Suor Smerilli: «Nel futuro della IA l’umano fa la differenza»
di Enzo Romeo
Il segretario del Dicastero per lo sviluppo integrale riconosce in Leone XIV il primo "papa digitale"

Pubblichiamo una parte dell'intervista a suor Alessandra Smerilli contenuta nel libro di Enzo Romeo Il Papa delle “cose nuove”. Leone XIV e la rivoluzione digitale (Ancora, pagine 152; euro 16,50). Il volume, attraverso una serie di interviste, analizza come la sfida digitale chiami in causa la Chiesa e il pontefice.
Suor Alessandra Smerilli, lei è segretario del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale. Leone XIV è il primo papa abituato all’uso del sistema digitale. Questo lo aiuterà ad aggiornare il magistero sociale rispetto alle sfide attuali?
«In effetti, non è scontato fino ad oggi che un uomo di Chiesa, nato a metà del secolo scorso, si muova con la stessa scioltezza nell’ambiente e fra le tecnologie digitali. Questo faciliterà molto il Papa non solo nel lavoro quotidiano, ma nella interpretazione delle sfide di cui la nostra quotidianità è intrisa. D’altra parte, prima della sua elezione aveva già modo di esprimersi inequivocabilmente sul rapporto fra magistero e contemporaneità. In un manuale di dottrina sociale curato dal suo amico e confratello agostiniano John Lydon McHugh, da oltre quarant’anni missionario in Perù, l’allora cardinale Prevost aveva scritto così in prefazione: “Quante questioni ci interpellano oggi! La realtà della violenza contro le donne, la necessità di rispondere alla triste e umiliante crisi degli abusi sui minori, la realtà dell’abuso di potere o di coscienza, l’attenzione ai divorziati e ai risposati e ai membri della comunità LGBT; l’ecologia e la cura della casa comune, la protezione dei popoli amazzonici, solo per citare alcuni temi sociali che richiedono un’analisi e una risposta. Cosa diremo? Le definizioni di centotrenta anni fa non sono più adeguate oggi. Ciò non significa che non siano vere o corrette, ma che non sono più adeguate sotto alcuni aspetti. Le situazioni richiedono una nuova analisi e una risposta serena”. Naturalmente, il Papa non darà da solo queste risposte, ma faciliterà e guiderà il cammino sinodale permanente della Chiesa, nel quale uomini e donne dalle vocazioni diverse e in situazioni culturali e geografiche diverse contribuiranno a obbedire allo Spirito Santo, a fare spazio al regno di Dio. In un linguaggio meno teologico: la Chiesa sarà capace di nuove svolte non sopra, ma dentro questa umanità, come lievito nella pasta. Sì, allora, aspettiamoci sorprese nel corso di un pontificato che inizia nel segno e nel contesto della rivoluzione digitale».
Secondo Leone XIV di fronte alle sfide odierne la Chiesa non è chiamata tanto a dare risposte a singoli quesiti, quanto a indicare criteri di valutazione e principi etici. Lei che ne pensa?
«Nella prefazione al libro di Lydon McHugh, Leone XIV lo spiega bene. Anzitutto, seguendo il principio fissato da papa Francesco in Evangelii Gaudium (231-233) – “La realtà è più importante dell’idea” – egli scrive: “La teoria viene dopo la realtà e, in quanto tale, rappresenta una risposta. La dottrina sociale della Chiesa, con tutto il rigore che la caratterizza, non può pretendere di essere una risposta universalmente accettabile, sarebbe utopistico. Può solo pretendere di essere una risposta che rispetti la realtà e che si avvicini ad essa in modo adeguato, partendo dai principi e dai criteri più sani e opportuni”. Qui abbiamo già una indicazione molto importante, che senza cadere nel relativismo onora il pluralismo delle prospettive e delle competenze, senza il quale non si abbraccia insieme il poliedro della realtà contemporanea. Abbiamo bisogno gli uni degli altri: di principi e criteri “sani e opportuni”, ma soprattutto di sguardi diversi, accomunati dal rispetto della realtà. La realtà è un mistero che ci supera da tutte le parti, non un oggetto manipolabile a piacimento, non una miniera da cui estrarre tutto ciò che riusciamo. E così, come sottolineava il cardinale Prevost, “la dottrina in quanto riflessione seria, serena e rigorosa, intende insegnarci, in primo luogo, a saperci avvicinare ai problemi in questione. È la serietà, il rigore, la serenità ciò che dobbiamo imparare da ogni dottrina”. Di questa serenità abbiamo profondamente bisogno. È quella che manca oggi a molti leader, ma anche a noi cittadini di un mondo sempre più violento e gridato».
