martedì 3 ottobre 2017
A 50 anni si è spento un poeta tra i più amati. Visse gran parte della vita in una casa di legno nel Friuli terremotato. Aveva vinto il premio Montale
Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

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Ci sono articoli che non si vorrebbero mai scrivere e per quanto il mestiere imponga anche il luttuoso coccodrillo, questa volta chi scrive lo fa con il cuore in lacrime per la morte dell’amico poeta. Il giovane poeta, il migliore dell’ultima generazione, Pierluigi Cappello, ad appena cinquant’anni è volato via leggero, nel mondo dei più. Dovevamo aspettarcelo, questo battito d’ali precoce dall’autore di Assetto di volo: la raccolta di poesie edita da Crocetti e curata dall’infaticabile Anna De Simone. Era stata proprio Anna a metterci in contatto, prima telefonicamente e poi con un viaggio a domicilio, a Tricesimo (Udine). Appuntamento alla “casetta di legno” di via san Francesco. Quella casa fiabesca era in realtà il simbolo drammatico delle sue radici terremotate, Cappello era nato a Gemona del Friuli («ma la mia “Macondo” – ci teneva a ricordare – è il borgo di Chiusaforte», dove verrà sepolto), nove anni prima del terribile sisma che causò quasi mille morti. In quella casa, dono solidale del governo austriaco ai terremotati friulani, entrai con il “ritrattista” e suo amico fraterno, il fotografo Danilo De Marco, e il collega Luigi Marsiglia. Quella del poeta era la casa del sorriso. Perché Pierluigi sapeva sorridere, di una risata dolce e contagiosa, di tutto, anche della sua condizione di disabile. Un incidente in moto, a sedici anni, aveva cancellato in un istante i suoi sogni di gloria, «quelli del centometrista promettente».

Fino alla fine dei suoi giorni – avvenuta domenica a Casacco dove oggi si celebreranno i funerali – Pierluigi era stato “condannato” alla sedia a rotelle. Ma la sua corsa sarebbe continuata sulla pagina, rincorrendo nuvole e parole con la poesia (debutto nel 1994 con Le nebbie , Campanotto) – dialettale e in italiano – e con una prosa avvolgente che spaziava dall’articolo saggistico (bella la serie per “Il Sole 24 Ore”), fino al romanzo Questa libertà (Rizzoli). Un vero poeta che aveva scelto per compagna di vita e di scrittura la solitudine. Ma una «solitudine animata e mai rancorosa», l’ha giustamente definita Eraldo Affinati. Non era un uomo solo Cappello, ma un solitario come la sua « surlastre » (sorellastra), la poetessa Ida Vallerugo che finché le energie gliel’hanno permesso andava a trovare nel suo rifugio di Meduno. Un incontro tra anime pasoliniane, potentemente fragili. Tra loro aleggiava anche il folle e geniale Federico Tavan, il poeta di Andreis. «Guarda che devi conoscerlo a Federico...», mi disse Pierluigi con quei suoi occhi radiosi che invitavano a salire lassù, oltre la diga del Vajont, per toccare con mano quella poesia carnale che, tra una rissa e l’altra con i demoni della malattia mentale, Tavan partoriva con rabbiosa tenerezza. Cappello viveva con poco e ha continuato a sorridere anche quando «le pantegane mi hanno sfrattato dalla casa di legno», e perfino quando il male si è fatto dolore insostenibile. Ma amava i partigiani come il suo amico “Cid” e, seduti a una frasca a brindare all’amicizia davanti al fogolar, diceva: «In fondo, anche noi oggi stiamo facendo una qualche Resistenza». Amava il vino rosso dei colli furlani ma si abbeverava fissando le stelle del cielo sopra il suo Nordest. «Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno / l’ombra delle nuvole sul fondo della valle / sono i miei punti cardinali». Versi meritevoli di tutti i riconoscimenti possibili, capaci di scorticare l’anima pop di Jovanotti che firma la prefazione di Stato di quiete. Poesie 2010-2016 (Rizzoli).

Nel 2010 vinse il Viareggio ed è stato l’ultimo poeta insignito del premio Montale, «poi – sottolineava – non è stato più assegnato e io sono l’unico che per mancanza di fondi non ha ricevuto l’assegno». La ricchezza del poeta era tutta nell’arte dell’incontro. Pierluigi è stato un poeta tra la gente e per la gente. E oggi vorrei ricordarlo quando sprizzante di gioia allontanava la morte un po’ più in là per annunciare: «Ho appena terminato un lavoro su venti autori tradotti in friulano, da Shakespeare a Caproni». Il giorno del nostro matrimonio, con Erika l’avremmo voluto al tavolo, ma non poteva... Però Pierluigi c’era sempre e rimane, per sempre, con i suoi versi che ora come allora vanno in dono agli amici: «Tra il mio sguardo e il tuo / lo stupore del mio / caduto sulle ginocchia per vedere / come stanno le nuvole / e come le nuvole cambiano quando stiamo davvero».

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