martedì 2 dicembre 2014
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Ne era sicuro: «Via col vento sarà il più grande fiasco della storia. Per questo motivo sono contento che sia Clark Gable a metterci la faccia, e non io». L’abbaglio preso da Gary Cooper fu clamoroso. Soltanto per l’Oscar riuscì ad azzeccare il pronostico, visto che tra le otto statuette vinte dal kolossal non ci fu quella per il miglior attore protagonista (andò a Robert Donat per Goodbye, Mr. Chips).  Alla stellare edizione dei premi, il 29 febbraio 1940, Victor Fleming, che aveva assunto la regia dopo clamorose vicissitudini produttive, era a letto, ammalato. Vivien Leigh era giovanissima quando assunse il ruolo di Rossella O’Hara, che le fece vincere la statuetta, e giovane morì, nel 1967 a 53 anni, per tubercolosi. Via col vento rimane ancora oggi il film più aggressivamente pubblicizzato e ambizioso dell’intera storia di Hollywood. «Un film inattaccabile e ingiudicabile – precisa Bruno Fornara, storico del cinema – che sta al di là di ogni giudizio. Vive oltre l’olimpo dei film. Uno dei più visti della storia del cinema, che ha incassato somme enormi, in cui ci hanno messo le mani tanti registi ma in realtà frutto di un produttore testardo come David O. Selznick. Un’opera che si allarga in modo originale fino a coprire più generi, più motivi, più collocazioni: è un romance, un dramma, un affresco storico, un film di guerra. È il film della potenza hollywoodiana classica. In più esce nel 1939, che è una annata molto fertile per il cinema con un’incredibile lista di grandi opere dirette da grandi autori: Il mago di Oz sempre di Fleming, Ombre rosse e Alba di gloria di Ford, La voce nella tempesta di Wy-ler, Ninotchka di Lubitsch, Alba tragica di Carné, Mister Smith va aWashington di Capra, La regola del gioco di Renoir, Donne di Cukor e tanti altri». Il Festival di Torino ha reso omaggio a Via col vento nel 75° anniversario con la proiezione della sontuosa versione restaurata dopo che la Warner Bros. ha pubblicato un cofanetto di tre Dvd con otto ore di testimonianze inedite, commenti e un bel documentario. Il romanzo di Margaret Mitchell da cui il film è tratto non poteva che appassionare la platea americana. La critica si divise, ma nessuno negò la carica di magnetismo dello spettacolo e l’affascinante recitazione del cast che portò anche per la prima volta una attrice di colore, Hattie McDaniel, a ricevere l’Oscar per la sua indimenticabile Mami. Ma in un’America ancora affetta da razzismo furono gli studios a imporle il testo dei ringraziamenti e a metterla in una sala separata, con la famiglia, per la cena che chiudeva la serata nel corso della quale Olivia de Havilland (quasi centenaria, oggi vive a Parigi), la tenera Melania che si aspettava di vincere, ebbe una crisi di nervi. E mancò l’Oscar anche Leslie Howard, lo sfortunato, conteso e pacifista Ashley del film, nemmeno inserito nella cinquina.  Eppure tutti sono entrati nell’immaginario collettivo. «Per tre fattori – precisa Fornara –: la storia, la magnificenza della produzione e, appunto, il cast. Ma credo sia la storia ad avere colpito di più il pubblico. C’è, fondamentalmente, la storia d’amore dentro una guerra civile. Ci sono gli O’Hara, Rossella, Tara, i sudisti e i nordisti, l’industria del Nord e lo schiavismo del Sud, c’è l’avventuriero Rhett Butler, la guerra che devasta tutto e tutti, e dopo una serie di dichiarazioni di amore e odio, di perdite e ritrovamenti, il film termina con la memorabile invocazione di Rossella in lacrime, abbandonata da Rhett: “Tara! A casa! A casa mia! E troverò un modo per riconquistarlo.  Dopotutto, domani è un altro giorno”. Nella frase c’è la consapevolezza raggiunta che un mondo è definitivamente tramontato e che bisogna costruirne un altro». Non è forse un semplice caso che il conflitto mondiale fosse appena scoppiato. «La guerra – puntualizza Fornara – impone di abbandonare riti sociali e forme economiche consolidate e di lunga tradizione. Il mondo nuovo che comincia già domani è un mondo in cui Rossella spera di poter amare Rhett, di poter far risorgere Tara e di vivere in un’America pacificata. La storia, quella degli Stati Uniti, quella della Seconda guerra mondiale e poi degli anni Cinquanta, sarà sempre in attesa di un altro domani che sia un altro giorno. Anche per questo quella frase continuerà a essere amata e citata. Via col vento è il film che rimanda a una lunga attesa, giorno dopo giorno».
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