Cesare Dall'Oglio, un cristiano protagonista della riforma agraria
A dieci anni dalla morte una raccolta di scritti di apostolato civile ed ecclesiale, che va dagli anni da partigiano all'impegno nella Dc , nella Coldiretti e nella Chiesa

È il 2 giugno del 1944. Tre partigiani ricevono la notizia che il giorno dopo saranno giustiziati. Due sono i giovani cattolici romani Cesare e Francesco Dall’Oglio, catturati a Carsoli, in Abruzzo, dopo aver dato vita a una formazione partigiana. I due fratelli chiedono che la madre venga avvisata dell’esecuzione solo a cose fatte. Ma qualcuno invece glielo fa sapere e così salva loro la vita. La donna, infatti, si reca al comando repubblichino a implorare che a quei ventenni venga salvata la vita. Un generale si impietosisce e invia al comando tedesco un ufficiale, il quale fortunosamente raggiunge al telefono il feldmaresciallo Kesserling in persona, il capo delle forze armate tedesche in Italia, l’unico che possa firmare la sospensione della pena capitale. E lo fa. L’esecuzione non avrà mai luogo perché nel frattempo Roma viene liberata e i tedeschi battono in ritirata. «Giorni di ansia. Ci massacreranno? Ci libereranno?. La sera del 9 tentiamo un’evasione, sfracassando le porte delle celle a colpi di branda. I secondini avvertono la truppa: bombe a mano, mitraglia. Neri carristi inquadrano noi detenuti più importanti sotto le canne delle “machine pistole” e ci trascinano con loro in ritirata verso nord», i concitati momenti ricostruiti un anno dopo da Cesare su “La punta”, la rivista dei giovani della Democrazia cristiana, dei quali diventerà delegato nazionale nel 1947.
“All’alba dell’esecuzione” è il titolo dell’articolo, che rievoca quella notte trascorsa in preghiera. L’esperienza dostoevskijana di prossimità alla fine «lo segnò così tanto da vivere da “risorto” al di là della paura della morte, donando la vita agli altri attraverso l’impegno politico e sindacale. E questi scritti lo testimoniano», scrive il gesuita padre Francesco Occhetta nella prefazione al volume Profezia e realismo storico. Scritti di apostolato civile ed ecclesiale (Studium, pagine 190, euro 20,00), curato da Cecilia Dall’Oglio e Tiziano Torresi, che raccoglie articoli, conferenze, memorie di Cesare Dall’Oglio. I testi - divisi in quattro sezioni, ognuna introdotta da note esplicative dei curatori - ne seguono il percorso esistenziale, politico, associativo ed ecclesiale. La prime due “Radici nella fede, fedeltà nella prova” e “Costruire la democrazia” sono dedicate agli anni tra la fine del conflitto e la rinascita democratica. Le altre due - “Laica vocazione” e “Passione per il bene comune” - alla sua riflessione, lungo parecchi decenni, su azione politica, sociale ed ecclesiale.
Nato a Roma nel 1923 e morto dieci anni fa, il 6 novembre del 2015, a 92 anni, Dall’Oglio ebbe una famiglia numerosa. Tra i suoi figli ci sono Cecilia - curatrice del volume, che della storia familiare parla in un’ampia postfazione - e padre Paolo, gesuita rapito in Siria nel 2013 senza che da allora se ne sappia più nulla (il libro è dedicato a lui e alla comunità monastica al-Khalil di Deir Mar Musa al-Habashi, da lui fondata nel 1991). La spiritualità ignaziana è stata per tutta la vita un faro nella vita di papà Cesare, che ha studiato al celebre istituto “Massimo” della Compagnia di Gesù.
