Scuola, un’avventura interiore di relazioni

«Educare significa esporsi al rischio dell’altro». Nella sua nuova opera l’autore e fondatore della Scuola Penny Wirton propone una riflessione sul presente e sul futuro dell’educazione oggi
October 2, 2025
Scuola, un’avventura interiore di relazioni
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Che cosa significa educare nel mondo di oggi, tra incertezze, trasformazioni digitali, tensioni sociali e famiglie fragili? Anticipiamo qui un estratto dell’ultimo libro di Eraldo Affinati Per amore del futuro (Edizioni San Paolo, pagine 160, euro 16,00) che arriverà in libreria il 9 ottobre e affronta con lucidità e passione il compito urgente e complesso dell’educazione, riportandolo al suo nucleo più autentico: la relazione tra maestro e allievo. In queste pagine Eraldo Affinati, tra i più significativi autori italiani e fondatore della Scuola Penny Wirton, attinge a decenni di esperienza scolastica per una riflessione radicale sul gesto educativo, raccontando una scuola fatta di volti, errori, riscatti e silenzi: non un saggio teorico, ma un’opera di vita vissuta.

Il maestro è lo specialista dell’avventura interiore. Prendiamo Abdi, somalo, avrà cinquant’anni, abita in un paese vicino a Roma insieme a un paio di amici con i quali divide il costo dell’affitto, in Africa ha lasciato quattro figli, la moglie è morta dopo una malattia improvvisa e inesorabile, lui soffre di pressione alta, ha gli occhi torbidi, lo sguardo sofferente, anche se ogni tanto si illumina di un sorriso smagliante, a causa delle sue precarie condizioni fisiche non può svolgere lavori pesanti. Abdi è venuto alla scuola Penny Wirton, dove insegniamo gratuitamente la lingua italiana agli immigrati in un rapporto uno a uno. Sin dal primo giorno gli abbiamo affidato un volontario, Marcello, il quale non aveva mai fatto il docente prima di allora, tuttavia sentiva il bisogno di trovare una sintonia con il prossimo, era attirato dalla possibilità di realizzare un incontro fuori dagli schemi 16 strumentali nei quali siamo immersi. Do ut des. Io ti do questo per ricevere qualcosa in cambio: no, non così. I due uomini si sono affezionati l’uno all’altro stabilendo un rapporto di reciproca stima e amicizia, sganciato da qualsiasi possibile rivendicazione di tipo contrattuale. Si vedono due volte alla settimana, di pomeriggio, parlano, svolgono esercizi scritti e orali, si scambiano informazioni, entrano in confidenza in un clima di fiducia sempre più consolidata. Nominalmente Marcello è il maestro, Abdi lo scolaro, ma tale definizione rappresenta uno schema convenzionale che non ci aiuta a conoscere nel profondo ciò che entrambi configurano. Siamo di fronte a una relazione speciale, priva di riscontri oggettivi per tutt’e due, sia economici sia professionali, i compensi sono di natura esistenziale, secondo una logica abbastanza atipica che ho spesso voluto esemplificare nell’azione a fondo perduto: si crede in ciò che si fa, a prescindere dall’obiettivo raggiunto o mancato. Per entrare in questa dinamica bisogna penetrare nella dimensione spirituale di chi abbiamo di fronte: un movimento a doppio senso non si può realizzare solo da un versante, se si limitasse a farlo il docente potrebbe risultare intrusivo; viceversa, se l’allievo si rendesse disponibile, dovrebbe comunque avere un insegnante in grado di recepirlo. Entrambi i protagonisti della relazione devono mettersi in gioco abbassando gli scudi; ciò avviene in modo impercettibile e non precettistico, non c’è niente di dogmatico o replicabile tecnicamente, secondo un metodo sperimentale. A volte basta un sorriso, una pacca sulle spalle, un colpo d’occhio ammiccante. Ciò che vale oggi può essere inutile domani. Quello che accade fra Abdi e Marcello non si verifica con altri volontari e studenti. Ogni coppia è unica poiché mette in campo combinazioni imprevedibili e sorprendenti. Ci sono imponderabili legati al carattere, alla sensibilità, alla tradizione di ognuno. Contano gli stati d’animo, lo spazio didattico, la storia del momento, il desiderio profondo e quello immediato, c’è anche una dose di mistero imperscrutabile riguardo a ciò che non sappiamo di noi stessi, forse la cosa più importante, il