mercoledì 27 settembre 2023
Il cantautore e scrittore con il podcast “La scomparsa di Giacomo” rievoca la tragica fine del 29enne bellunese Sartori: «La sua morte è il simbolo del disagio giovanile nelle nostre città»
Il 49enne cantautore e scrittore Niccolò Agliardi

Il 49enne cantautore e scrittore Niccolò Agliardi - Pietro Baroni

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Giacomo siamo noi. Grazie a Niccolò Agliardi che ci racconta la sua vita e il suo epilogo, rendendocelo ancor più fratello. Con le prime due di otto puntate, è da ieri su tutte le piattaforme audio (Spotify, Amazon Music, Apple, ecc.) A domani – La scomparsa di Giacomo, podcast (prodotto da Vois) del cantautore e scrittore milanese che, a distanza di due anni, svela le pieghe più sottili e imperscrutabili dell’amara vicenda di Giacomo Sartori, un 29enne informatico bellunese improvvisamente sparito nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2021.

Quella sera Giacomo aveva raggiunto gli amici per uno spritz a Porta Venezia direttamente dall’ufficio. Era trafelato, il traffico, il parcheggio, l’ennesima settimana di lavoro che si chiudeva. Sta conversando, quando il suo zainetto appoggiato allo sgabello sparisce. Aveva dentro tutto, dai documenti al computer aziendale che già un’altra volta gli era stato rubato. Sconsolato e turbato, saluta il gruppo e lascia anzitempo il locale. Inizia a vagare, senza una precisa meta guidato unicamente da un infinito sconforto. La sua auto viene trovata pochi giorni dopo nella campagna pavese. Lui poco distante, senza vita.

«Sono inciampato e mi sono immedesimato nella storia di Giacomo per una serie di coincidenze – ci spiega Agliardi, nomination agli Oscar e vittoria nel 2021 insieme a Laura Pausini e Diane Warren del Golden Globe e del Nastro d’Argento per il brano Io sì (Seen) -, verso le quali non mi è stato più possibile restare indifferente. La prima è che anche a me è stato rubato lo zainetto pochi mesi dopo aver saputo come tutti, dalle tv e dai giornali, della storia di Giacomo. Un furto che mi ha precipitato in uno straniante senso di vuoto e di smarrimento. Mi sentivo senza identità, non soltanto digitale e anagrafica».

E’ accurato, profondo e delicatissimo il lavoro di indagine e ricostruzione svolto da Agliardi nelle otto puntate (dalla prossima, la terza, in uscita a cadenza settimanale) in cui alla sua voce narrante si alternano quelle di familiari (a partire dal fratello Tommaso, medico anestesista e rianimatore, di tre anni più giovane di Giacomo), amici, giorna-listi, magistrati... Così nell’era delle docu-fiction televisive che ricostruiscono fatti di cronaca e presunti misteri con false immagini girate ad hoc, ecco qui l’immaginativo valore aggiunto di una narrazione che trova nell’empatica eloquenza delle voci una propria autentica cifra aggiuntiva.

Ma perché Agliardi si è tuffato in questa coraggiosa, delicatissima e rischiosa “operazione”? «Un anno fa stavo scrivendo un romanzo sul concetto della resa – racconta l’autore della colonna sonora di Braccialetti rossi, serie tv di successo di Rai1 partita nel 2014, e che in qualità di romanziere debuttò nel 2008 con Ma la vita è un’altra cosa -. Concetto nel quale percepisco un grande valore, l’accettazione che fa spazio ad altro. Ma quel libro l’ho abbandonato e ho invece fatto spazio a Giacomo e al suo dramma interiore che lo ha portato una notte ad arrendersi di fronte alla vita e a circostanze avverse che in quel determinato momento lo hanno totalmente sopraffatto. Ma Giacomo è come ognuno di noi quando, in un particolare beffardo frangente, crediamo di non poggiare più su uno stabile terreno e tutto sembra irrimediabilmente franare».

Il mistero della morte di Giacomo, del perché del suo fatale gesto, non era dunque in quello zaino. Non era nel computer che vi stava dentro. Non c’è nessun mistero nella sua vicenda, così come in quella di molte altre persone che, a un certo punto, si ritrovano quasi all’improvviso ingabbiate nei mortiferi meccanismi di città stritolanti, nei loro asfissianti ingranaggi omologanti. E così, una sera, tra gli amici, nel rituale aperitivo in centro, con quel secondo zainetto rubato è stata “tradita” una fiducia in sé, negli altri, negli affetti, nella vita, che già barcollava.

La meraviglia di quella esistenza di cui non percepiva forse più l’ossigeno delle sue colline bellunesi, la spensieratezza di scout, l’entità piena di una giovinezza trascolorante, la bellezza dei vent’anni... che ci fa venire alla gola il disperato milanesissimo dolore del Mario cantato da Jannacci che invocava di «lasciare fare alla vita la sua vecchia fatica, siamo feriti quanto basta». Ma Giacomo quella notte, arreso a se stesso, non si è messo «ad ascoltare l'eco che hanno messo nel finale».

«Il mistero è nella testa di Giacomo – spiega Agliardi - ed è nella testa di tanti che hanno un nemico, loro stessi». Tommaso sapeva della profondità e della infinita sensibilità di suo fratello, ma non si era accorto della sua vulnerabilità. Lo aveva comunque aiutato molto nella gestione di quelli che Giacomo percepiva come fallimenti. «E’ per questo che Tommaso, la prima persona della famiglia di Giacomo a consentirmi di affrontare questa vicenda e di divulgarla nella modalità di un podcast - svela Agliardi -, ha deciso di parlare di questo disagio, di questo male di vivere, attraverso la storia di suo fratello.

Un giovane intelligentissimo e troppo sensibile, in dissidio con la realtà e sofferente di un disturbo depressivo, che forse ha avuto una improvvisa e repentina implosione, chiamata in certi casi anche sindrome di burnout. Forse Giacomo non è riuscito ad assestarsi su un terreno più solido di quanto non fosse lui stesso. Io ho invece avuto questa fortuna e sono stato abbastanza addestrato alle frustrazioni. Ma non c’è colpa nella storia di Giacomo, e sta in questo la complessità di una vita. Della sua, della nostra».

Nel podcast, fin nella prima puntata, si sottolinea la dolcezza del carattere di Giacomo e la sua attitudine all’ascolto sincero e autentico degli altri, dei suoi amici. «Quella notte però a Giacomo si è scaricato l’orologio nel punto sbagliato. Siamo in una società in cui tutti tendono a mostrare il lato più performante di sé, una sorta di apparente perfezione. Invece dobbiamo rinunciare a questo grande inganno. Tanti di noi pensiamo quotidianamente di non farcela a stare al passo. Al passo di chi? di cosa?. Solo il nostro personale passo conta. Ma a volte non lo percepiamo più e precipitiamo».

Un apparente vuoto colmo invece d’amore, di cui traboccano le voci di A domani. Le voci di chi racconta Giacomo, le voci di chi resta . «Mi interrogavo su quale tipo di messaggio volevamo dare - dice suo fratello Tommaso -. La voglia di fare qualcosa di costruttivo per qualcuno».

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