martedì 8 agosto 2017
Assente dal Festival da quarant’anni l’opera di Verdi diventa attuale anche grazie all’artista iraniana. Muti offre una lettura di portata storica, Anna Netrebko eccelsa al debutto nel ruolo
Una scena di "Aida" di Giuseppe Verdi con la regia di Shirin Neshat e direzione di Riccardo Muti

Una scena di "Aida" di Giuseppe Verdi con la regia di Shirin Neshat e direzione di Riccardo Muti

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Poteva (un po’ lo è stato) essere solo un evento mondano. Lo spettacolo musicale più atteso dell’anno con Anna Netrebko che debutta in Aida e Riccardo Muti che torna quasi dopo quarant’anni a dirigere il melodramma verdiano. Invece quello che ti resta dentro è l’altra faccia del Trionfo. Perché sulle danze che dovrebbero celebrare una vittoria, il grande parallelepipedo con le tribune stipate per la parata ruota su se stesso e scopre un gruppo di prigionieri, gli occhi fissi sul pubblico come a interrogarlo. Trofei di una guerra che è sì quella che Radames ha vinto contro gli etiopi, ma che nel cortocircuito tra ieri e oggi, tra realtà e finzione che è l’opera lirica potrebbe essere una qualsiasi delle storie che le cronache ci raccontano. Così in quegli occhi, mai una lacrima, vedi quelli di tanti uomini e donne che oggi scappano dalle loro guerre.

Un attimo e Aida – andata in scena la prima volta nel 1871 – diventa contemporanea. Succede al Festival di Salisburgo. Dove l’opera di Giuseppe Verdi mancava (erano i tempi di Karajan) dal 1980. L’ha riportata, domenica, Riccardo Muti. Sul leggio la partitura della sua prima Aida, anno 1971. «Tornarci oggi, dopo i tanti Don Carlo, Otello, Falstaff è come dirigere un’altra opera» sorride il maestro che a un mese dal recente viaggio musicale in Iran ha accanto l’artista visiva e regista cinematografica Shirin Neshat. Un racconto per immagini quello dell’artista iraniana, dove due blocchi di cemento armato e mattoni bianchi, unico elemento di scena (disegnata da Christian Schmidt) che si scompone e ricompone, prendono il posto di piramidi e sfingi. Immagini forti come quella del bambino che Amonasro mette al centro della scena mentre i sacerdoti di Iside (un po’ pope ortodossi e un po’ imam musulmani nei costumi, a evocare un Medioriente stilizzato, di Tatyana vav Walsum) chiedono lo sterminio dei prigionieri.


Dieci minuti di applausi (in platea la cancelliera tedesca Angela Merkel e Placido Domingo), ovazioni per tutti, solo qualche isolato dissenso per la regista che Muti ha stretto affettuosamente a sé, per l’evento musicale dell’anno. Biglietti subito esauriti, con un posto di platea (prezzo al botteghino 450 euro con il festival che dagli incassi ha destinato 50 mila euro per l’educazione musicale dei bambini siriani rifugiati accolti dal Middle east children’s institute) arrivato a costare sino a 3.500 euro. Follie per il debutto nel ruolo di Aida di Anna Netrebko. Che però non ha fatto la diva. Lei e tutto il cast uniche e necessarie tessere di un mosaico musicale disegnato da Muti.


Ne esce un’Aida intima. Dove a venire in primo piano sono gli uomini più che gli eroi. «Ma io ho fatto solo quello che ha scritto Verdi» avverte dietro le quinte Muti. Un’Aida che segna la storia. Perché dopo aver ascoltato i pianissimo, gli accenti, le intenzioni che il direttore chiede ai Wiener Philarmoniker in buca e agli interpreti sul palco sarà difficile tornare alle Aida vecchio stile con acuti lanciati verso il pubblico e trombe suonate a tutto volume. Qui il canto dei sacerdoti che invocano la protezione di Vulcano su Radames è un sussurro, preghiera (e dentro ci senti il gregoriano) che viene dall’anima. Il confronto drammatico tra Aida e Amonasro non è un braccio di ferro per il potere, ma la richiesta di aiuto di un padre a una figlia. L’anatema sui sacerdoti di Amneris non è rabbia urlata, ma grido di dolore di una donna sola e senza amore, nonostante potere e ricchezze. Aida mai ascoltata così teatrale. La Netrebko è Aida già sin dal suo primo confronto con il personaggio. Musicalissima e con acuti luminosi. Così come Francesco Meli che esce vincente nel ruolo di Radames. Luca Salsi mette la sua voce e la sua tecnica impeccabile al servizio di Amonasro, che il baritono disegna più uomo/ padre che re. Misuratissima e dolente l’Amneris di Ekaterina Semenchuk. Personaggi palpitanti. Perché “teatro”, dice questa Aida, è raccontare in musica storie di uomini. Storie di ieri che ci dicono chi siamo oggi.

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