Ober: «Da Atene a oggi, la democrazia è una scelta»
di Josiah Ober
ll grecista e politologo, premio Balzan 2025, spiega il percorso attraverso cui ha elaborato la tesi su come gli intellettuali del V e IV secolo a.C. abbiano anticipato le teorie moderne

Pubblichiamo un’ampia sintesi del discorso tenuto a Berna da Josiah Ober, classicista e politologo dell’Università di Stanford, in occasione del conferimento del premio Balzan 2025 per le sue ricerche sull’origine e il funzionamento della democrazia ateniese nell’età classica, in confronto costante con il presente e con il dibattito sociopolitico attuale. Con lui sono stati premiati Carl H. June per la terapia genica , Rosalind E. Krauss per la Storia dell’arte contemporanea e Christophe Salomon per “Atomi e misura ultraprecisa del tempo”.
Mi sono innamorato del mondo greco antico negli anni Settanta, quando ero studente di storia alle Università del Minnesota e del Michigan. Ero attratto da Atene dopo la Guerra del Peloponneso – l’epoca di Platone e Aristotele – per due motivi: anzitutto, la guerra da incubo in Vietnam era un evento decisivo per la mia generazione di americani. Pensavo che l’esperienza di uno stato democratico e imperiale dell’antichità, impegnato in una lunga e terribile guerra poi perduta, potesse parlare alla mia situazione presente. In secondo luogo, le ricche fonti del secolo postbellico includevano oltre cento discorsi tenuti da Ateniesi appartenenti all’élite davanti a vaste platee di cittadini nelle assemblee legislative e nei tribunali popolari. Ebbi l’idea che questi discorsi, a lungo studiati come esempi di eloquenza classica, contenessero una risposta – almeno parziale – a un enigma che il mio relatore di dottorato aveva posto: «La vera domanda», diceva, «non è perché la città-stato democratica sia infine fallita, ma perché sia durata più di venti minuti.» In breve, come fece un piccolo stato governato da cittadini comuni a sopravvivere e prosperare in un ambiente competitivo dominato da grandi e aggressive autocrazie?
La mia tesi di dottorato si concentrò sulla risposta ateniese alla sconfitta nella Guerra del Peloponneso. Questo mi portò ad Atene, dove trascorsi un anno e mezzo felice dedicato alla storia e all’archeologia. Pensai a una carriera divisa tra lavoro sul campo archeologico in Grecia e pesca alla mosca nei torrenti del Montana. I miei piani furono però stroncati quando il governo greco cambiò le regole sulle ricognizioni archeologiche. Ripiegai sulla mia seconda idea: che analizzare la forma e il contenuto della retorica pubblica potesse aiutare a risolvere l’enigma della «resilienza democratica» posto dal mio relatore. Il risultato fu il libro, Mass and Elite in Democratic Athens. Analizzando attentamente i discorsi superstiti, riuscii a mostrare che la retorica pubblica ateniese implicava una comunicazione a doppio senso. L’oratore dell’élite restava altamente sensibile alle reazioni del pubblico – e modellava di conseguenza i suoi interventi. Gli Ateniesi comuni divennero giudici sofisticati della retorica; applicavano norme del discorso pubblico per contrastare due minacce primarie alla democrazia: la demagogia populista e la cattura del governo da parte delle élite o degli esperti. Mass and Elite ebbe un’influenza maggiore di quanto avessi osato sperare e mi fu offerta una cattedra alla Princeton University. Lì un illustre filosofo politico mi informò, con mia sorpresa, che non ero solo uno storico, ma anche un teorico politico. Presi sul serio le sue parole, iniziai a frequentare il workshop di Filosofia politica e mi resi conto che la mia risposta all’enigma della “democrazia resiliente” era ancora incompleta: non avevo tenuto conto delle critiche alla democrazia da parte, tra gli altri, di Tucidide, Platone e Aristotele. Non erano semplici lamentele, ma argomentazioni teoriche raffinate che mettevano in discussione la legittimità e l’efficacia dell’autogoverno collettivo. Così iniziai a lavorare su Political Dissent in Democratic Athens: Intellectual Critics of Popular Rule.