Già Leone XIII, vissuto in un periodo di epocali trasformazioni, aveva stimolato il dialogo sociale. Leone XIV ne raccoglie il testimone, ma in un tempo che papa Francesco ha definito di «policrisi», in cui convergono conflitti armati, emergenze ambientali, migrazioni forzate, povertà diffusa, precarietà del lavoro. Il tutto in un contesto di rapidissime innovazioni tecnologiche che sembra favorire la babele più che il dialogo. O no?
«Babele nella Bibbia non rappresenta un’eccezione, ma la storia di sempre. Non significa che sia la sola storia che possiamo scrivere, ma che troviamo un mondo configurato così e che sentirlo ingiusto non è sbagliato. Da che mondo è mondo, come talvolta si dice, gli esseri umani vogliono farsi un nome, vogliono toccare il cielo, hanno progetti – o deliri – che rendono impossibile fra loro l’intesa, la comunicazione e quindi la pace. Eppure, da che mondo è mondo, aggiunge la Bibbia, non deve andare così: è insopprimibile la vocazione a incontrarci, a mettere in discussione le ambizioni totalitarie, a desiderare un lavoro degno, città a misura d’uomo. Tutto ciò che a Babele è annientato, per l’ambizione di pochi. La Scrittura è “sacra” perché rivela la santità di ciò che la coscienza avverte davanti all’ingiustizia. Di più: ci annuncia che il Santo, cioè il Diverso, l’Altro di cui siamo immagine e somiglianza, rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Interrompe cioè il delirio di Babele e ci mette in cammino verso la nuova Gerusalemme, città della pace in cui ogni lacrima sarà asciugata e ogni sopraffazione sarà interrotta. Leone XIV, da figlio di sant’Agostino, avrà davanti agli occhi ogni giorno “la città di Dio” e ci ricorderà che non si tratta di un al di là da attendere passivamente, ma della città reale cui convertire le città degli uomini sin qui da noi abitate, tra gioie e speranze, fra tristezze e angosce, come si afferma nel proemio della Gaudium et Spes. La missione della Chiesa, oggi, è nel solco del Concilio Vaticano II, che ha intravisto il mondo da noi oggi abitato, sospingendo i cristiani a uscire da loro stessi per mettersi al servizio del regno di Dio. Noi per vocazione dobbiamo dare concretezza a ciò che preghiamo ogni giorno: “Come in cielo, così in terra”. Lo chiediamo, certo, ma coinvolgendo ogni nostra energia intellettuale e fisica, il nostro tempo, gli affetti, il lavoro, in un’attesa fattiva e creativa. Vorrei dire che si tratta di riconoscere nella “policrisi” una pluralità di spazi in cui aprirsi attivamente al nuovo, resistendo al vecchio. Dobbiamo lasciarci Babele alle spalle, liberarci testa e cuore dal suo delirio, distinguerlo quando si ripresenta sotto nuove vesti. E scegliere. Scegliere Gerusalemme, la città giardino che a tutti garantisce un nome e un posto incancellabile e prezioso».
Leone XIV ha scritto che di fronte a teorie devastanti e a scenari spaventosi è importante che cresca il desiderio di un futuro dignitoso e pacifico. La rivoluzione digitale può aiutare in questo o rappresenta un ostacolo?
«Anche sotto questo profilo la rivoluzione digitale siamo noi: non ci è esterna, né estranea. Essa modifica il modo in cui nutriamo la nostra anima di informazioni e di narrazioni. Ne accelera l’introiezione fino a renderla trasparente, la connette a vere e proprie protesi tecnologiche che tuttavia – non stanchiamoci di osservarlo – si aggrappano al cuore. Se vogliamo, al cervello, cioè a quel suo meraviglioso funzionamento in cui si manifesta la differenza umana, che continuerà a sorprenderci e a resistere. Certo, dobbiamo coltivarne il gusto e la responsabilità, se vogliamo far prevalere un futuro dignitoso e pacifico sulle possibilità devastanti e sugli scenari spaventosi che tendono a replicare il peggio che l’umanità ha già mostrato di sé. Verosimilmente, sia il bene, sia il male produrranno di qui in avanti deflagrazioni senza precedenti. Questo ci impegna a vigilare e, lo ripeto, a scegliere. Per questo il Papa ha parlato di “desiderio”. Il futuro che vogliamo va desiderato. E i desideri si condividono».
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