mercoledì 28 febbraio 2024
Dopo cinque anni dall’ultimo album, il 60enne cantautore milanese torna con un disco di inediti, “L’inizio”, e un tour che prevede dieci date al Vittoriale. Così racconta la sua vita e la sua carriera
Il cantautore milanese Biagio Antonacci, 60 anni

Il cantautore milanese Biagio Antonacci, 60 anni - Paola Cardinale

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Ben 10 concerti all'Anfiteatro del Vittoriale a Gardone Riviera (BS), dal 17 al 29 settembre. Biagio Antonacci è riuscito a ottenere quello che non era riuscito a nessun altro artista pop italiano: suonare al Vittoriale degli Italiani, la casa-museo voluta da Gabriele D'Annunzio, per 10 date consecutive. Inoltre si aggiungono altri live tra giugno e luglio in location meravigliose del nostro Paese. Il “Live 2024 – Funziona solo se stiamo insieme”, tanto per citare qualche località, sarà allo Sferisterio di Macerata (9 e 10 giugno), alle Terme di Caracalla a Roma (13 e 14 giugno) e all’Anfiteatro degli Scavi di Pompei (18 e 19 luglio). Sarà l’occasione per ascoltare non solo i grandi successi dell’artista milanese, ma anche i nuovi intensi brani del nuovo album di inediti, L’inizio, il primo dopo 5 anni, appena pubblicato su etichetta Iris e distribuito da Epic Records/Sony Music Italy.

In mezzo c’è stato di tutto, la pandemia, i 60 anni compiuti lo scorso novembre, la vita nella campagna di Bertinoro dove produce olio, e un bebè arrivato come un regalo, Carlo che oggi ha due anni, che va ad aggiungersi agli altri due figli oggi trentenni. Quindici brani scritti, musica e testi con lo stile inconfondibile di Antonacci, che raccontano la paternità, le nuove consapevolezze, l’amore, la forza delle donne e addirittura l’eroina dei due mondi Anita Garibaldi. Avvalendosi di collaboratori ormai storici come Michele Canova e Placido Salamone e nuovi come Simonetta e Zef, ma anche il figlio Paolo autore delle maggiori hit degli ultimi tempi (a Sanremo 2024 firmava ben 4 brani).

Biagio Antonacci al Vittoriale: una conquista?

Il Vittoriale degli Italiani era un luogo dove andavo spesso, fin da bambino, con i miei genitori. Crescendo, quando ho iniziato a fare musica, ho pensato spesso alla possibilità di poter suonare in un luogo così importante per il nostro paese, un luogo storico e al contempo importante per la cultura italiana

In che momento arrivano questa avventura e questo nuovo disco?

Arrivano in un punto bello della mia vita, 60 anni sono un’età bella. Sono un inizio. Quando avevo 30 anni pensavo finirà tutto domani, invece siamo qui. Non pretendo di averne ancora 30 però quelli che vivrò saranno vissuti bene con coerenza, con più precisione con molta meno paura, molto meno pensiero sul passato, per affrontare il futuro senza ansie.

Lei apre il disco con il brano L’inizio di Giorgio Poi dedicato a suo figlio Carlo.

Sono stato padre in epoche diverse e oggi, che ho acquisito maggiore consapevolezza, vivo maggiormente nel presente. Il cambiamento per me rappresenta nuova energia, vitalità, nuovi orizzonti da raggiungere ed invece troppo spesso viene associato alla mancanza di coerenza perché siamo legati agli stereotipi, alle abitudini. Nella società di oggi il cambiamento diventa un atto di coraggio, perché mette a disagio.

C’è anche suo figlio Paolo Antonacci in questo disco come suo collaboratore in ben tre brani. Ha ereditato da lei il talento?

Io ho lavorato con Pino Daniele e lui prima faceva suonare la frase e poi dava un significato. Paolo mi ricorda Pino, ho visto un talento impressionante: da un’immagine crea prima la musica e poi costruisce il contenuto di una canzone. Per me è un extraterrestre.

C’è molta famiglia in questo disco. Non a caso chiude l’album con Evoco dedicata a suo padre Paolo dove si parla di speranza, di angeli che ti danno pace e di Provvidenza. Che significa?

Parlo di “Provvidenza tra i rottami”, perché nei rottami anche umani c’è sempre qualcuno che si aiuta. Le persone che si aiutano sono le fasce sociali più in crisi sia economicamente sia moralmente. Sento che c’è una essenza, una presenza più alta di te, forse il nostro spirito è un angelo. Una volta ero più credente in una entità unica, ora guardo più all’universo. Ma l’anima per me è eterna, la vita eterna esiste nell’anima della gente. Quando è morto mio padre è finito il suo percorso, ma la sua anima è in me quando la evoco.

Quindi questo è il disco della maturità? O quello dell'immaturità. Quando sei libero puoi diventare immaturo ed essere bambino. I bambini sono gli esseri più liberi in assoluto. Ho una vita proiettata in quello che voglio veramente fare. A 60 anni devi fare qualcosa che abbia un senso. Ecco perché mi piace che sia un piccolo trattato filosofico sul tempo, sulla libertà, sul controllo, sul divertimento, sul cambiare strada.

Nell’album ci sono diversi brani legati al tema della libertà della donna che lei tratta con delicatezza. Quando una persona riprende la sua libertà e la consapevolezza non è più tua, quindi la perdi di controllo, e qui nasce la follia della gestione della vita degli altri. Nella maniera più perfida e terribile sono i femminicidi. La follia dell’ego in chi pretende di amare.

Per questo la dedica a una donna forte come Anita Garibaldi?

Oggi Anita è l'esempio della libertà della donna. Sa essere madre, amante, sa combattere, sa stare vicino al suo uomo. Una donna che è morta a 30 anni nelle paludi di Ravenna lasciando libero il suo uomo di andare. L'amore di cui canto è quello che ha il coraggio di lasciare andare.

Lei ha qualche rimpianto?

Uno dei più grandi è il non avere mai detto a mio padre «ti voglio bene». Di conseguenza ho un rapporto con i miei figli così, vorrei che non ci fossero parole non dette. Ultimamente mi sto aprendo, perché sto capendo che Biagio è capace di gestire la diffidenza.

Come è oggi il suo atteggiamento verso il mondo e l’attualità?

Soffro di più oggi. Apro Instagram e vedo una guerra “dal vivo”, bambini che vengono amputati “dal vivo”, una cosa di una violenza inaudita. E poi le tante altre guerre di cui non sappiamo nulla perché non hanno copertura mediatica. Il senso di impotenza davanti a questi crimini si impadronisce di noi. Ma siamo uomini, la verità è nei drammi.

E la musica di oggi come la vede lei che comunque viene da Rozzano nella periferia milanese? Non sarei un rapper. Sono più cantautore, romantico, chitarra e voce, alla Bob Dylan. Sarei un Calcutta, uno che usa le parole dicendo le cose in modo nudo e crudo, ma con un livello intellettuale elevato. Poi ci sono altri cantautori bravi e non vecchi come Gazzelle, Colapesce e Dimartino e Ultimo. Sui testi dobbiamo fare attenzione. Non è necessario usare testi aggressivi o violenti per dire la verità

La davano in gara al Festival. Ora si aprono i giochi dopo l’addio di Amadeus. Lei lo condurrebbe?

Amo Sanremo e ci ritornerò. Come conduttore, come big o come direttore artistico. Ecco, come direttore artistico lo farei anche domani.

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