Nella Dc dell’immediato dopoguerra Dall’Oglio entra subito a far parte del Consiglio nazionale, contribuendo ad unificare le aspirazioni dei giovani con l’esperienza dei vecchi popolari, in vista della Costituente e poi delle elezioni del 1948, per le quali invita a chiudere alle tentazioni di includere esponenti della destra. Opera a stretto contatto con Alcide De Gasperi, assumendo l’incarico di vicesegretario del partito nei primi anni Cinquanta. Dal 1964 per oltre 25 anni è segretario della Coldiretti, braccio destro dei presidenti Paolo Bonomi e Arcangelo Lobianco. E in questa veste è tra i protagonisti della riforma agraria del 1950. L’attenzione per i giovani, per il mondo del lavoro e per le periferie che caratterizza tutta la sua vita. Nella quale Dall’Oglio si dimostra acuto interprete dei mutamenti nella Chiesa - la Mater et Magistra di Giovanni XXIII e la stagione del Concilio Vaticano II - e nella società, coniugando la Dottrina sociale della Chiesa con tanti avvenimenti nazionali e internazionali.
Colpisce la lucidità con cui, già dal 1945, Dall’Oglio analizza lo scenario della Guerra fredda nascente. «Non sembra purtroppo si sia molto imparato dal tragico conflitto sconvolgitore, ed è indubitato che alla base di quella contrapposizione (tra Oriente e Occidente, ndr) si trovi una persistenza di mentalità che vede la pace come un equilibrio di forze opposte l’una all’altra, di sfere di influenza, le quali portano necessariamente, presto o tardi alla rottura e al conflitto», scrive nell’articolo “Per una libertà vera” su “La punta”. E nota come la democrazia economica dell’Urss sia pagata a prezzo di sangue, violenza e dittatura. «La strada è invece un’altra, un’altra la formula: nella libertà, le più ardite riforme sociali», dice sicuro. Il giovane dall’Oglio si mostra attento alle dinamiche del Psi, rigettando il miraggio rivoluzionario che ancora vagheggia Pietro Nenni e sottolineando invece la dimensione spirituale che Sandro Pertini dice deve andare di pari passo con le esigenze economiche dei lavoratori. Per quanto lo riguarda si dedica anima e corpo a quelli della terra, promuovendone l’elevazione sociale. Sia da un punto di vista del pensiero - tanto da configurare una vera e propria «teologia della terra e del lavoro», sono parole di Occhetta – sia da quello dell’azione politica. Sempre condotta con quell’attenzione alla piccola proprietà contadina che sorge dalla legge stralcio del 1950. Anche qui visione alta e pragmatismo si coniugano, superando i massimalismi contrari alla riforma: la «demagogia comunista», da un lato e «l’incomprensione delle destre, sorde alle necessità sociali» dall’altro. La sua proposta, sottolineano i curatori, mette al centro «una visione cooperativa e multisettoriale dello sviluppo rurale che su realizza, ad esempio, nell’autonomia della scelta delle colture rispetto alla logica dei monopoli» e si pone «come alternativa tanto allo statalismo quanto alla pura logica competitiva del capitale».
Alcuni interventi di decenni dopo rendono il suo impegno ecclesiale, nel quale spiritualità e azione non sono mai disgiunte. Si va dalla devozione mariana - che dai giorni del carcere nazista arriva fino alla relazione su “Maria e il mondo del lavoro” tenuta a Taranto nel 1988 - fino all’attenzione per i poveri e la fame nel mondo, di cui scrive sulla rivista “Volontari del Terzo mondo” nel 1996. Particolare fu l’attenzione all’America Latina. Espressa nel 1968 a un convegno su “La Coldiretti e la Democrazia cristiana”, nel quale cita le istanze dei sem terra promosse da monsignor Helder Camara. O in un convegno associativo a Parma del 1990, quando ricorda monsignor Romero e i gesuiti trucidati in Salvador. Una passione che ha tramandato al nipote, Michele Petochi, per le sue ricerche sul Brasile.
Figura di spicco del laicato cattolico impegnato, Dall’Oglio è stato tra i protagonisti del convegno Cei su “Evangelizzazione e promozione umana” del 1976 quale componente del comitato di presidenza, membro del comitato promotore e presidente della Commissione di studio dedicata al contesto rurale. Quelle ora presentate al lettore, dunque - sintetizza padre Occhetta - non sono solo le «memorie dirette di un protagonista del cattolicesimo democratico della seconda metà del Novecento, ma sono la descrizione di un viaggio interiore che fa emergere il contributo di Dall’Oglio a una Chiesa e a un società in continua evoluzione».
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