Occhio, malocchio... eredità del mondo antico

Un saggio del filologo Barbato documenta scongiuri, formule magiche e “incantamenti” tra V e XV secolo in Italia. Sono testimonianze del perdurare in piena era cristiana, di pratiche pagane
October 20, 2019
Occhio, malocchio... eredità del mondo antico
Domenico Scattola, "Giulietta prende il sonnifero" (particolare)
“Supra acqua et supra ad vento…”; “Andando uno santo - a uno suo chanpo…”; “Fantasima, fantasima, che nella notte vai…”. Tre esempi di scongiuro o d’incantesimo: la formula magica pronunziata da una strega tudertina del XV secolo per recarsi in “volo magico” sino al fatidico “noce di Benevento” e raccolta dagli atti del suo processo; uno scongiuro contro i parassiti (i bruchi) tratto dal Fiore di virtù dello stesso periodo; una finta sequela apotropaica inventata da Giovanni Boccaccio sullo stile dei “brevi” e degli “incantamenti” che al suo tempo tutti conoscevano e che in realtà avrebbe dovuto servire a una donna infedele per tenere alla larga, di notte, l’amante da casa sua visto l’inopinato rientro del consorte alla dimora. Tre casi a modo loro classici ed esemplari.
Nel mondo che siamo ormai abituati a definire medievale, tra V e XV secolo, continuarono a sussistere in tutto il territorio di quella che era stata la pars Occidentis dell’impero romano, e che a partire dal VI secolo prese ad espandersi verso il nord e l’est del continente europeo grazie all’evangelizzazione promossa dai regni romano-barbarici cristianizzati e all’iniziativa della Chiesa episcopale romana che ambiva ad egemonizzare le altre comunità cristiane, antiche pratiche terapeutiche d’origine pagana che mischiavano sapere medico e ritualità magica.
La Chiesa cristiana agì, nei confronti di tali pratiche, con molta prudenza e con una sostanziale discrezione. Talvolta, appoggiata ai poteri locali, fece piazza pulita delle vecchie superstizioni addirittura ricorrendo alla distruzione degli idoli e dei santuari; ma più spesso adottò il metodo che gli antropologi definiscono “acculturazione”, accogliendo alcune forme relative agli antichi culti – ad esempio l’adorazione degli alberi e delle fonti – e adattandole ai contenuti della nuova fede cristiana mediante la loro attribuzione in vario modo a Dio, alla Vergine, agli angeli, ai santi, alle narrazioni bibliche o evangeliche.
I convertiti alla nuova fede reagirono accogliendola magari con entusiasmo, ma adattandola non senza contraddizioni alla loro mentalità tradizionale. Riti e usanze a carattere magico, soprattutto magico-terapeutico, ne risultarono mantenuti e al tempo stesso modificati. I padri sinodali, gli autori d’età patristica, come sant’Isidoro di Siviglia o gli anonimi estensori del testo pseudagostiniano Homilia de sacrilegio composto tra VII e VIII secolo in Francia settentrionale, non si stancano di descrivere queste formule sincretistiche, condannandole: ma esse erano molto diffuse e, a quel che pare, usate anche da molti sacerdoti che mischiavano carmina aut incantationes paganorum alle preghiere o agli esorcismi liturgici. Ne risultò una ricca letteratura tanto latina quanto redatta negli idiomi volgari che si andavano affermando in tutta Europa: una letteratura oralmente tramandata, ma che non manca di passare anche in testi scritti di varia natura: liturgici, cronistici, narrativi, giudiziari, tramandati direttamente o indirettamente, programmaticamente o casualmente. Né è sempre possibile gli scongiuri a carattere folklorico e sovente trasformati in espressioni proverbiali dalle vere e proprie formule magiche usate in un contesto rituale.
Una ricca raccolta di questi documenti è stata edita e commentata a cura di Marcello Barbato in un grosso volume, Incantamenta latina et romanica. Scongiuri e formule magiche dei secoli V-XV (Editrice Salerno, pagine 146, euri 32,00). Il curatore, filologo e linguista dell’Università L’Orientale di Napoli, fa precedere la sua ricca scelta antologica da una sostanziosa “Introduzione critica” che descrive e commenta, ordinandola, la complessa tipologia di queste formule “magico-religiose” o propriamente magiche (una classificazione sicura, quindi una distinzione rigorosa, è sovente ardua).
Di speciale importanza, e spesso di fascino particolare (talora perfino commovente) le formule che assumono un carattere narrativo, quasi da parabola o da leggenda agiografica: un santo o una santa desolati e sofferenti incontrano Gesù Cristo che, mosso a pietà dei loro mali, indica loro le erbe e le parole necessarie per la guarigione.

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