groviglio nascosto, il demone interiore, che nel momento in cui apri il tuo cuore alla persona in ascolto chiede udienza. Non puoi non domandarti perché lo stai facendo, cosa ti spinge a voler conoscere la dimensione interiore dell’allievo e del professore. Tutto questo lo vediamo emergere in modo diretto nel rapporto uno a uno, ma ogni insegnante, anche quando resta inchiodato in cattedra davanti alla classe, nella maniera tipica del conferenziere, che non modifica il proprio discorso in base al pubblico, lambisce se non attraversa il campo magnetico della relazione profonda. Tanto più egli saprà ricavare alimento dall’emozione che prova di fronte al gruppo di studenti, reattivi o apatici, tanto meglio potrà incidere dentro se stesso e nella coscienza di ognuno. Il professore ha un patrimonio da spendere: viene da un altrove, carismatico, inaccessibile. Gli alunni lo fissano con aria interrogativa, vogliono sapere cosa ha in testa, quali sono le sue intenzioni, dove intende condurre il gruppo che gli è stato affidato, pronti a seguirlo o contrastarlo, come simbolo incarnato della civiltà di cui si fa paladino e custode. Egli non dovrebbe sprecare neppure un grammo di tale dote preziosa, distillandola nell’arco delle stagioni di cui dispone. Alle nostre spalle abbiamo una delle più grandi invenzioni umane: la scuola come punto di passaggio e incrocio fra una generazione e l’altra, saperi e contenuti da tramandare al prossimo, testimoni pronti per essere consegnati, programmi da svolgere, voci sepolte da identificare, scoprire e portare alla luce. Ciò avviene secondo un processo linguistico, anche se i segnali del corpo sono decisivi, ma se non si trasformassero in frasi compiute e concetti strutturati i sentimenti che li sprigionano resterebbero grumi emotivi, non avrebbero valore potenzialmente universale. Per tale ragione il maestro è il responsabile della parola, scritta e orale. Deve gestirne la potenzialità e non disinteressarsi delle conseguenze prodotte, specie quando si tratta di intervenire per controllare l’esperienza di cui è frutto. Il pensiero si forma all’interno delle categorie grammaticali: sarebbe diverso se non avesse questa dimensione sintattica, questo repertorio lessicale. La rappresentazione verbale delle nostre intuizioni fantastiche, dei nostri desideri istintivi, implica una scelta dei termini e dei modi, quindi la traduzione di ciò che vorremmo esprimere in una struttura riconoscibile dagli altri. Il transito dal caos al logos rende inevitabile l’accettazione della norma linguistica; non fosse che per tale evidenza, il maestro non può essere indifferente alla tradizione: da una parte deve captare l’abisso dello scolaro, dall’altra sente la necessità di accompagnarlo verso la casa comune. Se non scende nel gorgo per lui c’è il rischio di venire confinato negli ambiti istituzionali che pure legittimano il suo operato; se non trova il modo di abitare la legge sulla quale si regge la polis, non potrà mai diventare 20 un adulto di riferimento. Dobbiamo essere consapevoli delle categorie del tempo attraverso cui si definisce l’azione educativa. Elaborare il passato e progettare il futuro avviene nel presente sempre mobile presidiato dal docente, con tutta la sua consapevolezza di finitudine, temprata dal costante confronto coi ragazzi, radicalmente giovani, ogni anno nuovi. In tale prospettiva il maestro diventa un artigiano del tempo, pronto a regolare e fissare le giunture fra ciò che resta indietro e ciò che avanza, ma non dovrebbe limitarsi a essere un distributore di traffico concettuale, bloccato sulla piazzola di smistamento da un contenuto al l’altro in un meccanismo di semplice ricezione e consegna, come fosse un impiegato postale della cultura da trasmettere. Al contrario, la positura da assumere dovrebbe assomigliare a quella del mazziere della giovinezza: io ti do le carte per giocare, poi dovrai essere tu a vincere o perdere. Tutti i veri maestri procedono in equilibrio sull’orlo del baratro: devono imprimere speranza e allo stesso tempo delimitare il campo delle aspettative, edificare barriere e produrre energie per superarle, dettare gli ordini ma insegnare a discuterli.

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