Il passo successivo del mio lavoro fu andare oltre l’attenzione intensiva all’Atene classica per affrontare due questioni più ampie. Anzitutto, il cosiddetto “miracolo greco”: come fecero diversi milioni di parlanti greci, distribuiti in centinaia di stati indipendenti, a produrre un’efflorescenza culturale straordinaria – nelle arti visive e performative, nella letteratura, nella storiografia, nella filosofia morale e nella matematica? Lavorando in un dipartimento di Scienze politiche, riformulai l’efflorescenza come un problema di economia delle istituzioni e mi dedicai a The Rise and Fall of Classical Greece. La seconda estensione riguardò la teoria politica democratica. Avevo iniziato a lavorare sulla filosofia politica classica. Poi, nel 2010, la cosiddetta Primavera Araba presentò una nuova sfida: supponiamo, pensai, che un rappresentante, poniamo della Tunisia, venisse a chiedermi un consiglio su un regime democratico – nel senso che rifiuta il governo di un individuo o di una giunta oligarchica – ma che debba essere instaurato in una comunità con un patrimonio religioso condiviso, piuttosto che in uno stato occidentale liberale, pluralista e tollerante sul piano religioso. Era possibile, in breve, immaginare una democrazia senza liberalismo? La mia risposta fu un libro intitolato Demopolis: Democracy Before Liberalism. La democrazia ateniese classica forniva uno studio di caso ed era oggetto di un capitolo, ma il libro era fondato su un esperimento mentale: immaginare un paese in cui una maggioranza sostanziale di cittadini abbia rifiutato l’autocrazia, sia disposta a sostenere i costi dell’autogoverno, ma non sia impegnata in diritti umani intrinseci e pre-politici. Quale sarebbe la forma di governo? Il resto del libro elaborava ciò che chiamavo “democrazia basilare” – distinta sia dalla democrazia liberale sia dalle pseudo-democrazie “illiberali”. Sostenevo che, anche senza un impegno verso i valori liberali, l’autogoverno collettivo richiede certe condizioni, tra cui la libera parola politica, l’uguaglianza politica, limiti alla disuguaglianza economica e la fornitura di istruzione e cure mediche sufficienti a permettere ai cittadini comuni di partecipare attivamente al lavoro dell’autogoverno.
Il mio progetto accademico più recente è tornato alla filosofia politica greca e alla sua rilevanza contemporanea: in The Greeks and the Rational: The Discovery of Practical Reason ho cercato di dimostrare che gli intellettuali greci della fine del V e del IV secolo a.C. svilupparono teorie del ragionamento strumentale e strategico che anticipavano le intuizioni della moderna Teoria della Scelta Razionale. Lo scopo del libro era mostrare che la teoria della scelta moderna non è semplicemente un prodotto della modernità – del fondamentalismo neoliberale di mercato o della minaccia della guerra nucleare. La questione di come incorporare la logica della ragione strategica nella pratica politica, riconoscendo al contempo gli aspetti irriducibilmente irrazionali dell’interazione umana e la necessità di chiarezza morale e giudizio etico, resta tanto attuale quanto lo era ai tempi di Platone e Aristotele. E ora? Per il mio “programma giovani studiosi” ho proposto un progetto sulla “rivitalizzazione della democrazia” – con particolare attenzione al problema di come la democrazia sia stata riconquistata e restaurata dopo interludi tirannici o oligarchici. Prevedo che i miei contributi includano pubblicazioni sull’etica e la politica dell’IA e un libro su “Guerra civile e dovere civico”. Sebbene desideri che questo tema non fosse così attuale come credo sia diventato, resto convinto che “rivisitare la democrazia ateniese” – riflettendo in modo incrociato tra antico e moderno, storia e filosofia – offra preziosi spunti per la pratica democratica.
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