mercoledì 18 ottobre 2023
Parla il regista francese del sorprendente "Sacerdoce", in uscita oggi nei cinema transalpini. Un vero e proprio caso mediatico
Damien Boyer

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Sceneggiatore, regista e produttore di Sacerdoce, film sorprendente e toccante, che si spera di poter vedere presto anche in Italia, è Damien Boyer, classe 1982, originario di Orange.

Da dove nasce l’idea di un film così anomalo?

In passato mi sono occupato di tribù, in Africa, Amazzonia, Haiti. Mi piace raccontare la vita delle comunità e dei loro tabù, cose che la gente qui non comprende o fatica ad accettare. Un giorno un amico mi ha detto: «Dovresti fare un film anche sui sacerdoti». Ho risposto che mi sembravano troppo poco lontani, cioè un tema poco esotico. «Ti sbagli, sono vicini fisicamente, ma in realtà non li conosci, non conosci il mistero che portano nelle loro vite». Ho colto la provocazione, ne ho avvicinato alcuni, li ho osservati meglio, ho passato del tempo con loro e ho capito che c’era qualcosa di folle che meritava di essere raccontato.

Lei è cattolico?

No, sono evangelico, anche per questo il sacerdote cattolico non è mai stato per me un modello di rapporto con Dio. Ho deciso di mettere da parte i miei pregiudizi e di capire dal di dentro questo mondo.

Chi ha scelto i cinque preti protagonisti?

Io. Prima ho cercato un po’ su internet, poi ho buttato lì una domanda: «Qualcuno conosce dei sacerdoti interessanti, da segnalarmi?». Mi sono arrivate qualcosa come 400 risposte. Sono rimasto del tutto spiazzato. Ma non siamo in Francia, un Paese dove non crede più nessuno?

Quindi ha fatto una cernita: come?

Ho cercato delle figure che mi sembrassero autentiche e che fossero disponibili a raccontarsi fino in fondo. Come in confessionale, solo che stavolta loro sarebbe stati dall’altra parte rispetto a dove generalmente stanno. Sono stato con loro, li ho seguiti, ho cercato di instaurare un rapporto vero, di fiducia, il che è durato circa due anni.

Non poco. Ma la lavorazione del film quanto è durata in tutto?

Tre anni.

Sceneggiatura, regia... ha fatto tutto da solo?

Quelle due cose sì, il resto con il team di 10 persone della mia casa di produzione, Orawa, che si è specializzata in film e documentari che riguardano la fede e la spiritualità, in senso ampio, non confessionale, coniugate con l’amore per la natura e le storie avventurose.

Cosa ha imparato dei sacerdoti dopo questa esperienza?

Mi sento ora molto più vicino a loro di quanto pensassi all’inizio, anche riguardo alla scelta del celibato. Il celibato è molto difficile da capire per una persona comune, ma dopo aver parlato e vissuto con questi preti è una scelta che comprendo meglio. È certamente impegnativa, può generare sofferenza, però quante sofferenze vivono anche le persone sposate. E i sacerdoti hanno una paternità spirituale, hanno figli e figlie. In realtà il celibato non mi è sembrato un problema non così grande come viene spesso descritto. Ho trovato più problematico un altro aspetto: i sacerdoti sono persone che donano la loro vita agli altri per portarli a Dio. Ma in un Paese come la Francia capita facilmente di incontrare indifferenza. Uno offre la sua vita agli altri, ma gli altri dicono: grazie, non mi interessa. Questo è ciò che può fare più male.

Cosa si aspetta ora?

Spero che molti siano incuriositi e vadano a vedere il film e che questo li faccia riflettere, superando magari certi pregiudizi come è successo a me.

Damien Boyer

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