il tema della XXXIX edizione dello storico Festival di Radicondoli che si apre oggi e si sviluppa fino al 31 luglio. Il programma è come da tradizione ricchissimo e poliedrico: debutti, anteprime nazionali, work in progress, drammaturgia contemporanea anche under 35, mostre, installazioni site-specific e sonore, appuntamenti musicali e concerti. Tra gli ospiti il 19 luglio Paola Pitagora con Il paradiso di Accattone, dagli appunti di Pasolini, il 23 luglio Laura Marinoni in Il silenzio è cosa viva di Chandra Livia Candiani e poi Le Belle bandiere, Mario Perrotta, Ulderico Pesce, Arianna Scommegna, Alessandro Benvenuti, Viola Graziosi. Ma a spiccare è sempre la peculiarità del festival che mette in primo piano l’attenzione ai temi di attualità con la sezione “Finestre sul mondo” affrontando di petto questioni ineludibili come l’immigrazione, il confronto con la diversità, la Palestina, la violenza sulle donne. Ulteriore testimonianza concreta di questa sensibilità è l’audace e originale iniziativa “Carovana Senegal”, un progetto curato in prima persona proprio da Massimo Luconi, da 13 anni direttore artistico del festival, che vede la creazione di compagnie professionali di teatro in Senegal, con spettacoli didattici e possibilità di lavoro, per combattere l’emigrazione selvaggia, in particolare dei minori. È lo stesso regista e autore teatrale e televisivo a svelarci l’urgenza e la sostanza di questa impresa: «Da 30 anni frequento il Senegal e negli ultimi 15 ho iniziato un percorso di formazione per giovani a Saint-Louis al confine con la Mauritania, un posto molto bello ma che negli ultimi anni è stato anche il luogo delle partenze per viaggi spesso senza ritorno sia via mare con piroghe che vanno alle Canarie e sia attraverso il deserto passando per il Mali, l’Algeria fino alla Libia mettendo in atto un vero commercio di uomini e persino di ragazzini di 13, 14 anni che si perdono nel nulla, vengono venduti come schiavi, violentati o muoiono abbandonati nel deserto. Una tragedia che mi ha sconvolto perché molti parenti o amici dei giovani attori senegalesi che avevo formato nei miei corsi erano coinvolti in questi viaggi senza speranza. E allora l’idea è stata di creare delle carovane teatrali che con dei furgoncini raggiungessero i villaggi al confine per dare una testimonianza sul tema dell’emigrazione con operazioni drammaturgiche originali scritte dagli stessi ragazzi in wolof, la lingua locale, sotto mia supervisione, sensibilizzando quindi sul pericolo di questa deriva sociale che coinvolge un giovane senegalese su tre».
Quanta adesione c’è a questa iniziativa e quanta possibilità che effettivamente renda consapevole chi assiste a queste carovane teatrali?
«In occasione delle performance già realizzate in passato l’adesione è stata massiccia perché in Senegal è ancora molto forte la tradizione orale, c’è ancora il “griot”, il nostro “cantastorie” che va nei villaggi, c’è una cultura radicata della partecipazione all’evento teatrale, molto più che a quella cinematografica. E pensare che la divulgazione degli appuntamenti avviene in modo molto elementare, non ci sono locandine, si passa ancora con l’altoparlante o con l’ausilio di percussioni per annunciare lo spettacolo. Eppure ho vissuto serate indimenticabili con una platea di persone sconfinata assiepata sul fiume Senegal ad assistere a una Antigone in rigoroso e sacro silenzio. Infine c’è da considerare che l’adulto ha ancora molta presa sui ragazzi che nutrono profondo rispetto per chi è più grande, specie se si tratta di persone che hanno avuto esperienza in Europa come nel caso di alcuni miei giovani attori».
Ci saranno benefici economici come conseguenza di queste carovane teatrali?
«Offriamo formazione e lavoro a circa 40 giovani. Ogni partecipante al progetto, oltre ad acquisire conoscenze e competenze importanti per una professione futura, avrà una retribuzione per i giorni di rappresentazione dello spettacolo. Considerando che dietro ogni giovane c’è una famiglia, la grande famiglia africana spesso composta da oltre venti persone, pensiamo che il significativo contributo economico dei ricavi della tournée potrà interessare oltre 600 persone».
È quindi convinto che gli investimenti culturali possano incidere concretamente su problematiche così complesse?
«Convintissimo. Certo si parla di piccoli numeri ma già salvare qualcuno dal naufragio o dalla morte nel deserto non ha prezzo. Questi ragazzi che da una quindicina d’anni gravitano attorno a me e alle esperienze artistiche hanno trovato un punto di riferimento nel teatro, riescono a lavorare, qualcuno ha avuto borse di studio, fatto laboratori in Europa. Comunque in Senegal c’è sempre stata una grande sensibilità culturale e anche oggi i giovani, nonostante non siano esenti dal fascino spesso alienante della tecnologia, sono ancora molto legati alla tradizione dei padri, sono molto religiosi che siano cattolici o della corrente mistica sufi islamica».
Il festival oltre al titolo, “Il tempo del silenzio”, ha un sottotitolo: “memoria, dolore, speranza”, istanze che richiedono parole sensate. Come si conciliano con l’esigenza di un sano e fecondo silenzio?
«Il tempo del silenzio non va inteso come assenza di parola ma come momento necessario di riflessione e attenzione alla parola, alla nostra interiorità per togliersi dal grande sterile brusio. Io sposo appieno il pensiero di Pasolini che ne Il sogno del centauro auspicava un teatro della parola, con pochi gesti, poco istrionismo contro il teatro della chiacchiera e dell’urlo».

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